Le case del malcontento
Letteratura italiana
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Il posto della non gioia
Le Case è un piccolo borgo nel maremmano che non ha nulla del fascino che solitamente contorna i piccoli e magari suggestivi borghi di provincia.
Sembra un paese dimenticato dal mondo dove la vita scorre ad un ritmo proprio, le notizie dall'esterno arrivano come qualcosa che riguarda un posto lontano e che non ha niente a che fare con Le Case. Qui gli abitanti trascinano le proprie esistenze tra speranze disilluse, segreti, fallimenti, ognuno col proprio fardello di rammarico e tristezza. Ogni capitolo viene raccontato con la voce di uno dei protagonisti a creare questa storia particolare dove pagina dopo pagina si forma nella mente del lettore l'intricata struttura di legami spesso nascosti o travisati tra gli abitanti del borgo.
A Le Case nessuno è felice, non nascono bambini , i vari personaggi sembrano catapultati in quel contesto da un destino dispettoso, non c'è speranza, solo qualche colpo di fortuna che non è gratuito e se è di aiuto a qualcuno è solo perchè qualcun altro ci ha rimesso prima.
Troviamo finti invalidi che sono tali non per frodare lo stato ma per proteggersi da una comunità indifferente e spesso ostile, rapporti nascosti , aspettative tradite, ignoranza, superstizione e segreti, mano a mano che il racconto prosegue l'autore mischia abilmente realtà e sogni dei protagonisti, alcuni sogni sono talmente intensi da aver sovrastato anche la realtà nella sua pochezza umana, al punto di essersi sovrapposti ad essa nel racconto fatto al lettore rendendogli difficile distinguere il falso dal vero, che torna agli occhi del lettore nelle tragiche pagine finali in cui Le Case sembra idealmente andare verso un destino che era scritto nella sua storia come se il paese fosse stato tenuto insieme dalla forza dei legami , virtuosi o pessimi tra i suoi abitanti e le loro aspirazioni come se il sentire delle persone fosse il collante che teneva insieme i mattoni. Naspini si conferma un narratore di assoluto talento.
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Case, luogo di vita e vivere
Ci sono luoghi che non sono soltanto luoghi quanto anche metafora. Metafora del vivere, metafora e sinonimo di casa. Ed è quello che accade con “Le case del malcontento”, opera di Sacha Naspini che ci porta in Toscana, in bassa Maremma. Ed è proprio a Le case, un borgo che è prigione, un borgo che è provincia, che ha inizio lo scritto dell’autore. Apparentemente siamo in un contesto dove non sembra esservi possibilità di fuga e scampo. Quei borghi millenari sono un microcosmo chiuso in se stesso e che porta il lettore a interrogarsi su quel paese morente e su quei protagonisti che rappresentano ciascuno un caleidoscopio di vite diverse ed eterogenee.
Ogni storia di ogni personaggio è narrata con una propria e specifica narrazione suddivisa per capitolo. Ognuno ha cioè la sua voce ed emerge con le sue caratteristiche principali e peculiari. In questo contesto e in questa realtà ogni voce ricrea la propria anima e il proprio essere. Torna a dare vita a una propria dimensione che si incastona con quella dell’altro per via diretta o indiretta. Gli equilibri vengono però rotti da un ritorno inaspettato; quello di Samuele Radi. Nato e vissuto tra quelle mura è poi fuggito per il mondo. Quel mondo dal quale adesso sta facendo ritorno con la sua scia di storie e realtà da affrontare.
Ed è da questi brevi assunti che prende il via una storia che in perfetto stile Naspini nulla risparmia al lettore. Il narratore ci costringe a metterci nei panni di ogni voce narrante, ci invita alla riflessione e ci porta ad osservare quelle brutture del nostro vivere che spesso non vorremmo affrontare. Si crea una struttura solida e stratificata, perfettamente incasellata che chiede di andare nel profondo e di non fermarsi alle apparenze. Le case è metafora, le case è una realtà che talvolta non vogliamo vedere. È lo specchio del nostro vivere e del nostro esistere. Non semplice è all’inizio la lettura essendo caratterizzata da questa moltitudine di voci che ricorda quasi un racconto tanto possono apparire tra loro a se stanti, di fatto sono in realtà tutte magistralmente intessute tra loro. L’invito è dunque quello a non interrompere la narrazione ma a procedere con curiosità e rapido incedere.
Ecco perché “Le case del malcontento” è uno scritto vivido e forte che si legge gustandolo un poco alla volta e che con semplicità si sedimenta nel cuore senza farsi dimenticare.
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Lontani da tutto. Ma non dal male
Trama: Le Case è un piccolo borgo della Maremma abitato esclusivamente da persone anziane. Un posto in cui le vicende personali si intersecano sino a creare una storia corale fatta di invidie, violenze, vigliaccherie e cattiverie d'ogni tipo.
????Ora, capisco che parlare di capolavoro sia forse eccessivo, tuttavia vorrei spendere questo sostantivo per definire in tal modo il miglior romanzo capitatomi tra le mani negli ultimi anni.
Sacha Naspini sceglie una cifra stilistica debitrice al dialetto toscano perfettamente armonizzato con la lingua italiana, creando un linguaggio crudo, aspro e di facile fruizione, ottimo per riferire dei fatti accaduti nel corso dei decenni in quell'angolo di mondo alieno a qualsiasi modernità, quasi fosse un enclave atavica, rimasta isolata con i suoi segreti inconfessabili e i suoi insostenibili dolori.
