Liberata
Letteratura italiana
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Liberata Macrì, Liberty per Franco Gasparri
«[…] Tutto mutò: un particolare del mondo, uno dei tanti frammenti che il caso butta sulla testa delle genti come una manciata di coriandoli, si staccò dagli altri e divenne un pezzo significante di vita.»
Il suo nome è Liberata Macrì, ha ventiquattro anni, vive in un paesino calabro con Agata, una madre anaffettiva, fortemente religiosa e incapace di amare, e Oreste, un padre silenzioso, collezionista di insetti e titolare di una officina ma amorevole verso quella figlia, a tempo perso dattilografa seppur di gran talento, che vive come se mai lei fosse un particolare significativo del mondo circostante. Perché Liberata vive così, vive in silenzio, vive a modo suo, crede in quel che non si vede, crede al destino già scritto, crede all’anima che vive dopo la morte, al malocchio che colpisce, all’invidia che affama, alle voci dei defunti, al potere misterioso della luna, ai sogni che si avverano, alle vite che non sono accadute ma che comunque ci perseguitano. Ed ancora custodisce in silenzio gli sguardi e le immagini dei suoi amati fotoromanzi, fotoromanzi con cui sogna ad occhi aperti e che venera gelosamente nella sua collezione soprattutto se riguardanti Franco Gasparri, l’attore che ama con completa, totale e assoluta devozione.
«[…] Non cambiava mai Liberata, sempre in bilico con le sue verità velate, sempre pronta a dosare fatti e fantasie, alla ricerca del compromesso indolore che accontentasse la curiosità del mondo e la sua vocazione al silenzio.»
Liberata ha un’amica del cuore, Giuditta, che lavora in una boutique di abbigliamento. Quest’ultima ha un carattere diverso dalla protagonista, è esuberante e gioiosa, anche un po’ frivola. È innamorata del suo Fortunato e quando è in difficoltà chiede aiuto alla maga del paese per sapere come comportarsi con lui. Ed ancora è fortemente legata a Glauco, giornalaio e compagno attivo nel partito di appartenenza. Siamo in anni difficili, anni di cambiamento e di forti sconvolgimenti dove il terrorismo rosso si mescola con quello nero e il popolo è in balia degli eventi. In paese due saranno gli arrivi che romperanno gli equilibri della vita della protagonista: il primo sarà dettato da Cosmo Zangari, docente, che incuterà inizialmente terrore in Liberata per la sua presenza ambigua e che ha una profonda e unica passione sempre verso gli insetti e Luvio, il nuovo operaio dell’officina meccanica del padre. Quest’ultimo rappresenta per la giovane il primo grande amore.
«[…] Natura comunicava attraverso un personale codice stenografico che lei doveva interpretare, perché spesso siamo confusi e non sappiamo parlare e non comprendiamo e ci sentiamo stranieri alla vita semplicemente perché utilizziamo un linguaggio sbagliato, che non ci appartiene, e allora, in mancanza di codici a noi congeniali, a volte l’unica soluzione è sapersi inventare un proprio alfabeto.»
Per Liberata Luvio rappresenta anche il tutto, il nuovo, la sua presenza, il legame che si instaurerà con lui, la porterà a crescere e ad affrontare un mutamento che nemmeno immaginava plausibile. Luvio verso la ragazza tende ad avere un atteggiamento che confonde, che tiene sempre sul “chi va là” il lettore, naturalmente di quest’ultimo non si fida. Si crea forte empatia con la ragazza e viene spontaneo tentare di difenderla, di metterla in guardia perché troppe cose sembrano non tornare nella vicenda che si sviluppa. Tuttavia, non è possibile. Non è possibile in primis perché questo è ciò che porta l’eroina a maturare. Tutti siamo stati Liberata, tutti ci siamo sentiti come lei, tutti abbiamo vissuto situazioni similari, tutti abbiamo dato fiducia ciecamente alla persona amata perché in amore è così, ci si fida, non ci si può non fidare e amare. Si è preda del sentimento, del sentimento totalizzante e completo che ci fa sentire vivi e che al contempo può anche farci soffrire perché non sempre è tutto rosa e fiori. Liberata non va condannata per questo. Da fuori certe cose sono più intuitive e lampanti, ma quando le si vivono, il discorso cambia. E Liberata ha scelto di vivere e di amare, anche se a caro prezzo.
«[…] Il dolore, per esempio. Da bambine diciamo “mi fa male” quando ci dondola un dente. L’espressione “fa male” la ripeteremo da allora centinaia di volte: un taglio al dito, una gamba rotta, l’amore che ci ha lasciati, una zia scomparsa, addirittura potrebbe essere la nostra espressione estrema, le ultime parole riferite al cuore che batte troppo in fretta o alla testa che è sbattuta cadendo dalle scale; ma non è e non sarà sempre lo stesso male. Bisognerebbe che le parole si conformassero al mondo e si adeguassero all’esperienza, e che per infiniti dolori ci fossero infiniti vocaboli, mentre adesso non c’era parola capace di definire quello che Liberata sentiva dentro di sé, un dolore che per definirsi aveva bisogno di altre parole – infinito, offuscante, mortifero.»
Ama e sceglie di vivere. Ama e sceglie di fidarsi. Ama e scopre che l’amore ha due facce, una fatta di gioia e una fatta di dolore e che proprio per queste due facce amare è ancora più intenso e profondo, difficile ma essenziale.
«[…] Aveva provato come il resto dell’umanità ad abbandonarsi alle combinazioni del mondo, ma aveva fallito e adesso il prezzo da pagare era un dolore che mangiava il fiato. Non s’impara a vivere per il solo fatto di essere vivi. Era come un insetto d’acqua che un vento arrogante e invidioso aveva spinto a terra: doveva fare ritorno nel suo luogo naturale. Ma prima di rientrare nel mondo acquatico dell’invisibile doveva scrollarsi da dosso ogni rimasuglio terreno.»
“Liberata”, ultima fatica di Domenico Dara, è un romanzo molto diverso da “Malinverno” ma al suo interno racchiude un eguale e ancora più vasto universo da scoprire. Sono due opere tra loro estremamente eterogenee, in primis per lo stile, più ricercato e affinato nella prima, volutamente più “semplice” nella seconda perché in quest’ultima la voce dell’io narrante deve adattarsi alla voce dei fotoromanzi per essere credibile e riconoscibile per il lettore. “Liberata” è una storia più matura, capace di suscitare empatia, forte delle sue emozioni e autentica per tutti quei sentimenti che racchiude. È un libro che si assapora poco alla volta ma che lascia il segno in modo indelebile anche a seguito della conclusione della lettura. È uno di quei romanzi che regge nel tempo. Ringrazio Feltrinelli per l’occasione di lettura e ringrazio Domenico Dara per questa storia di profonda sensibilità che ci ha donato.
«[…] Non esiste gioia che non sia stata prima tormento.
Talvolta una mano pietosa apre la finestra.
E la mosca vola via.»