La storia La storia

La storia

Letteratura italiana

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A questo romanzo (pensato e scritto in tre anni, dal 1971 al 1974) Elsa Morante consegna la massima esperienza della sua vita "dentro la Storia" quasi a spiegamento totale di tutte le sue precedenti esperienze narrative: da "L'isola di Arturo" a "Menzogna e sortilegio". La Storia, che si svolge a Roma durante e dopo la seconda guerra mondiale, vorrebbe parlare in un linguaggio comune e accessibile a tutti.



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La storia 2024-06-24 07:49:21 marialetiziadorsi
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marialetiziadorsi Opinione inserita da marialetiziadorsi    24 Giugno, 2024
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Un capolavoro

E’ uno dei libri più belli che io abbia mai letto nella mia vita, un’emozione assoluta e un capolavoro indescrivibile. Difficile infatti decidere da quale parte iniziare a raccontare questa meraviglia le cui 700 pagine scorrono tra la voracità del voler continuare a leggere ed il dispiacere perché ne rimane sempre meno. Confesso che non appena chiusa l’ultima pagina ho provato a ricominciarlo da capo. Lo farò sicuramente, però non subito. Si tratta infatti di un libro in grado di parlarci in qualsiasi momento della storia umana ed è bello lasciarlo sedimentare e poi riprenderlo.
Il titolo potrebbe essere fuorviante, può far pensare che la storia qui raccontata sia la storia dei grandi che l’hanno determinata. Fra l’altro il racconto è ambientato in un periodo denso, quello tra la nascita del fascismo fino ai primi anni del dopoguerra. La scelta della Morante è invece diametralmente opposta: la storia, quella vera, è la storia dei piccoli, degli umili, quella di chi subisce vicende molto più grandi senza poterle cambiare. O meglio: la Morante distingue tra la Storia con la maiuscola, riportata di tanto in tanto durante il libro in un corpo più piccolo e che aggiorna brevemente su quanto succede negli anni raccontati: è sostanzialmente una triste cronaca di guerre qua e là nel mondo con tutti i morti che si portano dietro. E poi c’è la storia, la vicenda narrata dal libro, quella delle gente comune che viene appena lambita dalle vicende politiche che sono troppo al di sopra di loro se non per i danni che la Storia con la maiuscola provoca.
Ecco quindi che la vicenda è quello di una madre, oscura insegnante elementare di origine ebrea, Ida, rimasta vedova con un figlio, Nino, bulletto di periferia, e che a causa della violenza subita da parte di un soldato tedesco rimane incinta di un secondo figlio, Giuseppe, di fatto sempre chiamato Useppe con la sua stessa pronuncia infantile e fatto nascere con l’aiuto di una levatrice ebrea nel ghetto. Non sono molti altri i personaggi che ruotano attorno a questa famiglia. Il principale è sicuramente Davide Segre, di famiglia borghese scappato fortunosamente alla fucilazione in quanto evreo: un altro emblema di figura umile e debole che esprime compiutamente il pensiero della Morante, ne è il primo portavoce all’interno del libro.
Ida è premurosa e protettiva verso i figli, attenta ai bisogni primari, così difficili da soddisfare in tempo di guerra, fa di tutto per riuscire a sfamare i figli anche quando la fame è stata sofferta da tutti o quasi in Italia, soffre in silenzio per la paura per se stessa e la sua famiglia e per quel che vede succedere intorno. Così come soffrirà per le scelte del figlio maggiore.
Nino lascia presto la scuola, è un ragazzo sempre allegro e decisamente scapestrato che passa dalle fila dei giovani fascisti a quelle della resistenza (con lo pseudonimo di Assodicuori) per dedicarsi poi ad attività illecite come il contrabbando.
Useppe è un bambino che rimane nel cuore: piccolo e delicato, due enormi occhi azzurri in un corpicino che fatica a crescere. L’epilessia di cui è affetto, che si manifesta dopo i primissimi anni, all’epoca fa paura, il suo sorriso aperto e cordiale è sempre pronto a cedere il passo ad una rabbia inspiegabile. Useppe è uno dei più bei bambini mai raccontati nella letteratura.
Poi ci sono gli animali: i cani, prima Blitz, rimasto sotto le macerie della casa di famiglia e poi Bella che diviene amica indivisibile di Useppe e che è umanizzata all’estremo. Ma il racconto è popolato di animali descritti tutti con attenzione: gatti, canarini, cicale, un coniglio e persino un criceto, tutti funzionali alla storia.
Ida, Nino e Useppe (aggiungerei anche il cane Bella, che seguirà il destino della famiglia), Davide, sono personaggi splendidi che rappresentano l’umanità intera e portano il peso del male che pure non hanno commesso. Ida ha vissuto la fame, la paura, l’essere sfollata, la povertà estrema, il dolore. Useppe apparentemente ha vissuto tutto come un gioco, ma porta su di sé le cicatrici degli abbandoni e di ciò che ha solo intravisto sulle copertine dei giornali in edicola.
Arrivati alla fine della guerra e alla liberazione la storia apparentemente si ferma, quasi a voler riannodare tutti i fili del racconto attraverso, soprattutto, il lunghissimo soliloquio di Davide Segre, che mai come in questa parte rende il libro una dichiarazione di pensiero sul potere ed i suoi mali, sul dolore, sugli errori del mondo. Qualcuno potrebbe ritenere questa parte troppo lunga: io l’ho trovata splendida per il dolore e la rabbia che riesce ad esprimere e che lascia nel lettore.
Una piccola storia, in fondo, ma che è stata la storia di tutti. E’ un libro sul dolore dell’uomo che vuole parlare a tutti, anche agli analfabeti, come recita l’incipit della Morante. E la scelta stilistica è molto precisa. La Morante ha un passo narrativo da grande romanziera: non c’è fretta nel racconto, c’è respiro, c’è l’andamento di chi sa come raccontare.
La Storia è un libro che non si dimentica, che arriva all’anima illuminandola e che andrebbe letto almeno una volta nella vita. E’ un romanzo immortale, ed Elsa Morante una scrittrice grandissima che non ringrazieremo mai abbastanza per averci regalato questo meraviglioso interrogativo con la risposta al suo interno alla storia dei grandi che è il suo romanzo. E’ un saggio in forma di romanzo, perché i personaggi si muovono nell’unico modo possibile, quello che risponde al pensiero dell’autrice, come molti grandi romanzi di scrittori con forte personalità e convinzioni.
Chi non lo ha ancora fatto legga La Storia: regalatevi almeno una volta nella vita tanta bellezza.

