Libera nos a Malo
Letteratura italiana
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Libro parlato e identità
Rivelato da Bassani nel 1963 proprio con questo scritto, il veneto Meneghello è una voce narrativa che è utile scoprire ma soprattutto ascoltare. Come si fa ad ascoltare un libro quando lo si legge? Lo si potrebbe declamare a voce alta ma solo uno di Malo lo saprebbe fare, eppure a più riprese ci ho tentato ma le mie corde vocali, cristallizzate ormai da tempo immemore sulla altrettanto bella e complessa fonetica sarda, non riescono a produrre quei suoni che ho potuto solo immaginare. Sarebbe allora bello pensare ad un vero e proprio audiolibro che potrebbe restituire, penso, tutto il valore dell’opera. Si badi bene, con ciò non sto minimamente affermando che non sia fruibile in altro modo, anzi me ne guardo bene. L’opera, scrittura mista oscillante tra il memoriale e il reportage, è scritta in ottima lingua italiana ma gioca su più livelli linguistici facendo leva sul latino- basti pensare solo al titolo- sull’inglese, l’autore visse in Inghilterra dove fondò e diresse a Reading la cattedra di Letteratura italiana, sul francese e sull’italiano stesso , per quanto mi è stato possibile dedurre.
Sul filo della memoria Meneghello restituisce intatto un mondo, quello del suo paese natio, fornendo una galleria di tipi umani, di situazioni, di storie che nella loro autenticità hanno il potere di far godere della lettura come se fosse un film in presa diretta, con l’audio sporco, disturbato. Non c’è una narrazione vera e propria, si fatica soprattutto nella prima parte a seguire il filo che , seppur debole, è presente e ci porta a immergerci nella vita di una comunità fatta di una pluralità che l’autore non vuole focalizzare su un unico nucleo famigliare anche se poi, inevitabilmente, la forza centripeta porta alla sua famiglia, una tra le tante che compongono quell’universo. Se poi chi racconta condisce il tutto con una godibilissima ilarità e una sagacità linguistica ci si ritrova a sorridere di quel fazzoletto di terra, di quella gente e incredibilmente ci si ritrova, penso, in tutte le regioni della nostra Italia. L’educazione cattolica, il latino delle messe mal digerito e mai compreso, il patrimonio linguistico, la storia che entra prepotente in casa e nemmeno si capisce perché ci travolge, l’esigenza di comunicare nella nostra lingua madre o per altri in dialetto quando la potenza dell’altra nostra lingua materna non ha la parola nel suo infinito, e ancora sconosciuto ai più, lessico. La musicalità della lingua parlata, le sfumature lessicali, la sintassi concorrono a evidenziare le sfumature culturali che ci caratterizzano e il libro di Meneghello riesce a far percepire e a far riflettere, soprattutto quando si abbandona a deliziose divagazioni saggistiche ( linguistiche e antropologiche), sul senso della nostra identità, della nostra cultura, dei nostri valori, del nostro essere.
Liberarci di tutto questo è mai possibile?
No. La lingua, l’appartenenza geografica, la cultura materiale, il sistema di valori che ci formano da piccoli li portiamo con noi per tutta la vita in qualsiasi parte del mondo anche oggi quando tutto appare ibrido. Ottimo pertanto il valore culturale di quest’opera , ne consiglio la lettura lenta e sono certa che offrirà a tutti ottimi spunti di riflessione e una certa identità ritrovata.
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La riscoperta della valenza della tradizione
Nel corso della lettura mi sono chiesto più volte se questo libro può essere effettivamente classificato come romanzo (così lo definiva tuttavia l’autore), perché per alcuni aspetti è un’autobiografia, ma per altri è un saggio sociologico, oppure anche un trattato linguistico.
Ora Libera nos a Malo è tutti questi generi, senza essere totalmente uno di essi e questo forse costituisce una certa difficoltà per chi si appresta a leggerlo e che abituato al romanzo, con una trama ben definita, resta all’inizio un po’ disorientato, ma poi, entrato nello spirito dell’opera, permeata da una sottile autoironia, finisce inevitabilmente con l’apprezzare, per comprendere il vero scopo di questo lavoro. Meneghello, in buona sostanza, non ha fatto altro che raffrontare due epoche, dalle differenze profonde, vissute in un microcosmo costituito dal paese; e questo senza cercare di dimostrare che l’una è meglio dell’altra, ma unicamente per far emergere il contrasto fra una visione del mondo di quando era bambino e quella ampiamente disincantata dell’adulto, in un ricordo, a tratti anche commosso, altre volte esilarante, che finisce con il rappresentare la coscienza storica della propria esistenza.
Il filo conduttore è la vita dello scrittore vicentino in un piccolo paese, Malo, con tutti gli aspetti dei rapporti sociali intercorrenti fra i suoi abitanti alla luce degli istituti e dei comportamenti di una comunità. Così troviamo l’aulica retorica del fascismo, con tanto fumo e niente arrosto, la storia della famiglia Meneghello, il mondo scolastico, i giochi dell’epoca, i primi turbamenti sessuali, amorazzi vari, corna a profusione, e, tipica del Veneto, quella dipendenza dalla religione così come espressa dalla Chiesa più che da una spiritualità uniformata all’insegnamento cristiano.
Ho scritto sopra dell’ironia presente nella scrittura di Meneghello, ironia che troviamo subito nel titolo, un gioco con le parole finali del Padre Nostro in latino e con il nome del suo paese.
Ma Libera nos a Malo è per certi aspetti anche un trattato linguistico, perché il dialetto locale ritrova una sua dignità, con tanto di dissertazione in cui gli si attribuisce il concetto di prima e vera lingua - in quanto parlata dalla nascita - rispetto a quella ufficiale, a quell’italiano frutto di costruzioni che non possono avere la spontaneità del volgare.
Non posso che dargli ragione, soprattutto quando ricorre al dialetto non con intere frasi, ma con una, massimo due parole che esprimono in modo assolutamente diretto il concetto.
Insomma, accanto a una cultura ufficiale fatta di testi ponderati, c’è quella grande tradizione di una cultura popolare basata su storie o dissertazioni pressoché totalmente orali.
E’ la riscoperta della valenza della tradizione, di quel perpetuarsi della storia grazie al quale è possibile sapere chi siamo poiché conosciamo da dove siamo venuti.
Quindi, Libera nos a Malo ha più di un pregio, mantenendo a distanza di anni (è stato pubblicato per la prima volta nel 1963) un’attualità che sorprende, ma non più di tanto, qualora si abbia a mente che lo scopo principale è stato senz’altro la conservazione della memoria, quel sottile filo logico che lega due epoche anche così differenti, ma che permette di comprendere i motivi di questa diversità, consentendo perfino di guardare in avanti, verso il futuro, consapevoli di ciò che siamo.
Mi pare ovvio che la lettura sia più che raccomandata.