Le vite potenziali
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Marghera e le sue vite potenziali
Marghera. La Albecom è una azienda informatica che fattura oltre seicentomila euro al mese e il cui giro di affari va ben oltre le aspettative. Fondata dal trentaquattrenne Alberto, che sin dagli studi superiori si è dimostrato abile, acuto e di grande intelligenza, la società è coadiuvata da Luciano, ex compagno di studi con cui il protagonista condivide da sempre la passione per l’informatica, programmatore schivo, riservato, paralizzato dalla paura di soffrire, insicuro, malinconico e con quel perenne strascico di infelicità, e da Giorgio, detto anche GDL, pre-sales dell’azienda e procacciatore d’affari che deve mostrarsi sempre attivo e intraprendente ma con quella giusta dose di freschezza affinché il cliente possa fidarsi di lui e prendere per veritiere le sue offerte. Talismano e oggetto irrinunciabile di quest’ultimo altro non è che il manuale de “L’arte della guerra” di Sun Tzu, mantra indispensabile da lui custodito nel cruscotto della macchina. I tre amici e colleghi vivono in una situazione di equilibrio dettata dai ritmi e dalle circostanze lavorative. Questo equilibrio sarà però sempre più messo in discussione nello scorrere delle pagine dal susseguirsi di una serie di avvenimenti che creeranno fratture nel loro rapporto tanto che segreti, sotterfugi e tradimenti prenderanno inevitabilmente campo. In particolare, Giorgio e Luciano riceveranno un’offerta sottobanco da un ex collega: la promessa è quella di far decollare il loro percorso personale anche se a GDL verrà chiesto qualcosa in più in quanto, a lui sarà domandato di rivestire la qualità di socio occulto presso la nuova società continuando di fatto a lavorare presso la Casagrande e, in questa doppia veste, adoperandosi per convincere di volta in volta i vari clienti che la Albecom è in crisi e da lì muovere un giro di denaro tutt’altro che chiaro.
La prima impressione che traspare dalla lettura de “Le vite potenziali” è quella dell’anonimato: si viene trasmutati in una realtà mentalmente quasi futuristica in cui il cemento regna sovrano in una miriade di palazzi industriali atti e finalizzati al dipanarsi di società di consulenza e vendita dove i ritmi frenetici e l’assenza totale di interruzioni scandiscono lo scorrere del tempo.
Dai luoghi si passa poi ai personaggi. In particolare, Luciano, è colui che maggiormente spicca rispetto alle esistenze dei due coetanei. Egli è una figura indecisa, sfiduciata, soprattutto in ambito sentimentale, che per sua natura si contrappone a GDL e a Alberto, alla loro quotidianità fatta di certezze e viaggi. Sono tre uomini dediti interamente al lavoro, uomini con ambizioni lavorative, abituati a competere, a siglare contratti, ad averla vinta, a sottoscrivere accordi, a trarre benefici da riunioni aziendali, a far girare i soldi, eppure, sono anche individui incapaci di dedicarsi a storie sentimentali serie. Le loro sono relazioni senza un vero impegno, sono frequentazioni potenziali esattamente come le rispettive vite. Perché il loro obiettivo è la scalata sociale, l’emersione, il divenire sempre e comunque una versione migliore di quel che erano il giorno precedente. E se Luciano è colui che maggiormente rispecchia l’incapacità relazionale dei tre, Alberto, è colui che, nei vari colloqui di lavoro, è prova di questo desiderio di scalata, è prova del sentimento di inadeguatezza e di non essere mai abbastanza, non a caso in tutti i possibili neoassunti ravvisa un carattere di insufficienza. Perché per quanto possano essere brave persone, non riescono a vedersi in una prospettiva superiore negli anni, non riescono ad andare oltre alla propria mediocrità. Si fermano a quelle che sono le loro realtà senza mai puntare su quel che potrebbe essere, su quel che è la potenzialità dei loro strumenti. E in questo contesto, com’è dunque chiaro, non vi è spazio per l’aspetto affettivo. Alberto, GDL e Luciano, sono i protagonisti di un mondo fatto di aridità dove tutto è calcolato e descritto in termini economici e di compravendita. Do ut des.
Con “Le vite potenziali” Francesco Targhetta, già noto al grande pubblico per le sue poesie, mette da parte la scrittura in versi per abbracciare quella romanzesca e narrata. Il suo è e resta uno stile ritmico, pulito e preciso in cui l’impronta poetica è percepibile, tuttavia è anche uno stile che va anche oltre alla ricerca di perfezione lessicale riuscendo a descrivere circostanze e luoghi con grande forza e lucidità empatica. L’opera, infatti, arriva con forza disarmante, lascia l’amaro in bocca e si presenta come un perfetto spaccato di quella che è la realtà attuale.
Concreta, riflessiva, folgorante.
«Si vince giocando per sottrazione: non l'avevano capito? Ascoltare molto, piuttosto, e poi parlare al momento opportuno, affondando il colpo con una manciata di parole: così si fa.» p. 69
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Nelle latebre occhialute
Ne Le vite potenziali di Francesco Targhetta, romanzo finalista al Campiello 2018, tra Alberto, Luciano e Giorgio – rispettivamente fondatore, programmatore e direttore commerciale della Albecom di Mestre – le mie simpatie vanno al nerd Luciano (“A lui interessava programmare, non aprire aziende”). L’antitesi umana dello sportivo Fulvio (“I ragazzi come lui erano pochi nelle aziende informatiche, dove per lo più si annidavano persone del tipo opposto, rifugiatesi lì nella convinzione di poter evitare lo scontro con le proprie eterne nemesi: anche nelle latebre occhialute, invece, arrivavano esemplari dell’umanità oppressiva e machista, quella che gli individui come Luciano avevano cercato di scansare fin dall’asilo…”), che ha inguaiato Matilde… Sembra il gioco delle figurine, una tira l’altra. Peccato che – tra queste figurine – uno rischia di smarrirsi.
Così come si rischia di perdersi tra le considerazioni, spesso estrinseche (“Ma sono persone che vivono nelle commessure, gli architetti, persone che mediano, che lavorano tra le linee, come i trequartisti migliori, che infatti sono sempre tribolati, guardinghi, hanno visi di patimento”), che non giovano alla narrazione e non creano affezione nel lettore, magari originariamente interessato a un romanzo critico su professioni (“Il lavoro di un programmatore risulta agli occhi altrui tedio puro, trattandosi di un paziente gioco di enigmistica al quale partecipano solo lui e il computer”), dinamiche (“L’e-commerce, ti spiego, si basa sulla delocalizzazione e sulla desincronizzazione, cioè: rende possibili acquisti immediati di oggetti lontani che non puoi avere tra le mani subito”) e tipologie umane caratteristiche dell’attuale società tecnocratica e informatizzata.
Giudizio finale: un po’ bislacco e un po’ involuto. Le vicende esistenziali dei protagonisti sfumano dietro un eccesso di dettagli e di retorica che annebbiano la vista.
Bruno Elpis
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