Le colpe dei padri
Letteratura italiana
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Le colpe ataviche del passato
Le colpe dei padri di Alessandro Perissinotto, candidato al Premio Strega 2013 dalla casa editrice Piemme, è un romanzo nel quale si fondo molteplici elementi, tanto da renderlo oltre che un racconto di fiction anche una profonda e ben radicata riflessione sulla nostra storia, sia presente che passata.
Il protagonista, Guido Marchisio, è un uomo di successo, separato, che vive con una donna molto più giovane di lui in una casa lussuosa al centro di Torino. E’ dirigente di un’azienda multinazionale, per la quale è impegnato a stabilire, basandosi su una lista, quali operai licenziare e quali mandare in cassa integrazione, secondo quella logica economica e aziendale che è tanto familiare alle industrie di oggi. Una logica che nasce dalla crisi e dalla volontà di ridurre il personale per fronteggiare l’economia che sta cambiando. Guido vive la sua vita tranquillamente, in pace con se stesso, convinto che non gli manchi nulla: ha una famiglia, genitori, una presenza femminile a scaldargli le notti, e un incarico di grande rilievo che lo tiene impegnato e lo rende l’uomo che è, pieno di soddisfazioni e di sicurezza. Fino a quando, un giorno, in un bar come tanti altri non incontra un uomo che lo scambia per un certo Ernesto Bolle, rivelandogli che costui ha i suoi stessi occhi, ossia ognuno di un colore diverso e lo stesso neo sotto ad uno di essi. Guido rimane profondamente colpito da quella rivelazione che presto diventerà una ossessione, minando per sempre quella pace apparente in cui la sua vita sembrava sprofondata. Chi è Ernesto Bolle? Questa domanda lo tormenterà per lungo tempo e permetterà alla storia di tornare indietro, alla nostra storia che vedrà protagonista non solo più la Torino industriale degli anni 2000, ma anche quella degli anni ’70, in cui Guido Marchisio è cresciuto e ha conosciuto fino in fondo. Gli anni ’70, gli anni della rivolta, degli scontri di piazza, delle lotte nelle fabbriche fino a raggiungere l’apice della violenza e della criminalità con l’avvento del terrorismo e delle brigate rosse e delle loro vittime innocenti. I licenziamenti di allora somigliano così tanto a quelli di oggi, così come le scritte sui muri e gli atti vendicativi e di protesta che gli operai riservano alla stessa auto del protagonista quando la incendiano e la imbrattano di letame. Il passato ritorna prepotentemente nel presente, nella vita di ognuno di noi e non solo in quella di guido, che scoprirà che Ernesto da bambino aveva vissuto nel quartiere povero di Falchera e che era proprio come lui fisicamente e basta questa conferma ad insinuargli il dubbio di essere lui stesso Bolle e di aver vissuto una vita piena di inganni e bugie. Attraverso la vicenda del protagonista, lo scrittore ci riporta nei vecchi quartieri torinesi dove in passato ardeva la lotta e in qualche modo questo richiamo crea una sorta di legame con il nostro presente, manca un elemento fondamentale che rende ogni battaglia persa in partenza ed è il protagonismo. Quello di allora manca, mentre non mancano i giochi di potere, le lotte civili e quelle violente, perché nonostante tutto, nel libro di Perissinotto, prendono spazio anche coloro che alla forza hanno contrapposto la forza, che hanno preso armi in mano e hanno sparato.
“ Ci vorrebbero le brigate rosse.”
Questa frase posta all’inizio del romanzo collega in forma concentrica tutta la storia che viene raccontata, dal passato al futuro, portandoci inevitabilmente al punto di partenza mostrandoci che, anche se sono passati tanti anni, oggi stiamo assistendo a dinamiche simili che lo stesso autore non esime dall’evidenziale:
“mi sembra di assistere alle stesse battaglie, di rivedere dinamiche sociali simili. L’identica paura. Ma con un senso di oppressione maggiore, perché un conto è conquistare certi diritti per la prima volta, altro è accorgersi di doverli riconquistare.”