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L'isola di Arturo
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La storia 2021-08-17 14:32:49 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    17 Agosto, 2021
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La Storia è fatta dagli umili

“Uno scandalo che dura da centomila anni” questo è il sottotitolo della poderosa opera di Elsa Morante pubblicato, per suo volere, in formato economico, nel 1974 dopo tre anni di gestazione.

Sottotitolo provocatorio, contenuti e ideologie scomode -fin troppo - per i vari orientamenti politici dell’Italia degli anni di piombo. Il mondo intellettuale, all’epoca, si divise: ci fu chi, come Natalia Ginzburg salutò l’opera con grande entusiasmo e chi, come Pasolini, Calvino e tanti altri critici - tutti maschi, sottolineo - manifestarono un parere avverso. Chi non si espose, e il suo silenzio fu eloquente, fu il critico Fortini. Il libro vendette e continua tuttora a vendere migliaia di copie ogni anno, sancendo così la grandezza dell’opera e dell’autrice, nonostante la distanza con gli eventi narrati.

La scrittrice ha voluto raccontare la seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di personaggi indimenticabili: Iduzza (Ida) Ramundo, ebrea e madre di Nino, avuto dal marito Alfio, e del piccolo Useppe (Giuseppe), figlio di uno stupro subito quando era fresca vedova, Davide Segre, giovane ebreo anarchico che sembra incarnare nei suoi monologhi l’alter ego della Morante.
Ci sono altri personaggi minori, tutti incontrati da Ida, ormai sfollata, nei vari rifugi romani: la numerosa famiglia detta “i mille”, rumorosa e disordinata, Carulì, ragazza madre di due gemelle, Giuseppe detto secondo, Quattro punte, amico di Nino dedito come lui al contrabbando, le signore Marrocco, fino ad arrivare agli animali, tutti ben caratterizzati, che dimostrano, come il piccolo Useppe, una sorta di saggia innocenza e inconsapevolezza. Il lettore conoscerà la gatta Rossella, innamorata del giovane Davide, che gli si struscia addosso appena lo vede, il cane Blitz e la cagna Bella. Quest’ultima sembra essere dotata di intelligenza umana tanto da fare da seconda madre al piccolo Useppe nelle sue scorribande fuori casa.

