La vita accanto
Letteratura italiana
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La vera bellezza
Ho sempre scartato questo romanzo perchè l'incipit mi respingeva. Invece devo dire che mi è piciuto molto, anche se ci sono dei difetti che avrebbero potuto essere corretti da una revisione migliore. La cosa che mi ha infastidito un po', è la quantità di pagine sprecate a descrivere l'aspetto e la bruttezza di Rebecca che ho trovato fuorvianti. Forse sarebbe bastato l'accenno delle primissime pagine senza starci a insistere tanto. Invece ho apprezzato la scrittura e la profondità dei dialoghi, la competenza musicale. Mi sembra che l'umanità dell'autrice esca dalle pagine indipendentemente dal loro ingranaggio imperfetto creando una sensazione di calore che manca nella maggior parte dei romanzi che sono per lo più costruzioni a tavolino di bravi ingegneri di parole. L''autrice regala al lettore qualcosa di più personale di una costruzione arhitettonica perfetta e soprattutto di più originale. Nel libro c'è il suo modo di vedere il mondo profondo, solidale e anticonvenzionale. Si capisce anche la sua passione per la bellezza in tutte le sue declinazioni, in particolare il suo legame profondo con la musica. Perciò anche se la storia appare debole in alcuni punti, in realtà è migliore di storie a maggior tenuta. E' un romanzo che lascia il segno.
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Lavanda e margherite bianche
“ La vita accanto” non e’ il romanzo di una bambina nel mondo, ma dell’impatto cosi’ drastico e crudele che il mondo ha su una creatura.
Ogni volta che la piccola Beatrice riempie le pagine con le umiliazioni inferte dagli estranei e l’isolamento imposto dalla famiglia, la pelle mi si gela ustionandosi di freddo come se camminassi svestita in un dicembre alle Svalbard.
Un’esistenza fragile, occultata, le cui doti si riversano sulle piccole belle mani che scivolano sui tasti del pianoforte e non sanno suonare melodie prive di dolore. La tenda chiara e leggera si muove al ritmo del vento d’autunno nell’antico palazzo sul fiume, come se la vita volesse soffiare senza paura nella stanza della bambina brutta, portando gli odori di quel mondo distante e proibito.
Poi per contrasto e in supporto le pagine si impregnano di Lucilla, che non e’ poi tanto bella, ma amata e forgiata nel coraggio .
La pelle mi si intiepidisce, dorata da un sussurro di questa mimosa di primavera che invita anche i boccioli diversi a rinascere dopo l’inverno.
Un romanzo breve ma intenso, malinconica compagnia di emozioni truci e spiragli di redenzione, ho amato i suoi attori e quell’ardore letterario con cui certi autori riescono a rendere i dettagli ed i luoghi pregni di vita e di vitalita’. E’ un libro infinitamente triste che narra la solitudine di una donna storpiata nell’aspetto, eppure mi ha lasciato solo il profumo corroborante di scorci di bellezza.
Buona lettura.
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LA VITA ACCANTO ALLA DISUMANITÀ
LA VITA ACCANTO
"La vita accanto" è la storia di Rebecca, una bambina brutta, nessun handicap fisico ne mentale, semplicemente brutta, bruttissima.
Il racconto, che narra le vicende dalla nascita della bambina fino all' adolescenza, parla di una madre depressa che ha letteralmente abbandonato la figlia, di un padre debole ed evanescente e soprattutto di una società cinica e spietata, incapace di andare oltre l' aspetto esteriore e capace di cattiverie psicologiche brutali.
Parla di una famiglia incapace di combattere tutto ciò poiché anello della catena stessa con cui è ghermita. Parla di una bambina che imparerà a conoscere ed evitare il mondo, a non domandare ne pretendere nulla. Uniche persone che dimostrino affetto nei suoi confronti sembrano la zia Erminia e Maddalena, la bambinaia/governante, che cercheranno a loro modo di compensare tutte le mancanze della società e della famiglia.
Rebecca ha un dono, quello della musica e proprio grazie ad esso riuscirà a superare la drammaticità della vita, il glaciale distacco familiare ed il malcelato disprezzo della società. Per giungere così, a comprendere che non tutto quel che appariva agli occhi di una bambina corrispondeva alla realtà delle cose.
Il finale, con un riscatto professionale e solo in parte personale, non può derimere le colpe di una società bieca ed incapace di guardare al di là del proprio benessere personale. Un mondo piccolo, ignorante ed impaurito che non può assolutamente accettare Rebecca perché significherebbe incrinare tutti i dettami di una società medio borghese legata all' apparire e profondamente egoista, che oggi penseremmo o avremmo la presunzione di avere superato, con la quale dobbiamo fare ancora i conti.