Le colpe dei padri è un libro duro e drammatico, le parole hanno spesso un suono “metallico” come quelle delle pistole che le Brigate Rosse usavano per uccidere o gambizzare le loro vittime, i sentimenti restano intrappolati nel pudore tipico delle famiglie benestanti di Torino, o annientati dalle difficoltà della vita dei quartieri operai della stessa città, che fa da sfondo in modo sublime alla narrazione. Un romanzo che sorprende ed avvince.
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Il sosia
“Questa storia inizia con un pugno in faccia e finisce con un colpo di pistola, o viceversa, a seconda dell'ordine che vogliamo dare alle cose, perché l'ordine è solo una convenzione e il tempo, che sembra allineare gli eventi lungo sequenze immutabili, talvolta si ritorce su se stesso come legno di vite. In ogni caso c'è un pugno, ben assestato, ma alla persona sbagliata. E c'è un colpo di pistola, sparato alla persona giusta, ammesso che esista qualcuno che davvero si merita un proiettile.”
Un bell'incipit letterario, di quelli che creano una relazione immediata con il lettore (Alessandro Perissinotto insegna all'Università di Torino teorie e tecniche delle scritture).
Una “confidenza” reciproca – quella tra lettore ed autore – che sembra però disperdersi dopo le prime pagine: in fondo, lo stile di scrittura appare asciutto, quasi elementare, e non rende al lettore più esigente quel gusto proveniente da certi lampi di bellezza letteraria o da una particolare ricercatezza del linguaggio. Così si continua a leggere per quella curiosità istintiva che si materializza in un interrogativo ricorrente (più di quanto si sia disposti a credere): “dove vuole arrivare?”...
“Le colpe dei padri” si snoda su un doppio filo conduttore, apparentemente su una duplice storia.
Il protagonista è l'ingegner Guido Marchisio, numero tre della filiale italiana di una multinazionale tedesca della metalmeccanica, la Moosbrugger. Il suo mentore, il dirigente francese Morani, gli ritaglia il ruolo di protagonista in una situazione non proprio piacevole: l'inizio del piano di “risanamento” aziendale, preannunciato da una cassa integrazione che per molti operai delle officine sfocerà nel licenziamento. Una dimostrazione di fiducia da parte della società, che Guido Marchisio deve saper cogliere per rafforzare la propria immagine di uomo di successo.
Proprio in quei giorni, tuttavia, un accidente costringe l'ingegnere a fermarsi in un bar della Falchera, “quartiere-satellite” della Fiat nella Torino degli anni '70, un'area residenziale proletaria e malfamata che di quegli anni ha conservato le sue caratteristiche di zona periferica, la sua marginalità. In quel bar accade un episodio del tutto inatteso e al quale, almeno all'inizio, Guido Marchisio non è disposto a prestare particolare attenzione: un perdigiorno lo scambia per un'altra persona, facendogli intendere che in giro per Torino ci sarebbe un suo sosia. Non è così probabile, in realtà, trovare un “doppio” dell'ingegner Marchisio, visto che l'eterocromia (cioè l'avere due occhi di colore diverso l'uno dall'altro) non è una caratteristica così diffusa. Eppure, evidentemente...
Torniamo alla domanda lasciata in sospeso: dove vuole arrivare, Perissinotto?
Quando, nel seguire i due fili della storia, il lettore si accorge di avere in realtà tra le mani i due capi di uno stesso filo (e questo accade, più o meno, oltre la metà del libro), allora “Le colpe dei padri” diventa una vera scoperta. Si capisce che il suo autore ha volutamente tralasciato le ambizioni stilistiche, preferendo “semplicemente” raccontare una storia e una città, Torino, con uno sguardo al presente, in cui è ambientata la storia, ed uno al passato (gli anni delle fabbriche – e della fabbrica torinese per eccellenza: la Fiat – ma anche gli anni del terrorismo di sinistra).
E, sia detto per inciso, in questo caso l'impresa non era facile per un ulteriore motivo: il tema del sosia, del doppio, è ampiamente sfruttato in letteratura e cinematografia. Perissinotto lo sa, tanto da “giocare” con richiami a Conrad, Dostoevskij e Borges in un apposito capitolo del libro. Aggiungerei ad essi almeno José Saramago, il quale (ne “L'uomo duplicato”) tratta il tema in una maniera che per certi versi ricorda la storia dell'ingegner Marchisio.
