Le belle Cece
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Un piacevole sapore di passato
La storia raccontata da Vitali è piacevole e simpatica, semplice ed essenziale. Lo stile è particolare, il racconto è composto in prevalenza da dialoghi che calzano perfettamente con il contesto. L’autore rende alla perfezione il sapore di un tempo passato, il clima di un paese lombardo nei primi decenni del ‘900 italiano. Siamo a metà degli anni trenta, l’idea balzana di organizzare un concerto di campane per richiamare in piazza i cittadini per celebrare la nascita dell’impero fascista, risulta essere il pretesto che dà il via alla trama. Un evento altrettanto originale mette in subbuglio il paesino e i suoi paesani che fanno di tutto per svelare il mistero e allo stesso tempo insabbiarlo.
Lo scrittore rende perfettamente l’ambientazione di paese, ogni personaggio ha il suo soprannome, è ben caratterizzato, Vitali è molto bravo a condurci per mano a spasso per la storia, la descrive con le parole dei simpatici abitanti di una Bellano di un tempo che fu.
Il Semola, il Malversati, il Dulcineo, la bella Verzetta e la Selina sono alcuni dei personaggi che mi hanno accompagnato gli ultimi due giorni, mi hanno riportato alla mente le atmosfere dei vecchi film di De Sica, come: “Pane, Amore e fantasia”, o il ciclo di film di don Camillo e Peppone.
La semplicità della storia va d’accordo con la vita di paese dei primi anni dello scorso secolo, dove succede poco o niente, e un evento di poco conto mette in agitazione l’intera comunità. Nonostante l’ambientazione nel periodo meno felice della nostra storia, l’autore riesce a costruire una commedia spassosa e piacevole giocando con i bellanesi dell’epoca, li mette in circostanze al limite del surreale, rendendoli però molto realistici.
Una bella idea, realizzata con maestria e originalità, uno stile a mio avviso interessante che credo sia la firma distintiva di questo scrittore. Un romanzo che si legge velocemente, e che lascia quel piacevole sapore di passato.
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Opinioni inserite: 5
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Una storia di mutande
La presenza del Maresciallo dei Reali Carabinieri Maccadò è una garanzia, nel senso che improntare la narrazione a una sia pur tenue venatura gialla fa sì che il romanzo possieda un fil rouge intorno al quale animare diversi personaggi, ma soprattutto il bonario investigatore. Nella storia di Le belle Cece non ci sono morti ammazzati, né rapine, bensì il furto di mutandine da donna. Già l’indumento può lasciar presagire uno sviluppo erotico, una vicenda di amorazzi carnali che non era rara in Piero Chiara, ma che invece latita nel quasi pudico Andrea Vitali, e se poi si inventa un personaggio come il sottocapo di manipolo Stelio Cerevelli, detto Dolcineo, un po’ effeminato e probabilmente omosessuale, e per non sbagliare gli si affianca un nero africano tale Buluc, tuttofare (forse anche quello...) del predetto Dolcineo, va da sé che quella sfumatura di giallo iniziale si colora di rosa. Gli ingredienti del pastone non sono finiti, perché ci sono anche le belle Cece, quelle del titolo, madre e figlia, due belle donne piuttosto vogliose, e se non bastasse c’è il marito della seconda, un ispettore di produzione del cotonificio, che è l’emblema della classica carogna, altezzoso, cattivo, e perfettamente cornuto, nonché il locale segretario del fascio, uomo che si crede d’azione e invece è un minchione. Carne al fuoco quindi ce n’è in abbondanza, ma quando è tanta si deve stare particolarmente attenti alla cottura, e il tal senso Vitali si impegna con encomiabile dedizione, non riuscendo tuttavia a evitare che qualcosa cuocia troppo e rischi di bruciare, nel senso che fino quasi al termine fila tutto liscio, ma poi si verifica l’intoppo, proprio quando Maccadò convoca in caserma tutti i protagonisti, un po’ come è abituato a fare Poirot. Quello è il momento della verità, è l’ora in cui deve essere fatta chiarezza, ma a dispetto dello scopo il Maresciallo s’improvvisa prestigiatore ed estrae dal cilindro la soluzione, non senza aver fatto un po’ di confusione. Posso dire che forse Vitali si è lasciato prendere la mano, ha dato troppa corda al suo investigatore e a un certo punto questi, libero dal vincolo del narratore, si è dovuto inventare una soluzione che, guarda caso, ha risvolti boccaceschi, un menage a trois, mamma, figlia e Buluc, ancor più tuttofare del solito. In ogni caso è il Vitali che ben conosciamo e, nonostante i limiti, quell’innesto rosa, con tanto di allusioni, è riuscito bene, ha dato tono e forza a un romanzo che si legge con piacere.
