La suora giovane
Letteratura italiana
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A 16 come a 40 anni: la potenza dell’amore
Apparentemente il romanzo La suora giovane di Giovanni Arpino è semplice. La vicenda si sviluppa dal 10 dicembre 1950 al 2 gennaio 1951 a Torino. Narratore in prima persona è un ragioniere di quarant’anni: Antonio Mathis, che sente l’esigenza di scrivere su un diario i fatti che sconvolgono la sua anima («Ho deciso di prendere nota di ciò che mi succede perché solo così potrò riuscire - forse - a controllare avvenimenti e sentimenti, a capire, ad aiutarmi. Non saprei davvero a chi domandare un consiglio»). Ciò che lo turba è un colpo di fulmine: si è infatti innamorato di una giovane suora di vent’anni che da qualche settimana incrocia puntuale tutte le sere alla fermata del bus. Il loro è un gioco di sguardi e di attenzioni, il linguaggio non verbale prevale su quello verbale, completamente assente fino al 19 dicembre, come ci racconta la narrazione di Antonio. Il protagonista si sarebbe dovuto sposare all’incirca un paio di anni prima con Anna, ma poi il matrimonio non andò a buon fine e la relazione proseguì su binari non del tutto chiariti. Lo stesso Antonio dice di sé: «Non sono mai stato quel che si dice un uomo: ecco la verità. Macché guerra, macché capuffici, rispetto degli altri, macché esperienza... Non è pudore il mio, è vigliaccheria». In questo quadro si inserisce anche una terza donna, Iris, collega di Antonio, con la quale il protagonista alle volte si diverte palpandola tra una pausa e l’altra. L’incontro con la giovane suora Serena, dunque, è destinato a sconquassare l’esistenza di Antonio, a porgli delle domande che aveva cercato di sigillare nel cassetto per tanti anni. Scopre, quasi come un fulmine a ciel sereno, di avere quarant’anni e di essersi avvicinato notevolmente alla fase della vecchiaia. Rimette perciò in discussione tutto quello che ha costruito e fatto nel corso della sua vita. Serena è uno slancio, un’iniezione di speranza, ma è nello stesso tempo una novizia prossima a prendere i voti. Quest’aspetto non può che generare parecchio scompiglio in Antonio: innanzitutto provoca vergogna, in secondo luogo incertezza sul da farsi. Eppure Serena lo fa sentire improvvisamente ricco, mentre con Anna il rapporto era ormai divenuto povero di sentimento e contenuti.
Antonio si ritrova con una ragazza (Serena), una fidanzata (Anna) e una quasi amante da corridoio (Iris) e si sente ridicolo perché «in verità non ho nessuno e non sono capace di avere e tenere nessuno». Serve uno scatto di nervi, di muscoli, un’azione del tutto istintiva, a sbloccare la situazione: il 19 dicembre Antonio decide di avvicinarsi a Serena e di parlarle per la prima volta e a quel punto inizia a scoprire un po’ di cose sulla suora: ha vent’anni, viene da Mondovì, tutte le sere va a casa di un ricco signore infermo a fare l’infermiera; ma soprattutto scopre che la giovane suora l’aveva adocchiato prima di quanto non avesse fatto lui: era infatti da quattro mesi che si era accorta della sua presenza alla fermata del bus. La scena del lungo primo dialogo tra Antonio e Serena ha un’intimità del tutto particolare. Avviene tra l’uscio della casa in cui presta servizio la suora e il pianerottolo; i due prendono posto lì, dapprima in piedi e poi seduti. A comandare le operazioni è Serena, che chiacchiera ed è curiosa di capire come va il mondo, cosa prova Antonio. «Non voglio essere suora. Se lo sarò andrò negli ospedali, non voglio esser fuori dal mondo» confessa la ventenne. A spingerla verso la carriera da suora è stata sua madre, figlia di commercianti falliti che ha sposato a Mondovì un contadino, dedicando la restante parte della sua vita alla campagna. Le parole di Serena stordiscono Antonio, che è come un pugile alle corde prima del k.o.; fatica a replicare nel corso del dialogo, resta spesso senza parole, ma alla fine la lunga conversazione porta il suo effetto: a sedici anni come a quaranta l’uomo si imbatte nell’amore. Si sorprende che nessuno al bar si accorga di cosa ha dentro e si sorprende che nemmeno i suoi amici (Mo, Iris) o la sua fidanzata (Anna) comprendano il turbinio di sentimenti che alterano la sua anima. Nel giro di pochi giorni prende una decisione definitiva che lo porta a superare il senso di vergogna e di incertezza: sul suo diario il 23 dicembre annuncia che sposerà Serena.