Perissinotto, per nulla spaventato dagli illustri precedenti, prosegue nel suo intento e confeziona un bel finale – robusto e ineccepibile – che conclude degnamente il volume. Il lascito, per il lettore, è la serie di intelligenti contraddizioni in esso delineate, che per il protagonista del libro sfoceranno nel vero e proprio dramma personale.
Non sarà un capolavoro “Le colpe dei padri”, non avrà vinto il premio Strega nel 2013 (arrivò secondo), ma è la dimostrazione che in Italia ci sono ancora scrittori che sanno cosa raccontare e come raccontarlo.
“E' questa la colpa più grande di ogni padre, quella di costringere i figli a rendergli conto delle loro azioni. In questo, i padri terrestri sono più esigenti di quelli celesti. Quelli celesti li possiamo negare o addirittura possiamo scegliere quello che ci sembra più facile da esaudire: Dio, Geova, Allah, Buddha, Manitù; quale dio mi si addice meglio? Di quale mi sarà più semplice essere figlio obbediente? Dei padri umani, invece, siamo prigionieri: siamo liberi di compiacerli o di deluderli, ma non di plasmare le loro aspettative nei nostri confronti.”
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Doppia identità di una persona e di una città
Vi è una granitica coesione tra l’immagine sociale e l’auto rappresentazione dell’identità dell’ingegner Guido Marchisio, manager affermato nella sede torinese di una multinazionale, in piena ascesa sia nella vita professionale che in quella di coppia. Gli status symbols che segnano il suo ruolo, inclusa fra questi anche la sua compagna giovane, bellissima e intelligente, comprovano una solida condizione economica, non infastidita da pulsioni sentimentali o da sensibilità alle questioni sociali.
Nella sua torre d’avorio si apre però una crepa, quando un episodio puramente accidentale fa sorgere dapprima il dubbio poi la certezza di avere in sé una duplice identità: quella attribuibile ai fattori genetici dei genitori naturali e quella derivante dall’ambito familiare in cui è cresciuto. Due identità che hanno origini agli antipodi: una coppia di potenziali terroristi e una famiglia della borghesia torinese che l’ha adottato.
La curiosità, ma anche il senso di fastidio con cui aveva iniziato a indagare sulle proprie radici diventa, dopo un episodio drammatico, un processo dirompente. Se i padri hanno la colpa di esigere che i figli rendano conto delle loro azioni, questa pretesa diventa insostenibile se vi sono due padri antitetici. Tale lacerazione porterà l’ambizioso ingegner Marchisio ad afflosciarsi nella realtà di un “uomo senza qualità”.
Sulla duplice identità, sulle tensioni laceranti che ne son o generate, vi sono pagine fondamentali nella letteratura. Tuttavia in questo romanzo vi è una specificità: la stretta connessione fra le due identità in una persona e quelle che segnano la realtà urbana e sociale di Torino, con le sue caratteristiche del tutto peculiari. Una città in cui per decenni tutti sono cresciuti “ sotto l'occhio vigile della stesa matrigna, quella che una volta dettava il ritmo del nostro lavoro, del nostro riposo, che definiva l'orizzonte dei nostri sogni e che oggi, invecchiata e indebolita, è come quelle donne, un tempo bellissime, che del loro passato di creature magnifiche e crudeli, non hanno saputo conservare che la spietatezza". In questa immagine vi è la sintesi di un'evoluzione del sistema industriale e dei mutamenti sociali, delle dolorose tensioni che ne sono conseguiti.
Svanito con la fine di un protezionismo benevolo il rapporto tra la grande industria e la comunità torinese, idealizzato da Valletta, nulla sarà più come prima: la logica della competizione imprenditoriale porterà alla delocalizzazione di imprese, alla chiusura dei capannoni, alle tensioni che sfociarono nella “marcia dei quarantamila”. Una conflittualità che ha fatto emergere la contrapposizione tra due anime della città: una cultura torinese propria della borghesia, di cui Perissinotto tratteggia ironicamente in un flash un modo di essere, un valore, quello della discrezione: “Far piano, non disturbare, parlare a bassa voce, non chiamare le persone da una stanza all’altra”, e un nucleo antagonistico che ha fatto di Torino un epicentro del terrorismo.