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Un Vitali frizzante
Siamo di nuovo a Bellano, stavolta nel 1936 poco dopo il termine della guerra in Etiopia, dove ai grandi eventi storici si alternano piccole storie di paese, pettegolezzi, chiacchiere e qualche intrigo da risolvere. Stavolta il giallo ruota intorno ad un'aggressione ed ad un paio di mutande da donna ritrovate in una giacca da uomo. Già qui scappa una risata ed è facilmente intuibile la piega ironica e divertente che prende la vicenda, con personaggi che si alternano sulla scena, con il loro carattere, le loro idee, i loro unici gesti.
Un Vitali frizzante come non mai, che mette in scena una commedia che, pagina dopo pagina, il lettore riesce a visualizzare come fosse nella platea di un teatro a vederne la rappresentazione sul palcoscenico. Tra i diversi libri che ho letto sicuramente è tra quelli che più mi ha divertito, che ho trovato più brillante e che ho letto con più piacere.
Non delude nemmeno questa volta questo autore senza troppe pretese, ma simpatico e divertente che si lascia divorare in poco tempo mettendo sempre di buon umore.
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Il caffè dei miracoli - Franco di Mare
Questione di brache calate
Un nuovo guaio sulle rive del lago di Como, il paese di Bellano di nuovo teatro di un evento increscioso riuscito ad adombrare i festeggiamenti della proclamazione dell'Impero d'Italia, con l'annessione al Regno della colonia etiope. L'anno 14 dell'era fascista doveva essere ricordato per la conquista dei territori africani è invece, a Bellano, famoso per una vicenda di biancheria intima rubata. Per i paesani assume il furto più importanza dell'impero da celebrare e del concerto di campane messo in piedi a tale scopo, così i campanili religiosi e secolari del comune, gioiosi al suono di “maccondirondirodello” passano in secondo piano.
Esplode un caso da “Moulin Rouge”, l'intimità della ricca borghesia di paese viene ridicolizzata e messo in evidenzia che il più pericoloso calo di brache è quello metaforico e non quello reale. Se il secondo produce effetti su chi lo compie o al massimo sul cornificato consorte, il primo è capace di spiattellare sulla pubblica piazza i vizi privati per generazioni, trascinando nel fango più di una famiglia. Nel caso specifico tutta la “Bellano bene”.
I tradimenti e i pruriti di signore più o meno attempate sono il centro delle scena, narrati con sincerità, malizia, leggerezza e frivolezza, senza volgarità. Lo stile è fresco, semplice e di facile fruizione, le parole capaci di rendere l'aria di complotto e di sospetto narrata dalle vicende e nel contempo abili nel far trasparire quel sorriso sornione tipico delle facce dei pettegoli e delle comari, le cui frasi hanno spesso inizio con “io te lo dico, ma non farne parola con nessuno”.
Di nuovo, ne “Le belle Cece” rimestiamo tra la polvere dei tappeti, apriamo gli armadi, spiamo da dietro le tende, sussurriamo mezze frasi sotto il casco della parrucchiera mostrando le ammaccature nelle apparenze delle vite costruite delle, cosi dette, “persone perbene” facendo emergere, tra un sospetto e un sospettato, i personaggi tipici dei piccoli paesi. La pettegola, l'arricchito, lo scroccone diventano protagonisti e attori di scene di vita vissuta dell'Italietta degli anni trenta, palesando modi e maniere di un tempo. Caratteristiche di un passato che per certi versi ci appartengono ancora, ma che fanno sorridere, come la moglie che può fare ciò che vuole purché prepari la cena al marito, obbligato ad arrivare puntuale al desco e il vecchio diritto di famiglia, dove si recitava che con il matrimonio “La moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito” , fornendo alla sposa, tra gli altri privilegi, la possibilità di cifrare le mutande con più lettere che da nubile!
Durante la lettura spesso si ride e il quadro che si compone è credibile, solo in alcuni passaggi si ha l'impressione che la corda venga tirata più del dovuto, come a voler allungare le pagine senza sortire alcun effetto benefico, producendo solo stanchezza nel lettore.
Verace e simpatico!
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QUESTIONE DI MUTANDE
E' il maggio del 1936 e l'Italia fascista conquista l'Impero d'Africa.
Questo avvenimento non può che essere festeggiato come si deve anche dalla delegazione di Bellano, che vede come suo segretario Fulvio Semola.
Il Semola non ha in mente una manifestazione banale di bande, discorsi e raduni, ma un vero concerto di campane...a Bellano, tra chiese, asili, orfanotrofi e santuari le campane sono ben 20.
Un avvenimento senza precedenti come senza precedenti è la conquista dell'Impero.