Un libro brutale per la cattiveria che a tratti dimostra. Che lascia intravedere un futuro possibile, ma imprescindibile dal dono della musica che appare indispensabile. La sconfitta dell' umanità appare evidente in questo libro, le singolarità di amore e speranza non possono sovrastare la degenerazione umana generale descritta nel libro.
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Una vicenda interiormente intricata
L’autrice, Vicentina, è attualmente dirigente scolastica a Rovereto, avendo conseguito la laurea in filosofia e teologia. Con questo libro è stata finalista del Premio Strega nel 2011.
La matrice cattolico-teologica risulta a prima vista dal linguaggio, ma poi si dissolve in una vicenda piuttosto intrigante: la storia di una donna brutta, ma proprio brutta, tanto da risultare imbarazzante per i suoi familiari e isolata dai suoi compagni di scuola. Solo la zia, prima, e una compagna, poi, si curano di lei; mentre la madre, che dopo la sua nascita è piombata in una crisi depressiva senza sbocco, finisce per suicidarsi. Malgrado questo e malgrado subisca a scuola un pesante atto di bullismo dai compagni, la storia della giovane ha una svolta quando comincia a mettere in pratica le sue eccezionali doti musicali, che le consentono di diventare ricca e famosa. Grazie al suo maestro di musica conosce una signora anziana, apparentemente malata di Alzheimer, ma in realtà pienamente consapevole di sé e degli altri, che la mette sulla strada della scoperta del mistero che sta dietro alla morte della madre, liberandola anche dall’angoscia di essere stata lei la causa della sua malattia. Inoltre, anche l’aspetto cambia: grazie a delle cure di chirurgia plastica riesce a migliorare anche il suo aspetto fisico.
Un lieto fine di una vicenda interiormente intricata e perciò avvincente.
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Rebecca e la sua voglia di invisibilità
Una bambina brutta vive con prudenza, cercando comportamenti che non aggiungano disturbo a quello che già viene dal proprio aspetto.
Questa in breve è la storia di Rebecca, bambina nata brutta, talmente brutta che la madre non l'ha mai presa in braccio ed il padre non è mai stato molto presente. La sua più grande ancora di salvezza diventa la musica, quando suona il pianoforte Rebecca diventa un'altra.
La vita accanto ci porta in un Italia che vive di pregiudizi, ignorante e poco sensibile. Una bambina costretta a vivere senza affetto, in una casa in cui "le parole sono piatte come quelle scritte sul vocabolario". Una bambina che di certo non è figlia di Dio.
Il libro è molto breve, il tema trattato non molto semplice; la Veladiano va a toccare argomenti molto intensi andando anche oltre la realtà.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Il mio silenzio è la tua salvezza.. Si può uscire
"La musica afferrò la mia vita. La consapevolezza tutta nuova che ci si aspettava qualcosa da me riempiva i miei giorni di sentimenti che non conoscevo e che prendevano il posto di quella specie di attesa vuota in cui prima le mie energie si erano congelate. Forse potevo dimostrare che c'era del buono in me, che mi si poteva voler bene perché valevo e non solo per un senso confuso di protezione o di colpa.."
Lo scenario è quello di una famiglia che vive nella vergogna, nel pregiudizio. Le conseguenze si riversano inevitabilmente sulla giovane Rebecca, un "brutto anatroccolo con un dono": la capacità di saper suonare con maestria il piano.
E' con la bruttezza di una giovane ragazza che la Velandiano arriva a mostrarci l'inettitudine alla vita. Inettitudine da cui solo le passioni possono riscattarci.
Eccessiva la bruttezza della protagonista, tanto da renderne complessa la raffigurazione, ma comunque trama scorrevole.
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Tutta la vita nelle mani
La vita stringe una bambina in un angolo. Rebecca è una bambina brutta, che però ha tutta la vita nelle mani perché ha un dono: sa suonare ed è meravigliosa in questo. Nelle mani possiede l’arte della creazione ed il dono di chiamare in vita proprio quella bellezza che la stessa vita le ha negato. L’autrice scrive veramente bene; è innegabile questo. Però l’articolarsi della storia mi ha reso questo libro non semplice da capire in tutte le sue parti. La trama mi ha colpito per empatia, perché mi ha fatto nascere dentro tanta sensibilità per questa bimba. Tanto bisognosa d’affetto. Tanto dolce. Non ho molto amato i personaggi secondari.
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Mediocre e commerciale
Mi dispiace dover dissentire dalle opinioni medie riportate (di cui sono veramente stupita), ma trovo che il libro sia proprio mediocre.