Di tale realtà, “Le colpe dei padri” traccia un quadro vivo, con un’analisi della realtà torinese altrettanto ricca, ma certamente più coinvolgente di una ricerca di sociologia urbana. Lo stile è particolarmente gradevole, con efficaci pennellate che ampliano la narrazione a problematiche più generali, a considerazioni sulla storia del nostro Paese (da segnalare le frecciate sulle “creature dell’ombra”).
I frequenti rinvii a citazioni di film possono essere piacevoli per chi ama- come lo scrivente - il rapporto cinema – letteratura; possono, tuttavia, rappresentare un elemento di disturbo agli occhi di chi usa criteri più rigidi di valutazione dello stile narrativo
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Torino anni '70 e anni 2000
In questo romanzo spiccano due argomentazioni forti:un'analisi particolareggiata di Torino anni '70 e allo stesso tempo la dualità dell'esistenza del protagonista Guido/Ernesto.
Perissinotto è molto bravo ad incuriosire i lettori a riguardo delle vicissitudini di Guido, responsabile di una multinazionale tedesca a Torino, che dopo una serie di incontri e traversie varie scopre che su di lui grava un'ombra pesante sulla sua vera identità, in realtà lui si chiama Ernesto.
E su Guido/Ernesto vi è un ulteriore scissione che l'autore riesce a far emergere con abilità, Guido arriva dalla buona borghesia torinese , Ernesto è figlio di attivisti politici con derive terroristiche, i contrasti tra questi due mondi interiori son notevoli e sicuramente tengono sulla corda i lettori. Il racconto come dicevo in apertura è doppio, viene descritta la Torino degli anni '70 in cui a farla padrone furono ideologie legate al mondo dell'eversione non solo politica, ma anche armata e violenta. Allo stesso tempo viene narrata l'infanzia e l'adolescenza di Ernesto/Guido nel quartiere operaio della Falchera, con le abitazioni occupate, la solidarietà tra gli abitanti, e il forte senso d'appartenenza a determinati rioni e zone della città.
Mi hanno molto colpito poi in questo romanzo le digressioni sulla torinesità, non solo del protagonista , ma anche dei personaggi di contorno(... i giorni in cui la nebbia sale dal fiume...non bisogna mai parlare con toni vocali alti, inammissibile chiamarsi da una stanza all'altra a voce alta... i discorsi riguardanti i legami affettivi sempre da evitare e sostituire con argomentazioni relative a traguardi raggiunti in ambito lavorativo e sociale...etc)
Ottima analisi di Torino e gradevoli storie personali collegate ad essa.
Particolare
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Riflessi del passato sul presente
Ne “Le colpe dei padri” i protagonisti sono il passato ed il presente.
Uno spaccato solido del passato e del presente economico-industriale italiano viene colto dall'autore con tocco estremamente veritiero, analizzandone gli inevitabili riflessi sulla società.
Perissinotto cuce con maestria una trama dal sottofondo avvincente, svelando con cautela le carte e catalizzando in tal modo l'attenzione del lettore fino all'epilogo.
Le pagine tristi e cupe che hanno segnato la storia italiana degli anni '60-'70 scorrono palpabili sotto gli occhi del lettore, riaprendo le ferite inferte dal terrorismo e dalla storia industriale di casa nostra, proiettandone gli effetti sulla società del tempo.
Su queste immagini si innestano parallelismi con il presente che sta vivendo il nostro paese; efficace la mano e la creatività dell'autore nel porre passato e presente a confronto, evidenziandone similitudini e divergenze.
Passato e presente significa scorrere del tempo, evoluzione dei costumi e del vivere sociale, significa confronto generazionale padri-figli, significa tempo di bilanci.
Perissinotto mette scena tanta quotidianità, mette scena le scelte che uomini e donne reputano giuste ma che solamente il futuro potrà giudicare.
Un romanzo per rispolverare la memoria di un passato recente, un romanzo per interrogarsi a posteriori sulla correttezza delle strade percorse, un romanzo che fa male e che obbliga a riflettere.
