La vita oscena
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Quell'oscura poesia autobiografica
Aldo Nove è prima di tutto un poeta. In questo libro l'autobiografia raccontata non è narrazione, non è linearità, non è cronologia e nemmeno ordine e successione. È una poesia. Una lunga e difficile poesia, infernale, intensa, quasi irreale. L'autore stesso la definisce "non normale". È una cascata perpetua di metafore in un tempo approssimativo, in un Limbo. Un'espressione pura e priva di inibizioni di una sofferenza, iniziata con la morte prematura di entrambi i genitori, proseguita dalla depressione e terminata con la sperimentazione di tutto ciò che di estatico-infernale puó offrire il mondo: i tentativi di suicidio, l'assunzione di droghe, il sesso selvaggio a pagamento, la lettura alternata di poesie e riviste pornografiche. È sì il regno di Satana, ma anche della solitudine e dello smarrimento, seppur tuttavia non comporti la perdita di uno scopo: in tutto questo dolore vi è una costante ricerca di piacere, a costo di soffrire pur di provarlo, di non dimenticarlo, a costo di vivere una vita oscena in bilico sul baratro della morte, forse perfino trovandosi all'interno di Thanatos stessa, ivi amante appassionata e inscindibile di Eros.
Ciononostante, essendo un romanzo autobiografico e come tutte le opere appartenenti al suddetto genere, non tutti i lettori possono essere in grado di comprenderlo. Quel linguaggio così forte, quelle metafore arzigogolate e onnipresenti, quei contenuti privi di veli e censure non riescono a colpire fino in fondo e a raggiungere il cuore di chi legge. L'empatia non è immediata e neppure totale, in certi punti pare quasi di trovarsi di fronte ad un'esposizione linguistica completamente gratuita e casuale, rivestita di una complessità oltremodo superflua. La distanza fra autore e chi legge pertanto si acuisce, creando un abisso invalicabile, rendendo così tutta la poesia dell'insieme effimera e totalmente dimenticabile nell'istante stesso in cui si volta pagina, in cui l'occhio oltrepassa appena due parole.
Non è un libro per tutti, non è di facile immedesimazione e sintonia, non è Chronos o Logos perchè è un'anima, un vortice di sensazioni tirate fuori con difficoltà da un corpo che le ha vissute in pieno e le ha appiccicate sulla carta mutandole in inchiostro.
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IL DOLORE OSCENO
Appena inizi a leggere "La vita oscena" ti arriva addosso un'ondata di dolore che non riesci a scansare, ti sovrasta e poi ti sommerge come uno tsunami. Parole dure, durissime ti colpiscono come una scarica di proiettili. Cancro. Morte. Solitudine. Disperazione. Psicofarmaci. Un adolescente che perde entrambi i genitori, il vuoto e l'angoscia che iniziano già prima, dalla paura di questa morte, e dopo è come se il protagonista premesse un pulsante di espulsione da sé: inizia a vivere senza esistere, in uno stato di perenne alterazione da alcool e cocaina, dove tutto è amplificato ma anche allontanato, come in un presbite tentativo di messa a fuoco della realtà. Poi pagine e pagine di attesa della riemersione che, invece, è frustrata a ogni passo, a ogni gesto del protagonista dalla sensazione di un inabissamento senza fondo. È un flusso di coscienza, o piuttosto di incoscienza, il racconto senza sconti e senza commiserazione di un tentativo dopo l'altro di auto annientamento, che passa attraverso l'alcool, la droga gli psicofarmaci e poi il sesso, comprato in ogni possibile forma. Ma la scrittura ha il ritmo della poesia, e qualcosa di poetico ti raggiunge anche nei momenti più squallidi e angoscianti. Forse è la totale assenza di giudizio che spiazza, perché il protagonista non giudica se stesso né gli altri, forse è la capacità di fotografare in modo preciso e persino asettico questa condizione di non-vita, che riesce a raccontare senza voler stupire né colpire o scandalizzare. C'è qualcosa di molto potente in questo racconto. Per il protagonista non c'è morte e non c'è rinascita, c'è solo la vita, e l'inferno che ha dentro e che pure può attraversare. Per uscirne.
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La vita oscena
Nonostante diverse recensioni entusiastiche lette su diversi giornali, "La vita oscena" non mi è piaciuto, l'ho trovato pesante e senza soluzione, solo un elenco ben scritto di pratiche sessuali sempre più estreme che unite a droga ed alcol conducono il protagonista sempre più a fondo, fino all'inevitabile bivio rinascita o morte... Non sono riuscita ad appassionarmi alla sua sfortunata storia, nè per lo stile con cui viene raccontata (Nove è un poeta, e si vede!) nè per il suo contenuto, anche se il racconto freddo e distaccato credo sia una prerogativa necessaria a spiegare lo stato d'animo del protagonista... ad ogni modo, decisamente non mi è piaciuto... peccato!