STILE: è ben scritto da un certo punto di vista, diciamo che imita i classici, ma in modo goffo! Lo stile è infiorettato, zeppo di metafore e di figure retoriche da psicodramma, con parole sin troppo ricercate. I dialoghi sono quasi sempre pessimi perché tutti i personaggi parlano nello stesso strano stile infiorettato (bambine di 6 anni, vecchiette, bambinaie poco più che analfabete), non c'è nessun adattamento in base alle caratteristiche del personaggio. Ad esempio una bimbetta di 6 anni il primo giorno di scuola parla come un'adulta, con periodi lunghissimi perfettamente costruiti, metafore, termini difficili. Ci sono anche personaggi per i quali questo stile di parlato va meglio, ma spesso manca completamente di naturalezza poiché è usato in dialoghi in cui nessuno al mondo parlerebbe così.
CONTENUTO: ci sono delle parti buone, ma anche tante pessime. In sintesi il contenuto è abbastanza povero, ma viene "dopato" da trucchetti narrativi a buon mercato, come preannunciare drammi o segreti incredibili e farli conoscere solo alla fine, quando si scopre che non erano nemmeno 'sto granchè. I personaggi sono per lo più poco realistici. Ad esempio la madre della protagonista viene descritta come una donna raffinata, con molto gusto e le idee chiare, tanto che, appena sposata, si occupa della ristrutturazione del palazzo personalmente, con tanto di disegni preparatori e acquerelli. Si veste elegantemente sempre negli stessi colori, usa profumi ottimi etc. Alla fine si viene a sapere che è la figlia di contadini poverissimi e si è sposata con un ricco medico che l'ha vista e l'ha chiesta in sposa la sera stessa (vabbè...). Quindi nonostante fosse povera, senza avere esperienza, studi o nient'altro, incredibilmente e nel giro di pochi mesi si trasforma in una donna di gran classe. Non fraintendetemi, non dico che non si possa imparare, dico che è irrealistico pensare che succeda così in 2 minuti. Leggete le descrizioni di contadini di Fontamara, dei Malavoglia, di Mastro Don Gesualdo. Quelle sono persone vere! I personaggi del libro si comportano sempre in modo misterioso e strano ma alla fin fine non si capisce il perché. Cioè la madre cade in depressione per 10 anni alla fine senza nessun serio motivo se non una gelosia verso la cognata. Se andassimo tutti in depressione 10 anni per questo...Il padre, suo marito, le parla cercando di starle vicino e tutti la trattano bene ma invece si dice "che non è stata aiutata". La madre è depressa ma per molti anni capisce tutto, non è assente, solo muta e passiva. Ama molto la sua bambina ma non le parla e non si occupa di lei. Perchè? boh, non s'è capito. Il padre in pratica è un buon uomo che non fa nulla di male (non ha vizi, non ha amanti, non trascura la famiglia, ama la moglie etc.) però alla fin fine viene descritto come il colpevole della storia, tant'è che lascia la casa per non "rovinare" la figlia. Insomma alla fine tutti i personaggi sono strani e si comportano in modo misterioso e bislacco ma non c'è mai un vero motivo se non l'esigenza della scrittrice di "fare sensazione". Ma come ha fatto a vincere un premio?!!
PIACEVOLEZZA: il libro è di quasi 40 microcapitoli, alcuni di nemmeno una pagina. E' scritto con caratteri GRANDI GRANDI e si legge in 2 giorni (anche un pomeriggio se avete tempo). E' un libro facilotto e commerciale.
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DIO! A volte a me pare CHE FAI LE DIFFERENZE.
Una storia che mi ha fatto male...tanto male...
E' ambientata in una località a me vicina...e particolarmente cara, dove ha sede il santuario della Madonna di Monte Berico di Vicenza...una figura che mi ha sostenuto in più occasioni in modo tangibile nella mia vita.
Ma in questa storia la Madonna non è intervenuta...nessuno le ha chiesto una grazia...e solo raramente è stata invocata o menzionata.
Rebecca è una bambina che nasce brutta.
Ma questo non è nulla a confronto del freddo permanente che trova accanto a sè: una madre fragile, provata e annientata dalla gelosia, depressa...e che madre più non può essere...; un padre che come lavoro aiuta a dare alla luce gli altri bambini, ma che è così debole da tener lontano dalla luce della vita proprio sua figlia...
Una casa che resta nell'ombra : mancano il sole... il calore dei sentimenti e degli abbracci...e persiste il gelo di un'attesa snervante, un'inazione che fa rabbia...nessuno vuole , ha il coraggio o può intervenire; anzi qualcuno ne approfitta.
