Le altalene
Letteratura italiana
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Perla fragile
Lui è un uomo burbero, che è facile purtroppo giudicare dall’esterno, per i modi un po' bruschi, per la bottiglia di vino che è diventata caricaturale, per come i clichés ti portano ad etichettarlo. E’ però anche un’anima gentile, una perla fragile, che, a partire dai primi anni, ha profondamente sofferto per una situazione familiare fredda e distaccata. Questo libro, autobiografico, è venato di una malinconia diffusa, perché l’autore si abbandona al ricordo, che a volte è sofferto, a volte è dolce e morbido, a volta è sferzante. Ne nasce un fluire ininterrotto di pensieri, con profonde riflessioni sul rapporto con il dolore, così come con i genitori, con i figli, con la malattia di una figlia, e al centro, sempre, il dramma più grande che la sua terra ha vissuto, il disastro del Vajont. Vivere è come scolpire un tronco. Ognuno il suo. Con tutti gli imprevisti della materia prima che lo scultore può incontrare intanto che lo incide e cerca di dare la forma desiderata. Libro poetico, struggente, vero, con cui l’autore ci restituisce tutte le emozioni del suo cammino verso il tramonto.
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L'altalena della vita
Mauro Corona, il ben noto scrittore, alpinista, scultore del legno, ora anche ospite fisso in una trasmissione televisiva di intrattenimento, evoca in questo nuovo romanzo episodi della sua vita: è un fiume in piena, tutto un susseguirsi di ricordi, rimpianti, speranze, delusioni cocenti, oscillando, proprio come l’altalena della sua gioventù, tra gioie e dolori. Non ha la struttura di un classico romanzo, è un fluire continuo di riflessioni che, ad una prima lettura, può lasciare sconcertati, ma che rivela in tutte le sue sfaccettature un personaggio sincero, aperto, privo di condizionamenti. Tema che ricorre più volte nel racconto è la tragedia del Vajont, quando nel 1963 (Corona aveva appena tredici anni) una frana si riversò sul bacino artificiale della diga causando un’inondazione a valle che causò quasi duemila morti, tra cui quattrocentoottantasette bambini. Questo dato, ripetuto più volte nel racconto, non cancella i ricordi ed esacerba il dolore e la rabbia dello scrittore nei confronti delle colpe di ingegneri e geologi e degli errori di chi poteva evitare la tragedia: “… quella notte non ci volle molto a cancellare vite, pascoli, boschi, culture … morti sopra, morti sotto, supersiti fuggiti e silenzio … sono passati sessant’anni, agli autori del massacro il silenzio del disprezzo”.
Insieme al ricordo dell’immane tragedia, sempre affiorante nel racconto, Corona passa in rassegna a cuore aperto tutta la sua vita: non tralascia nulla, dall’infanzia all’adolescenza, trascorse tra legnate e punizioni incomprensibili da parte di un padre violento, compensate e rese meno insopportabili dall’affetto di nonni e zie, fino alla maturità, agli studi, alle prime letture alternate ai lavori nei campi, alla scalata delle vette, alle prime esperienze come intagliatore e scultore del legno. La vita non scorre facilmente: la morte della madre e di un fratello, alcune traversie giudiziarie, il carattere ribelle, la lotta per liberarsi dall’assuefazione all’alcool segnano il carattere ed i rapporti con il prossimo rendendo il protagonista malinconico, chiuso in sé stesso, ostile al mondo che lo circonda: lo consolano i tanti ricordi della vita trascorsa, l’incanto del paesaggio, il verso del cuculo che si ripete ossessivo, la visione dei boschi e delle montagne che hanno messo alla prova l’abilità dello scalatore e, non ultimo, qualche buon bicchiere di vino. Non mancano amare riflessioni sull’evolversi della nostra società nel tempo, su come eravamo e su come siamo, simboleggiati dall’altalena sullo spiazzo vicino a casa, un tempo ben funzionante e ben oliata, oggi abbandonata e arrugginita. Il simbolo dell’altalena è richiamato più volte, perché Corona è convinto che “… tutto nella vita è altalena. fino all’ultima oscillazione, che può avvenire all’andata o al ritorno, ma questo conta poco. Salute che fugge e torna, amore che viene e va, sole che nasce e tramonta, brutto tempo che arriva, bel tempo che torna. Salite alle vette, calate a valle. Successi e fallimenti, sconfitte e vittorie …”.
Lo stile narrativo è scarno, talora contorto e ripetitivo, ma sempre convincente e appassionato, l’intimo è messo a nudo con sincerità disarmante. Numerose nel contesto le citazioni letterarie che, unitamente alla traduzione di qualche espressione dialettale, sono raccolte a fine romanzo.