La notte della vigilia di Natale è paradossale. Antonio è come se fosse dissociato: da una parte va in un locale lungo il Po insieme a Mo (suo collega più anziano di dieci anni), Iris e Anna, dall’altra non vede l’ora di consegnare il regalo a Serena e di trascorrere la serata sul pianerottolo insieme a lei. Sente il bisogno di confessare che si è innamorato di una giovane suora, che è stufo di Anna, che è un uomo diverso. Alla fine, lo fa e si prende del matto un po’ da tutti. In quella paradossale vigilia i quattro amici assistono anche a un suicidio da un ponte sul Po e si interrogano sulla valenza di togliersi la vita. Antonio sa che può capitare di sentirsi smarriti e di poter anche pensare a un gesto estremo, la reazione altrui è differente ed è quasi scocciata di fronte all’accaduto. Nel comunicare ad Anna che è stufo, il protagonista si prende un «vai all’inferno», quello stesso inferno al quale Serena aveva detto di non credere nelle pagine precedenti. Insomma, tra Anna e Serena le parole si rincorrono in senso antitetico e tutto serve a posizionarle su due piatti differenti nella bilancia di Antonio.
Al termine dell’angosciosa prima parte di serata, Antonio va all’appuntamento ormai consueto con Serena. Si tratta della volta in cui parla di più, esprime tutte le sue paure e le sue preoccupazioni; dice a chiare lettere che non è un uomo forte. A differenza degli altri incontri viene liquidato abbastanza velocemente dalla giovane suora, che da quel momento scompare nel nulla. Per un po’ di giorni Antonio non avrà sue notizie, proverà a cercarla disperatamente senza successo. Il 30 dicembre decide quindi di andare a Mondovì dai genitori di Serena per accertarsi delle condizioni della ragazza. Il 2 gennaio è il grande giorno e scopre che Serena ha chiesto di essere trasferita a Ravenna perché lui non si era deciso a formalizzarle una proposta chiara e seria. A comunicargli le novità è la madre della giovane suora, una donna di carattere, capace di comandare nelle mura di casa sua, complice anche un retaggio più elevato rispetto a quello contadino. Dietro alla decisione della figlia c’è proprio la madre, con la quale ha scambiato diverse lettere, le quali venivano spedite e recapitate dallo stesso Antonio, su richiesta di Serena. Madre e figlia si aspettavano che il ragioniere le leggesse e comprendesse le loro volontà, ma Antonio, da uomo di grande rispetto, non cedette mai alla tentazione e rimase così in balia delle sue incertezze. Quella madre da cui si sente distante, come ha confessato ad Antonio, è in realtà la spinta propulsiva di Serena. La donna rimprovera Antonio per i suoi tentennamenti: «Serena scriveva che lei era un uomo sicuro, che l’aveva capito, in tanti mesi. Secondo me un operaio l’avrebbe fatto. Ma un impiegato: ha troppa figura, ci tiene troppo al mondo». Il ragioniere si sente imbrogliato da Serena, fuggita senza spiegazioni a Ravenna; si sente nuovamente frastornato e fatica a parlare perché non capisce quale sia stato il suo ritardo. È debole ma sa che andrà a Ferrara per rimediare e per confermare quella coraggiosa decisione assunta qualche giorno prima, ovvero sposare la ragazza. L’unico che sembra mostrargli solidarietà è il padre di Serena. «Lei è un bravo ragazzo, ma non mi sembra tanto pronto - gli dice appena prima di lasciare Mondovì -. E invece queste son donne da comandare, sennò succede come a me, che ho perso il rispetto subito. Se lei riesce a farsi rispettare vivrà bene con una ragazza come Serena, altrimenti...». Un consiglio da padre di famiglia spodestato in un’Italia aperta al cambiamento sociale ma ancora acerba per definire i nuovi confini. E anche questa tematica testimonia quanto possa essere complesso nei suoi strati sotterranei un romanzo amoroso apparentemente semplice come quello di Arpino.