Un lavoro riuscito, carico di sensazioni e sentimenti; una galleria di personaggi ben definiti in parte frutto del loro passato in parte artefici del loro presente.
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Crudo e vero
Le colpe dei padri è un romanzo che parla alla pancia, crudo e vero come quei dolorosi anni di cui tanto bene narra gli umori.
L’autore narra la vicenda di Guido Marchisio, dirigente di una multinazionale torinese, le cui vicende personali e lavorative sembrano andare per il meglio, fino a quando incontra in un bar qualcuno che insinua in lui il dubbio che da qualche parte viva un suo sosia, un gemello dimenticato.
Col passare del tempo il dubbio diventa ossessione e Guido inizia così un percorso a ritroso nel suo passato che lo porterà a guardare con occhi diversi se stesso, la propria famiglia, il proprio lavoro e fin anche la sua città.
Perissinotto riesce magistralmente a fondere la crisi esistenziale del protagonista con temi di interesse collettivo, la crisi del mercato del lavoro con la disoccupazione che ne consegue, ieri come oggi, e il disagio sociale.
Un romanzo davvero ben scritto, che induce a molteplici riflessioni. consigliatissimo.
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La sindrome del doppio
Secondo una credenza popolare, ciascuno di noi ha sette sosia in questo mondo.
Premesso che io non ho ancora conosciuto neanche uno dei miei (buon per loro! E voi?), il protagonista del romanzo di Alessandro Perissinotto – in lizza con altri quattro finalisti per il premio Strega 2013 – viene invece a conoscenza dell’esistenza di uno dei suoi (sosia) in modo del tutto casuale. Da quel momento qualcosa in lui si spezza (“Fu quella la prima volta in cui concepì l’ipotesi di avere un fratello. Di più, un gemello. Ancora di più: un gemello separato dalla nascita”).
“Le colpe dei padri” è un romanzo che ha il pregio di combinare la dimensione psicologica del personaggio principale con l’analisi socio-storico della Torino che non è soltanto quella della Fiat e del suo indotto, ma anche - in senso artistico - la città di Pavese e di Natalia Ginzburg.
L’analisi psicologica del personaggio principale viene condotta attraverso lo studio della sindrome del doppio che si scatena in Guido Marchisio quando apprende di avere in Ernesto Bolle il suo sosia.
Guido è affetto dalla “fobia per le coincidenze” e, grazie alla suggestione della teoria delle sincronicità junghiane (“Le coincidenze non esistono, non per Jung almeno”), decide di identificare Ernesto, che sembra essersi dissolto nel nulla. Nell’indagine Marchisio è agevolato da particolari fisici come l’eterocromia (“Ha gli occhi di due colori diversi e un neo sotto quello destro …” ). La curiosità di conoscere il sosia presto si trasforma in un’impellenza: “Per riuscire a dormire non poteva far altro che tacitare i fantasmi rendendoli reali.”
“C’era quel desiderio, misto a paura, di scoprire un fratello e di provare un sentimento che, fino ad allora, la vita gli aveva negato”.
La storia procede incalzata dalle differenze che separano Guido ed Ernesto.
Il primo è ingegnere, di buona famiglia, realizzato socialmente e sentimentalmente, cinicamente impegnato a tagliare teste nella multinazionale della quale è dirigente. Il secondo sembra provenire dalla periferia (la Falchera) e probabilmente è figlio di due terroristi.
In questa tensione tra poli contrapposti, Guido lascia esplodere il suo dramma esistenziale, per vedere la sua personalità sgretolarsi e capire … Be’, qui è d’obbligo “un bel tacere”, per lasciare al lettore il gusto di scoprire una storia interessante e piena di risvolti.
Basti sapere che, animato dal “caso dello sdoppiamento, o meglio, della sovrapposizione, tra Ernesto e Guido”, “l’ingegner Marchisio prese a confrontarsi col suo mancato sé”.
E le colpe dei padri che danno il titolo al romanzo, quali sarebbero?
Anche qui mi taccio e lascio la parola all’autore: “E’ questa la colpa più grande di ogni padre, quella di costringere i figli a rendergli conto delle loro azioni”.
