La visitatrice
Letteratura italiana
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Un testamento umano e letterario
Fulvio Tomizza venne a mancare nel 1999 e le sue ultime due opere La visitatrice e Il sogno dalmata vennero pubblicate postume, rispettivamente nel 2000 e nel 2001. Entrambe, pertanto, costituisco l’ultima fatica letteraria dell’autore e sono quindi frutto della sua consapevolezza dei traguardi già raggiunti, allorché, avanti con gli anni, è quasi un destino narrare i propri ricordi. In particolare La visitatrice sembra maggiormente il romanzo con cui Tomizza si è interrogato sul suo passato, in cui mi pare spicchi quel naturale rimpianto per le occasioni sfumate, per le opportunità lasciate sfuggire, con la consapevolezza che quella stagione è ormai del tutto andata. Non si tratta di una vera e propria autobiografia, ma di tracce di memoria che vengono a comporre nel loro insieme una vicenda probabilmente di fantasia, ma con un fondo di verità. Il protagonista è un anziano commerciante, assai malato, ma della cui gravità la moglie e la figlia non sono del tutto coscienti; Emilio, così si chiama l’uomo, accompagna le due donne alla stazione ferroviaria da cui prenderanno il treno per Bologna per andare da dei parenti e per fare acquisti legati alle imminenti nozze della giovane. Una volta partite, l’uomo tornerà a casa con l’autobus, seguito da una donna che sembra voler fare la stessa strada, e che in effetti farà, accompagnandolo fin dentro al suo appartamento e rivelandogli di essere sua figlia. Lo sarà? Poco importa nell’economia del racconto, perché questa rivelazione è l’occasione per riscoprire i fantasmi della propria gioventù, è l’innesco per l’esplosiva rivelazione a se stesso che altro e più appagante era un certo amore, forse non piatto come quello derivante dall’attuale matrimonio. E’ tutto un mondo che riemerge dalle nebbie, una testimonianza di una vita un tempo veramente vissuta che solo nella mente di un uomo stanco e ammalato, prossimo alla sua fine, può dare un senso a un’intera esistenza.
La visitatrice è un romanzo malinconico, scritto con un tono distaccato che gli fa assumere un desiderio di imparzialità che commuove, ma che al tempo stesso finisce con il diventare il testamento umano e letterario di un grande scrittore.
Indicazioni utili
Nostalgie maschili
Romanzo della nostalgia: tra donne perdute e/o che partono; altre che ritornano alla memoria dopo esser state dimenticate; donne che appaiono sulla scena, di passaggio, in visita. Ciascuna di loro mette in rapporto il narratore, Emilio, coi suoi limiti – e ognuna (donne incontrate, amate, ingannate, traditrici e tradite) gli presenta il conto.
Il carattere “testamentario” dell’opera, di fatto, è una sorta di rendiconto dei sospesi (o debiti); leitmotiv della scrittura di Tomizza, che vi si attiene dall’inizio alla fine.
Indiscusso il suo coinvolgimento personale, insieme col mestiere e la piattezza stilistica (agognata, coltivata) tipica dell’artigianato narrativo; c’è la miseria dell’onestà tipica dell’intimismo “retrospettivo” – il pianto che «intorbida» l’occhio e i «posdomani»; i dialoghi imbalsamati; una cataratta di verbi attaccati a pronomi o viceversa, in omaggio all’agilità dei periodi.
Sintomatologia – inadeguatezza ai doveri dello “stallone”: frustrati dalla senilità, li si ritrova, comunque pensosi, negli anni giovanili di Emilio – sempre in termini di vagante disinteresse o tiepidità nei riguardi della femmina che gli tocca di fronteggiare...
Non gli piace, all’inizio, la visitatrice (non è il suo «tipo» di donna). Non gli piaceva quarant’anni prima l’infermiera, madre della visitatrice, la quale madre non piaceva neppure all’altro personaggio maschile, il partigiano carismatico-donnaiolo (e semi-cuckold) Bardocchia, il quale scaricherà su Emilio la paternità della (futura) visitatrice...
Lo stesso Bardocchia non apprezza sua moglie Brigida (non frigida, no), la quale diventerà l’amante di Emilio, che in costei – forse – qualcosa gradisce, sebbene il loro legame concerna l’affetto piuttosto che il desiderio. Infine, a Emilio non piace neppure la principessa cinese nell’ultimo sogno, sognato accanto alla visitatrice non-figlia che lo accudisce e lo veglia, in quell’ultima notte, proprio come un’infermiera...
Metafora intorno alla difficoltà uomo-donna, e metafora di quel luogo interiore, irraggiungibile, che rende la “fusione” impossibile.
Ma poi, ambientata in prossimità di Trieste, e sullo sfondo della questione istriana, la vicenda riverbera d’una tristezza che è, in primis, storica e geografica.
Non poteva essere altrimenti.
Malato, Tomizza muore cinque anni dopo, il 21 maggio 1999.