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La possibilità di un amore impossibile
Limpido, pulito, morbido...questo libro è stato esattamente così, sotto tutti i punti di vista, della storia e della scrittura.
Arpino è pacato nello scegliere le parole, niente slanci o voli pindarici, esattamente come il suo protagonista, Antonio, un uomo medio, direi proprio mediocre, uno di quelli che si lascia vivere, che non chiede, non pretende, non si fa domande.
Uno che non morde la vita.
E che non ha mai "osato" nulla.
Impiegato quarantenne, impegnato in una relazione scialba, incolore, priva di amore e di qualunque interesse, ma che procede placida, sospinta dall'inerzia che governa ogni sua giornata.
(Spesso, durante la lettura, ho avuto l'impressione di essere con un altro "Antonio", quello nato dalla penna di Buzzati in "Un amore"...).
La scrittura è chiara, pulita, proprio come il sentimento che lega Antonio a Serena, la giovane suora appena ventenne che non vuole prendere i voti, e che dopo un lungo gioco di sguardi e di attese alla fermata del tram, gli chiede affetto, tempo e parole.
Parole pronunciate piano su un pianerottolo buio, di notte, attraverso un uscio semiaperto...
La possibilità di un amore che germoglia proprio nella sua impossibilità.
Un amore sussurrato che giorno dopo giorno invade ogni pensiero.
Per la prima volta nella sua vita Antonio "vuole" qualcosa, e per la prima volta si troverà nella condizione di dover agire, prendere una posizione, decidere.
L'atmosfera del libro è soffusa, morbida, anche durante i tormenti di Antonio...
Ogni pagina è caratterizzata da una luce livida, crepuscolare...in una Torino degli anni '50 fredda e scura.
Un racconto tenero, ma intenso e trascinante, pieno di poesia.
Arpino, grande scoperta per me (tardiva, lo so).
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Incontri inaspettati
Una Torino grigia e immalinconita dall’inverno fa da sfondo alla vicenda narrata in questo breve romanzo di Giovanni Arpino. Un impiegato quarantenne e una novizia di vent’anni s’incontrano ogni sera, da tempo, alla fermata del tram; i due si cercano pur in assenza di parole e quando la scena degli incontri si sposta dalla strada al pianerottolo al quarto piano di un condominio – e lì sì che le parole diventeranno tante – finiscono per emergere del tutto due solitudini inquiete che si chiedono aiuto a vicenda al fine di salvare le rispettive esistenze destinate altrimenti a concludersi molto diversamente.
Pubblicato sul finire degli anni Cinquanta, “La suora giovane” è un testo, scritto pressoché sotto forma di diario, che fotografa piccoli scenari di quel decennio divisi tra città e provincia. Molto ben caratterizzato il protagonista maschile, Antonio, “quel niente travestito da uomo ammodo” che si porta dietro un eterno senso di infelicità e indecisione che gli corrode l’anima, mentre lei, Serena, la novizia prossima ai voti, colpisce fin da subito per la lucida iniziativa che, inseguendo semplici sogni di ragazza, condurrà a un finale inaspettato. Particolarmente suggestivi gli scenari di Piazza Vittorio Veneto, della Gran Madre e del Po, sapientemente ritratti tra queste pagine nelle loro atmosfere notturne.
Davvero una bella scoperta Giovanni Arpino, prolifico e poliedrico autore del Novecento e vincitore del Premio Strega nel ’64. Indubbiamente da approfondire.