Perché “dei padri umani … siamo prigionieri: siamo liberi di compiacerli o di deluderli, ma non di plasmare le loro aspettative nei nostri confronti”.
“Con Guido poi il destino era stato ancora più crudele … d’un tratto aveva scoperto un altro padre da soddisfare, da gratificare, un padre che era l’antitesi di quello che fino ad allora aveva seguito remissivamente”.
Il romanzo è una storia avvincente e vagamente pirandelliana, attraverso la quale è possibile rivivere le atmosfere culturali, industriali e post-industriali di Torino: dagli anni sessanta, passando per gli anni di piombo, sino ai drammatici giorni della crisi odierna. Le intersezioni psicologiche, socio-economiche e storiche sono fitte e, capitolo dopo capitolo, imbastiscono una vicenda personale tragica che viene enfatizzata dagli eventi degli ultimi decenni.
La tecnica narrativa è originale nella sua semplicità: è lo stesso Perissinotto che racconta, immaginando di realizzare un’intervista a Guido Marchisio e interagendo direttamente con lui. E con lo stuolo immaginario dei lettori.
Bruno Elpis
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La colpa è dell’uomo! Libera nos a luame…
Un autore che racconta la sua città è la dimostrazione dell’amore che lo lega alla storia, alle conquiste e alle sofferenze che nel tempo si sono intervallate per la crescita e l’affermazione in tutti i campi della propria gente. Perissinotto è torinese ed ama la sua Torino, la ama in toto e lo fa mescolando storie di torinesi che respirano il profumo dell’aria satura di progresso, rendendola industriale e artificiosa, che con il suo spirito ha cambiato la natura dei suoi abitanti. Una città importante, che è stata amata e odiata nel tempo.
“Le colpe dei padri” credo che rappresenti l’opera più importante di Alessandro Perissinotto, per le sue peculiarità a far incontrare le storie degli operai nel contrasto di una complessa struttura che ha dimensioni mondiali.
La chiave di lettura è la sindrome di Stoccolma, il carnefice è la grande industria che lascia un grande vuoto profondo quando abbandona il lavoratore a se stesso rendendolo vulnerabile e depredato della sua identità, per capire la crisi odierna e il cinismo delle strutture industriali di oggi bisogna ricordare inesorabilmente il passato: il dopoguerra, le rivoluzioni sindacali, gli anni di piombo, il terrorismo e le Brigate Rosse.
La storia privata del personaggio principale Guido Marchisio/Ernesto Bolle si inserisce nella storia sociale in modo molto avvincente e credibile, attraverso un ricordo, un flash-bulb e alcune circostanze fortuite, la vicenda si snoda con una suspance che ti tiene attaccato alla pagina e ti culla con uno stile e una narrazione molto appassionata ed ad alti livelli.
Il padre è la fabbrica che genera il lavoro e la ricchezza, il padre è chi genera figli che diventeranno uomini, entrambi hanno l’indole di fare il bene con naturale istinto, eppure finiranno a far emergere le smagliature e a divenire colpevoli e carnefici, è molto sottile la linea di demarcazione dell’arbitrio tra responsabilità e irresponsabilità.
Guido come Ernesto sono l’antitesi di Torino nella sua essenza: il ricco e il povero, il potere e la lotta….bisogna attendere di leggere le ultime pagine per capire il bene e il male e i loro confini fino a dove possono arrivare e fino a che punto si insediano e muoiono le colpe dei padri.
“Superior stabat,lupus, longeque inferior agnus”
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le colpe dei padri e dei figli
appena finito di leggere
scritto bene, con stile fluido e confidenziale
i temi trattati sono molti: il soggetto suggerito dal titolo è il punto di partenza per un riepilogo cinematografico della propria vita di scrittore e di uomo.
è anche un libro su torino, la mia meravigliosa città che a volte punge come un istrice, con le sue malattie e rivoluzioni operaie.
alcune pagine mi hanno riportato indietro con i ricordi,a quando ero bambino e crescevo con i campi alle spalle di casa mia.
da leggere per chi è convinto che passato, presente e futuro sono la stessa cosa