Narrativa italiana Romanzi La teologia del cinghiale
 

La teologia del cinghiale La teologia del cinghiale

La teologia del cinghiale

Letteratura italiana

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Luglio 1969. Durante i giorni dello sbarco sulla luna, a Telévras, piccolo paese dell'entroterra sardo, due ragazzini vengono coinvolti in una serie di eventi misteriosi. Il primo è Matteo Trudìnu, talentuoso figlio di un sequestratore latitante; l'altro è Gesuino Némus, un bambino silenzioso e problematico, da tutti considerato poco più che un minus habens. Amici per la pelle, i due godono della protezione di don Cossu, il prete gesuita del paese, che si prende cura di loro come fossero figli suoi. Un giorno il padre di Matteo, scomparso da settimane, viene trovato morto a pochi chilometri di distanza da casa. Il maresciallo dei carabinieri De Stefani, un piemontese che fatica a comprendere le logiche del luogo, inizia a indagare con l'aiuto dell'appuntato Piras e dello stesso don Cossu ma, con l'avanzare dei giorni, le cose si complicano e spunta fuori un altro cadavere...



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La teologia del cinghiale 2016-09-17 03:57:09 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    17 Settembre, 2016
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Un sardo gesuita, praticamente un mostro

Gesuino Némus pare sia uno pseudonimo, “La teologia del cinghiale” è l’opera che si è aggiudicata il premio Campiello 2016 opera prima.
La scena del romanzo è una paesino del nuorese. Corre l’anno 1969. Nell’intorno della notte in cui le duemila – o poco più - anime di Televras sono impegnate ad assistere allo sbarco dell’uomo sulla luna, capita di tutto: un latitante viene ritrovato morto ammazzato, sua moglie s’impicca, il figlioletto Matteo sparisce nel nulla…

Matteo è un dodicenne intelligentissimo: il parroco, don Cossu (“Un sardo gesuita, praticamente un mostro”), l’ha adottato in canonica, forse per lui sogna un futuro degno delle sue abilità intellettuali e musicali. Insieme a lui, ma in ruolo subordinato e recessivo, c'è un altro bambino : Gesuino Némus, uno strano orfanello (“Pensate che fortuna: non avere la nozione di padre e di madre”). Qualcuno dice che sia figlio del matto del villaggio. Vero è che non parla, ma sogna di diventar scrittore. Lo diventerà nella clinica ProSpesSalutis (“Oggi sono un po’ trasgressivo e mi sento come Céline che era lo scrittore preferito del prof. Carlo Schengen, anche se io prima di conoscere lui ero convinto che fosse una donna”). Ma la mente corre sempre là, ai tempi in cui sotto l’occhio paterno di un prete un po’ fuori dalle righe, tra due bambini era scoppiata una complicità più unica che rara (“Dopo che vedemmo quella cosa nella caverna di Monte Corongiu”)…

Tra scene divertenti e una narrazione eccentrica, infarcita di citazioni in dialetto sardo (“Castia su mortu e pentza a su pappongiu – Guarda il morto e pensa al mangiare”), prende corpo un affresco a tratti ironico, a tratti commovente, a tratti nostalgico (“Non devo diventare grande… è l’unica maniera che ho di salvarmi”) di una Sardegna perduta, rappresentata con personaggi ben caratterizzati ai quali ci si affeziona facilmente, nella culla di un folclore che sconfina nella vita e viceversa (“Se non riesci a fare la vita che ti piace, fatti piacere quella che stai facendo”).

Bruno Elpis

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