La voce di Robert Wright
Letteratura italiana
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Carlo vs Robert
Chi già conosce Sacha Naspini sa che è un autore che tocca immancabilmente temi importanti e corde profonde. Temi che vanno dai legami familiari alla vita, al vivere e all’esistere. Sa ancora che tra le sue pagine troverà dolore ma anche riflessione perché egli nulla risparmia a chi legge. Naspini sempre conduce per mano, nei meandri della mente e dell’anima. Nel buio più oscuro. Questa volta però, con “La voce di Robert Wright”, egli ci propone un qualcosa di completamente diverso da quanto precedentemente presentato.
In merito, il cambiamento è evidente già dalla voce narrante che, questa volta, è una seconda persona singolare. Il narratore, di cui all’inizio non conosciamo granché, si rivolge direttamente al lettore. Carlo Serafini sembra infatti avere tutto. Una carriera con i fiocchi in cui ha prestato la sua voce a Robert Wright sino a far proprio il personaggio, una moglie più giovane e un figlio. Egli è da sempre, infatti, associato a Robert. Basta che si fermi in un bar per sentirsi chiedere se magari vi è una conoscenza pregressa. Ma cosa accadrebbe se un giorno Wright morisse? Cosa ne è della sua esistenza di doppiatore e di uomo una volta che quella che è stata la sua prima identità è perita?
Perché da questo momento in poi quel che viene meno non è soltanto il suo vivere, il suo ruolo nel mondo ma anche la sua vera e propria identità. Per tutta la sua esistenza si è sempre crogiolato dietro il suo ruolo e adesso che lo ha perso, che quella figura imponente lo ha lasciato nudo, cosa resta di lui?
«Gli indizi portavano proprio alla strada con cui ti eri preso a sprangate all’inizio: il giullare shakespeariano non riusciva a guardarsi senza cerone. Paranoia, manie di persecuzione, violente crisi depressive, dissociazione dalla realtà. Alla fine un cocktail letale a base di psicofarmaci. Robert Wright aveva tanti personaggi. Tu uno solo: lui. Ora camminavi come un terremotato che ha perso tutto.»
Da questo momento osserviamo quella che è la sua deriva, la sua rovina. Impietosa, imprescindibile, implacabile. Ci interroghiamo, anche. Ci chiediamo spontaneamente a chi appartenga davvero quella meschinità. A Wright? O forse quella che emerge altro non è che la meschinità del vero volto di Serafini? E cosa accade quando la maschera cade? Sarà anche il connubio creato con Vanessa Sarchi a ridistribuire le colpe.
“La voce di Robert Wright” è un romanzo molto diverso rispetto ai precedenti lavori di Naspini, più maturo e più accurato ma è anche un libro che si conforma a quello che è il suo stile e il suo essere tanto che la sua prosa, anche questa volta, non sbaglia il tiro nemmeno di un millimetro. È di una precisione disarmante. Esattamente come la tematica dell’identità e dell’io che viene rievocata e che rimanda ai grandi della letteratura classica che abbiamo amato. Ed è grazie alla mancanza di voce, al silenzio protratto volontariamente, che Serafini sceglie di tornare a se stesso. Anche se questo può significare limitarsi ad osservare e per questo essere un fantasma quando, nel paradosso, è un io che cerca.
“La voce di Robert Wright” è prima di tutto un viaggio interiore, introspettivo e profondo. Un gioco di specchi governato da un maestro del narrare che confonde le acque e mescola le carte con semplicità. Il tutto sino a un epilogo che ricompone quel puzzle fatto di verità e perché.