E così lei, la bambina frutto di bugie, dolori, fragilità, amori malati o mancati, cresce senza poter chiedere o pretendere nulla; lei può solo maturare in fretta, dare , esistere in punta di piedi, in modo invisibile...isolata dal mondo...senza poter sperimentare , giocare, arrabbiarsi, lottare, piangere...insomma senza poter fare tutto ciò che ti fa sentire l'ebbrezza della vita ...e vive nella crudezza dell'indifferenza.
Pochissime le persone che l'aiutano nella sua crescita e in qualche modo la introducono alla vita...tra tutte io ovviamente ho particolarmente amato la figura della sua maestra che ha saputo accettarla in toto nella sua bruttezza e diversità, tanto da diventare persino la sua paladina.
Rebecca trova per fortuna nella musica il canale giusto che la porta a vivere e a raggiungere una forma di serenità...
Un libro che ti fa soffrire e che spesso durante la narrazione ti fa dire :"Dio mio, perchè l'hai abbandonata?"...questo è ciò che ho provato...
Il coinvolgimento per me è stato così intenso da dover condidividere passo passo la vicenda con le persone a me care, tale era la tristezza che ho provato...avendo letto per prima cosa nel libro che Rebecca esiste per davvero!
QUANTI RICORDI sono affiorati della mia infanzia durante la narrazione...la consuetudine diffusa dalle mie parti di affrontare il viaggio a piedi per recarsi alla Madonna di Monte Berico per chiedere una grazia...( purtroppo io non l' ho mai fatto a piedi) .L'usanza di rappresentare la natività in occasione del Natale con personaggi viventi...io nell'adolescenza feci la Madonna e passai su di un asinello lungo tutto il centro del paese ( chi si ricorda dice che sembravo proprio la Madonna, con capelli lunghissimi e vestita d'azzurro...).
Ci sono varie forme d'intelligenza. A conclusione di questo libro , pensando alla fragilità del padre, ho pensato a quanto sia importante avere la capacità di essere forti e determinati in certi casi nella vita, più di qualsiasi altra competenza.
Consiglio vivamente questa intensa lettura...che aiuterà a capire che la bruttezza non è nulla in confronto alla mancanza d'amore...no, non è proprio nulla.
Buona lettura da Pia.
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Quando la vita accanto è anche un bell’anatroccolo
Ho iniziato a leggere questo libro un po’ per caso, ne avevo sentito parlare molto qualche anno fa e poi l’avevo lasciato nel dimenticatoio fino a quando ieri sera sfogliandolo iniziai a leggere il primo capitolo e non l’ho più mollato fino alla parola fine.
“Una donna brutta non ha a disposizione nessun punto di vista superiore da cui poter raccontare la propria storia. Non c’è prospettiva d’insieme.”
Rapita….ecco cosa ha fatto la storia e la pungente penna della Veladiano, mi ha rapita e tenuta ostaggio assieme a quella figura orripilante che nessuno voleva, che nessuno amava, che suscitava pena e sconcerto a tal punto da causare morte e far insediare la tristezza. Si, il dolore a volte è così potente che può spingere gli uomini dove non si vuole davvero andare.
Brutta…è brutta Rebecca è di una bruttezza rivoltante, una bruttezza innata, sbrecciata, indicibile. E’ il Belfagor, è l’Elephant man che solo pochi amano e che gli altri rigettano con l’atteggiamento dell’indifferenza, come consueto modus operandi della società che desidera avere accanto solo quello che fa bene alla percezione dei sensi e dove la bellezza è visibile e godibile.
Per Rebecca era una grazia l’invisibilità.
Una presenza ingombrante quando si parlava dell’inserimento a scuola e invece Rebecca silenziosamente era una bambina intelligente, o quando doveva fare le prove per entrare al Conservatorio, Rebecca suonava il piano meravigliosamente, ma solo per pochi, solo nelle quattro mura domestiche. Crescere incompresa e schivata era il punto di partenza del suo amore per la vita, fatta di silenzi e di ampi spazi, come quelli che immaginava tutte le volte che apriva le finestre per respirare l’aria pura, che era l’ unica cosa che rigenerava la sua triste vita. L’aria che era capace di entrare nei polmoni e a fare attecchire l’edera più insidiosa e incontrollata, che copriva il male di vivere che non vedeva dentro di se, ma dentro gli altri. Crescendo, Rebecca matura l’idea che finora ha abitato in una casa che sembrava un sacchetto di bonbon scaduti, che le cose andavano capite diversamente e che le risposte puntualmente arrivavano dall'esterno di quella cappa familiare che le aveva inculcato il concetto che nascere brutta è come nascere con una malattia cronica che può solo peggiorare con l’età.
Rebecca pensa, Rebecca si ama e Rebecca sceglie di vivere.