La vita felice
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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Se tieni per te le cose,non sembrano poi così vere
Curiosa coincidenza: solo qualche settimana fa mi è capitato tra le mani "La vita perfetta" di Renée Knight, ora "La vita felice" di Elena Varvello.
Due storie diverse sicuramente, due stili altrettanto differenti, il primo ricade nel genere thriller psicologico il secondo ha i connotati tipici del noir italiano; ciò che mi ha incuriosito, però, è l'assonanza nel titolo, un titolo che è un desiderio, un anelito e forse un'utopia.
In entrambi i romanzi, infatti, vengono raccontate due vite, storie di famiglie felici, apparentemente perfette, che inaspettatamente vengono travolte da un destino beffardo e spietato, tanto radicale è il cambiamento che porta, trasformando un clima di serenità familiare in un'atmosfera densa di angoscia, paura e disperazione.
Elia è un ragazzo di 16 anni, vive con la sua famiglia a Ponte, un paesino sperduto tra i monti e circondato da boschi che sembrano quasi averlo isolato dal resto del mondo:
'La valle stretta, una miniera di pirite abbandonata, un fiume serpeggiante, torrenti, un vecchio ponte in pietra in una gola, un altro a due corsie sopra le rapide del fiume e boschi tutt'intorno. E lo stabilimento cinto da un muro di mattoni, il fumo delle ciminiere.'
Non certo il posto migliore in cui un ragazzo di 16 anni potrebbe veder realizzate le proprie aspirazioni, quali prospettive potrebbe offrire per il suo futuro un posto del genere?
Ma è il luogo in cui Elia è nato e cresciuto, non ha tanti amici ma non è un problema per lui, è sempre stato un tipo introverso e solitario, i suoi coetanei spesso gli sembrano infantili.
Poi ci sono suo padre e sua madre, lo adorano e non gli hanno mai fatto mancare niente. Insomma una famiglia felice, una vita come tante altre.
Sino a quel giorno, il giorno in cui lo stabilimento chiude e tutti coloro che vi lavorano vengono licenziati in tronco: tra questi il padre di Elia, Ettore Furenti, il pilastro della sua famiglia.
Tutto inizia da quel giorno ed Elia, ora adulto, a distanza di anni ripercorre il ricordo di quel periodo della sua vita, tramutatasi repentinamente in una vita tormentata, sgretolata da un destino che sembrava essersi accanito contro loro.
In questo viaggio a ritroso nella sua memoria lo accompagna il senso di colpa, la convinzione che se fosse stato solo più coraggioso avrebbe potuto evitare il peggio, avrebbe potuto salvare il padre dal baratro della follia e la famiglia dalla rovina. Ma ha preferito rimanere in silenzio, così come la madre ha preferito non vedere: entrambi hanno scelto di ingannare se stessi di fronte all'evidenza pur di non perdere quella felicità divenuta ormai solo illusione, sperando che fosse solo un senso di disagio momentaneo e non una voragine profonda quella creatasi nella mente di Ettore Furenti.
'Se tieni per te le cose, non sembrano poi così vere'.
La madre di Elia non riesce e non vuole guardare in faccia la realtà, piuttosto si convince che l'uomo a lei accanto sia sempre lo stesso, l'uomo da sempre amato e con cui avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita; ma Elia sa, Elia ha notato che suo padre ora è un uomo diverso.
'A volte penso che avrei dovuto dirle di mio padre ma cosa avrebbe detto lei, mia madre, la donna che ci amava? Che cosa avrebbe fatto? Avevo già provato ed era stato inutile.
Non ne sapevo niente, allora, dei modi in cui l'amore può manifestarsi, nè della forza con cui può spingerci in un angolo e toglierci il respiro'.
Ecco, il silenzio: il silenzio è zavorra per l'anima.
Ogni qualvolta manteniamo nascosti i nostri sentimenti e soffochiamo la voce dell'anima lasciando che le nostre emozioni muoiano all'interno le impediamo di innalzarsi verso nuovi orizzonti, preferiamo mantenerci bassi evitando pericoli, scansando novità e cambiamenti piuttosto che prendere il volo, rischiando anche di cadere, ma con la certezza che una vita nuova, vera, vale molto più di una vita apparentemente felice, perchè ormai compromessa, ormai contagiata profondamente dalla menzogna, dall'inganno e dalla disperazione.
Elena Varvallo è un'autrice per me nuova ma è stata una piacevole sorpresa: ho ritrovato in lei la parte migliore di Ammaniti, quella che ho apprezzato tantissimo nei suoi primi romanzi "Ti prendo e ti porto via" e "Come Dio comanda", soprattutto per l'impeccabile descrizione degli stati d'animo dell'adolescente Elia, quasi tangibili per quanto ben esposti.
I "silenzi" di Elia si percepiscono chiaramente, così come si avverte forte il suo rimorso per non aver dato voce alle sue sensazioni, ai suoi timori.
E le emozioni sono soffocate quasi come le parole usate dall'autrice che nel suo romanzo adotta uno stile asciutto, essenziale ma non per questo meno efficace: periodi poco dispersivi e termini sapientemente calibrati per raggiungere il lettore al primo impatto, senza necessità di ulteriori chiarimenti o divagazioni.
Uno stile, devo ammettere, perfettamente in sintonia con la storia ed adeguato a rappresentarne la tragicità senza inutili digressioni in modo che colpisca il lettore nel breve spazio di circa 200 pagine, lasciandogli poi il tempo per riflettere, metabolizzare.
'La vita felice. La vita che ci resta, è solo questo, e che non va sprecata.'
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ll dolore e il slenzio
La perdita del lavoro diviene causa scatenante dell’abbandono di un uomo alle sue paure e alla rabbia incontenibile. “Mi sento come un dio. Non metterti a discutere con me.” p.12
Il male è l’onnipotenza, pensare di essere forti sempre, non prendendosi cura di sé e procedendo verso la perdizione, pur riconoscendo i gradini scesi verso l’inferno depressivo. Ci si può fermare e chiedere aiuto in tempo, purtroppo, però, “la delusione ti tiene legato alle cose sbagliate.” p.166
“Scusa, mi sono perso” p.171: sono le ultime parole che, se fossero le prime, avvierebbero ogni persona verso altre relazioni, verso possibili uscite di felicità, oltre il disturbo psicologico.
Malinconica e complessa la vicenda scelta da Elena Varvello: molte pagine trascorrono in rituali e passatempi, sempre raccontati con stile deciso e benevola sapienza. L’amicizia fra due ragazzi, la vita familiare, le maldicenze di paese: tutti sembrano ingoiati dal silenzio. E il padre, soltanto, che “consuma le parole: le tiene in bocca troppo a lungo e poi le sputa fuori, incespicando” p.73
Leggo di un’estate come confine e come passaggio, di un padre afflitto poco più che trentenne, di un ragazzo di sedici anni affettivamente rapito dalla mamma trentaseienne dell’amico del cuore. Anna ed Elia, si ritrovano “aggrappati l’uno all’altra mentre andavano a fondo” p.91
Chi non si perdona, poi, muore. Ed io assisto dolente, se pur conquistata dalla scrittura puntuale e sicura, all’attesa della punizione che libera, perché nessuno riesce a diluire il cemento dei sensi di colpa, senza una guida.
“Siamo solo persone, Elia”p.185. Ecco, è così, partendo da questa certezza, che potrebbe accadere, oltre il bosco, la vita felice.