La vita sconosciuta
Letteratura italiana
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Una percentuale di vita sconosciuta
Se è vero che “Ognuno ha una percentuale di vita sconosciuta alla propria compagna”, è altrettanto vero che la percentuale di Ernesto è vicina all’unità: tradisce la moglie in “lupanari a cielo aperto”, in relazioni clandestine e mercenarie con altri uomini.
Di ritorno da una di queste evasioni torbide, Ernesto trova la moglie Agata senza vita nel loro appartamento. È l’inizio di un dolore alterno e contradditorio (“La sua tragica fine prematura ha spezzato per sempre la possibilità di un perdono, di un armistizio capace di riallineare il passato e bonificarlo”), fatto di solitudine, di rimorsi e, talvolta, di pensieri scellerati (“Persuaso che un parossismo di abiezione fosse il solo antidoto efficace per neutralizzare quella piccola esplosione di dolore”).
In “quei primi mesi di vedovanza” Ernesto ripercorre il proprio “passato barricadiero”, quando ha conosciuto Agata (“Io figlio di un operaio milanese della Breda e lei figlia di un operaio siciliano del Petrolchimico di Gela”) nelle frange del terrorismo degli anni settanta ai quali riconduce il proprio fallimento sociale, esistenziale e sessuale, come emerge nell’incontro finale al cimitero con Ventura, uno dei capi della lotta armata…
Un periodo conclusosi con il fallito attentato all’inerme Doria, giornalista de L’Unità. Un doppio segreto inenarrabile, sia dal punto di vista della cronaca, sia per il rapporto personale con il leader Faenza.
Giudizio finale: retrospettivo, funereo, a tratti doloroso (“Il dolore non è sempre un grumo nero che il tempo riesce a diluire. Può restare intatto e semmai lievitare, occupare sempre più spazio e irrompere improvviso proprio quando ci si illude di averlo tenuto a bada”).
Bruno Elpis