Narrativa italiana Romanzi La vita in tempo di pace
 

La vita in tempo di pace La vita in tempo di pace

La vita in tempo di pace

Letteratura italiana

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L’ingegner Ivo Brandani è sempre vissuto in tempo di pace. Quando il libro comincia, il 29 maggio 2015, Ivo ha sessantanove anni, è disilluso, arrabbiato, morbosamente attaccato alla vita. Lavora per conto di una multinazionale a un progetto segreto e sconcertante, la ricostruzione in materiali sintetici della barriera corallina del Mar Rosso. Nel limbo sognante di un viaggio di ritorno dall’Egitto, si ricompongono a ritroso le varie fasi della sua esistenza di piccolo borghese: la decadenza profonda degli anni Duemila, i soprusi e le ipocrisie di un Paese travolto dal servilismo e dalla burocrazia, il sogno illusorio di un luogo incontaminato e incorruttibile, l’Egeo. E poi, ancora indietro nel tempo, le lotte studentesche degli anni Sessanta, la scoperta dell’amore e del sesso, fino ad arrivare al mondo barbarico del dopoguerra, in cui Brandani ha vissuto gli incubi e le sfide della prima infanzia.



Recensione della Redazione QLibri

 
La vita in tempo di pace 2014-06-25 06:15:34 silvia t
Voto medio 
 
2.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
2.0
silvia t Opinione inserita da silvia t    25 Giugno, 2014
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La vita in tempo di pace

Il progetto è senza dubbio ambizioso, il risultato non è all'altezza.
Il tentativo di voler scrivere un romanzo in cui si parla della storia dell'ingegner Ivo Brandani per parlare della Vita in senso assoluto e della storia dell'ultimo secolo se non del tutto originale è di sicuro molto interessante, ma qualcosa dopo le prime pagine molto belle e accattivanti non funziona.

L'originalità di voler parlare della caduta di Bisanzio, ricostruendo attraverso gli occhi del protagonista una realtà lontana, disegnata tratti vacui e pieni di emozioni, lascia presto il posto ai racconti di un uomo sulla via della vecchiaia, con i problemi di un sessantenne, pieno di luoghi comuni e di sensazioni già raccontate.

Leggendo la critica si apprende che è stato paragonato a Gadda o a Calvino, io non riesco a trovare niente dei due grandi scrittori, ma neppure di Siti, poiché quest'ultimo cerca in qualche modo di mettere su carta il suo essere, Pecoraro non ci prova neppure; le parole si susseguono, stanche e ripetitive, la sensazione che si ha è quella di una marea inutile di parole per esprimere dei concetti semplici che appesantiscono la lettura, perché non la rendono fluida.
Si capisce che l'intento dell'autore è quello di scrivere un romanzo potente, in cui attraverso la storia particolare di un uomo che sta per giungere alla conclusione della propria vita descrivere un'epoca, la nostra, fatta di molte contraddizioni e di difficile interpretazione, ma se non si vuol scrivere un saggio, ma un'opera di narrativa la componente formale è determinante ed è qui che tutto il castello cade.

Pecoraro conosce il mestiere, non utilizza escamotage tipo frasi ad effetto o periodi brevi, ma il suo stile è monocorde, intriso di una eccessiva malinconia, una nebbia avvolge i personaggi senza però donare quello spessore di cui avrebbero bisogno.

Una lettura lunga, molto pesante che non aggiunge niente al panorama italiano, ma che in ogni caso consiglio, perché lo sforzo fatto per realizzare un romanzo, nel vero senso della parola va premiato.

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