Il nostro Semola, benché tiepidamente osteggiato un po' dalla moglie, un po' dal parroco, un po' dai compagni, riuscirà finalmente nell'evento...ma...ma a Bellano dalla mitica notte del 9 maggio 1936 in cui finalmente anche l'Italia ha un impero di colonie...ci saranno ben altre battaglie da portare avanti, e gli antagonisti del nostro buon Semola saranno ben altri.
È una questione di mutande. Da donna. Sparite, ben 3 paia.
E le iniziali VCM lasciano senza dubbio pensare che la biancheria sia della moglie del perfido Malversati: Eudilio Malversati, una carogna, e pure superbo ispettore di produzione del cotonificio.
Ma quelle mutande, della bella Verzetta Cece in Malversati...che ci fanno nella tasca del Semola?
E come sono arrivate nella tasca dello stesso Malversati, vittima di un agguato che col favore delle tenebre lo ha coperto di lividi e legato ad un albero in piazza?
E il terzo paio? Che fine ha fatto.
Su tutto questo, per evitare lo scandalo, dovrà indagare appunto il nostro povero Semola.
La narrazione si svolge come una commedia: a tirarne le fila non sarà l'investigator Semola, ma il maresciallo dei carabinieri Maccadò che in tour de force di interrogatori di personaggi di paese al limite dell'esilarante riuscirà a sbrogliare la matassa di una situazione insolita quanto forse banale...
Reati non ne sono stati commessi...forse le mutande nemmeno sono stare effettivamente rubate...insomma, come si fa ad indagare su un crimine che non è un crimine?
Sullo sfondo una serie di personaggi sempre efficacissimi ed esilaranti: il Dolcineo, personaggio di dubbia mascolinità che è tornato dalla campagna d' Africa con un esotico “servitore” nero, il “Balabiot” che fungerà da capro espiatorio della faccenda mutandifera...
La Verzetta Cece, mogliettina del Malversati, la di lei mamma Orbetta Cece, che, come due topoline, ballano quando il gatto Malversati non c'è...
I carabinieri della stazione di Bellano: Misfatti, Caldiluna, Defendini.
Selina, la moglie del Semola.
Il Volantino, l'ubriacone di paese che per un pasto (che magicamente si tramuta sempre in vino) segue, spia, informa chi gli chiede aiuto.
Un volumetto svelto, diretto e divertente, in uno stile fresco, ironico di un'ironia garbata tipica di Vitali.
Non è un capolavoro ma è sicuramente una lettura piacevole, che racconta un'Italia d'altri tempi, che poi in fondo in fondo non è così diversa da quella di oggi.
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Mutande in piazza nella Bellano degli anni '30.
Siamo nella Bellano degli anni ’30, l’Italia fascista ha conquistato l’Etiopia ed a Bellano il segretario del partito, Fulvio Semola, vuole festeggiare l’evento con un grande concerto di campane, in attesa del discorso di Mussolini che proclamerà l’impero. Grande agitazione in paese, mormorii, approvazioni e dissensi, perplessità dei regi carabinieri. Così inizia il nuovo romanzo di Andrea Vitali, con Camilleri uno dei più prolifici autori italiani : dove tragga gli spunti non so, ma è certo che i suoi personaggi sono sempre esilaranti, non da ultimo per i nomi (scovati a quanto si dice nei vecchi cimiteri di campagna) che offrono tutto un panorama antico di reminiscenze contadine e letterarie. In questo romanzo ecco apparire Artide, Eudilio, Meme, Redegonda, Verzetta e Orbella (le protagoniste), per non parlare di Oberdania e Cancrena. Venendo al contenuto, tutto ruota attorno ad alcune paia di mutande delle già citate Verzetta e Orbella, rispettivamente moglie e suocera di Eudilio Malversati, un odioso e viscido ispettore di produzione del cotonificio locale che non manca di denunciare inflessibilmente piccole mancanze degli operai ai padroni. Le due donne, in un certo senso trascurate dai rispettivi mariti, se la spassano di nascosto con l’attendente negro che un giovane del paese, di ritorno dalla campagna d’Africa, si è portato a casa. Ed è tutto un susseguirsi di sotterfugi, piccole vendette, incontri, bugie e mezze verità, che alla fine riescono a coinvolgere perfino i regi carabinieri, rappresentati dal maresciallo Maccadò e dall’appuntato Misfatti, già ben noti ai fedeli lettori di Vitali. La lettura scorre piacevole, i personaggi sono come al solito ben caratterizzati, situazioni che sembrano surreali si susseguono a ritmo incalzante, tra mugugni, ripicche e imprecazioni: il burattinaio Vitali tira i fili delle sue marionette con consumato mestiere, suggerendoci che le beghe di paese sono quasi sempre le stesse, pur cambiando tempi, usi e costumi.