Ogni capitolo (raccontato da un personaggio diverso) ci immerge in una fiaba nera, in un abisso dal quale, nonostante il naturale rigetto, pare impossibile distaccarsi. Naspini procede fluido nella costruzione di un'architettura impensabile, piena zeppa di colpi di scena e di trovate che lasciano a bocca aperta. L'autore ci costringe a osservare le brutture di questo microcosmo stantio, in cui i lati più deprecabili della provincia, e più in generale della società odierna, inducono ad interrogarci. Cosa avremmo fatto noi nei panni di questi grotteschi personaggi? Domande le cui risposte terrorizzano, riuscendo a portare alla luce i nostri antri più oscuri. Le Case è come un essere senziente, nutrito metodicamente dalle storie e dai sentimenti dei suoi abitanti, un non luogo in cui dramma, horror, thriller e (rari) scorci romantici si avvicendano in una lettura punteggiata da continui scheletri negli armadi, simulacri mostruosi in onore della natura orripilante, e quindi così umana, dei suoi abitanti.
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Un grande piccolo borgo
Mi corre l’obbligo di effettuare una doverosa premessa relativa all’autore, da me conosciuto una decina di anni fa in occasione della pubblicazione di un mio libro con un comune editore, Il Foglio Letterario, piccola, ma solo a dimensioni, realtà imprenditoriale; in quella circostanza, oltre a conversare piacevolmente con Naspini, ho ritratto la sensazione di trovarmi di fronte a un narratore di grandi speranze, sensazione che ha trovato poi una conferma nella lettura delle sue prime opere, vale a dire I sassi, un noir che privilegia gli approfondimenti di carattere psicologico, e L’ingrato, una storia di paese che è il pretesto per una spietata denuncia della maldicenza. Soprattutto quest’ultimo presenta caratteristiche e peculiarità proprie di un artista esperto e consumato, elementi positivi che si ritrovano in genere al culmine di una lunga carriera letteraria e non certo ai suoi inizi, a inequivocabile prova che in Naspini non c’è solo talento, ma quello stato di grazia proprio dell’artista a tutto tondo. Sono seguite poi altre opere, di cui l’ultima, Il gran diavolo, è un romanzo storico incentrato sulla figura di Giovanni dalle Bande Nere, un genere che non è peculiare del narratore toscano, ma il cui risultato è stato tuttavia ampiamente soddisfacente. Ritorna ora, in un certo senso sulle orme dell’Ingrato, questo Le case del malcontento, un’opera di per sé quasi ciclopica con le sue 464 pagine (romanzi così corposi non frequenti al giorno d’oggi), ma non gli si può certo imputare di aver voluto tirare in lungo o di essere stato dispersivo, anzi ho l’impressione che si sia frenato, perché avrebbe potuto scrivere ancora di più.
Le Case è un paese, un borgo della Maremma toscana, un insieme di abitazioni e di rocce, di cave, di strade con grandi curve, insomma una piccola realtà talmente a sé stante da considerarla quasi un enclave nell’ambito di uno stato assai più esteso; eppure, riflette, nei suoi personaggi, e pur con le tipicità di un mondo provinciale, le presenze quotidiane in cui normalmente ci imbattiamo e di cui noi stessi siamo parte. E di questo agglomerato Naspini narra una storia, o meglio racconta tante piccole storie che finiscono con il fondersi in un racconto assai più grande, un racconto corale che porta il lettore da casa in casa, dal termine della guerra alla fine del secolo scorso. Peraltro l‘impostazione strutturale è di una originalità particolare, perché l’opera inizia con la pianta del borgo e ogni casa ha il suo nome e ognuno di questi nomi, congiuntamente ad altri, è uno dei narratori, così che ogni capitolo comincia con un nome che racconta, che spazia dal passato al presente; ogni nome è protagonista, racconta di sé, ma anche di sprazzi della vita di altri, che possono benissimo essere smentiti o visti in altro modo, insomma una complessa realtà in cui tutti sono dipendenti l’uno dall’altro, e ognuno è tutto e il contrario di tutto. Ciò che in realtà Naspini narra è un mondo che sta in piedi con fragili puntelli, caratterizzato da inganni e da segreti, destinato, e non potrebbe essere altrimenti, prima o poi a implodere. Mi pare evidente che se si pensa all’attuale realtà non è difficile comprendere che è tutta la nostra Società a dare vita alle case del malcontento.
Le Case è pertanto una metafora di un realtà che non vogliamo vedere, come se a nascondere la verità la menzogna potesse diventare verità, atteggiamento che inevitabilmente prima o poi finirà con il travolgerci.
Lo stile è fresco, scorrevole, la tensione è in costante crescita, pagina dopo pagina, così da risultare il romanzo piano piano avvincente, avviluppando il lettore in una rete in cui la commistione di diversi generi, anziché risultare sgradita, affascina, convince ed è un altro dei motivi di pregio del libro. A voler cercare un difetto è un po’ difficile trovarlo, anche se c’è il rischio concreto, di perdersi, di fare confusione con tanti personaggi che quasi si spintonano per mettersi in luce, ma è un peccato da poco, quello che si potrebbe definire veniale, perché in fondo che sfugga un nome, o si confonda l’uno con un altro poco importa, perché determinante è l’immagine che viene a crearsi di una piccola e chiusa realtà, coincidente però con il mondo intero di cui essa stessa è parte. Forse gridare al capolavoro può sembrare eccessivo, ma se non è tale, e al riguardo ho più di un dubbio, Le case del malcontento è almeno di un elevato livello di eccellenza.