La Storia, quella con la S maiuscola non è fatta dai grandi uomini, anzi qui gli uomini sono tutti destinati a fallire, ma è fatta dai più deboli: le donne e i bambini. “La Storia” , infatti, è un romanzo che sotto vari aspetti esalta la maternità e l’infanzia. La narrazione è generalmente lineare, se si esclude il flashback all’inizio che serve per introdurre la storia familiare di Iduzza. Il linguaggio usato è molto versatile, va da quello dialettale (parlato soprattutto da Nino) a quello più colto (che caratterizza il giovane Davide Segre) a quello infantile.
È un romanzo-fiume che, nonostante la lunghezza (circa seicento pagine) si legge con piacere e coinvolgimento emotivo. Veramente un grande romanzo, una epopea familiare, una storia di dolore e di profonda pietà.
L’autrice ha consegnato in quel lontano 1974 una delle opere più importanti della nostra letteratura, un capolavoro di vivacità narrativa e di ricchezza di tematiche fuse armonicamente tra loro. “La Storia” narra gli episodi più crudi dell’età contemporanea attraverso gli occhi di una donna semplice e timorosa, madre instancabile e quelli azzurri di suoi figlio Useppe, un bambino che catturerà il cuore del lettore.
Col suo modo tenero e ingenuo di approcciarsi alla realtà, il suo linguaggio misto di termini dialettali e inventati, conferisce spessore a tutta l’opera.

“ Dalle altre femmine, uno può salvarsi, può scoraggiare il loro "amore"; ma dalla madre chi ti salva? Essa ha il vizio della santità... non si sazia mai di espiare la colpa di averti fatto, e, finché è viva, non ti lascia vivere, col suo amore”.

Consiglio gli approfondimenti della storia critica all’indirizzo:

https://www.quodlibet.it/recensione/3377 e link annessi, alcuni rimandano anche ad interessanti interviste

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La storia 2021-02-10 20:58:58 Calderoni
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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    10 Febbraio, 2021
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Ida Ramundo: la forza commuovente di una madre

Il piccolo Useppe mi manca. Un personaggio costruito con grande sagacia da Elsa Morante. È uno dei grandi e dei tanti sconfitti della Storia, rigorosamente con la S maiuscola. La Storia e la storia della famiglia di Useppe si intrecciano nella terza “cattedrale” della Morante. Molto interessante la scelta di anteporre ad ogni capitolo (si parte dal capitolo 1941, si arriva a quello denominato 1947) un resoconto dei fatti storici occorsi in quei dodici mesi. Tipograficamente la scrittrice non ha lasciato nulla al caso. Compaiono due epigrafi significative, una richiama ad un passo del Vangelo di Luca, l’altra è tratta dagli scritti di un sopravvissuto di Hiroshima. Entrambe servono a definire i dedicatari di quest’opera, ovvero i “piccoli” del mondo, coloro i quali non possono nulla di fronte ai grandi fatti che li circondano. È un libro sulla Seconda Guerra Mondiale (le origini ebraiche di Ida Ramundo, madre di Useppe, nato da un’unione clandestina e del tutto estemporanea con il soldato tedesco Gunther; la deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma il 16 ottobre 1943; i bombardamenti sulla città laziale; la lotta partigiana nel Centro Italia, combattuta in prima linea da Nino, primogenito di Ida e fratellastro di Useppe; la liberazione di Roma, che diventa “città aperta”), ma i momenti di massima crudeltà emergono a conflitto finito. Il dramma per la famiglia Ramundo si materializza quando la Seconda Guerra Mondiale viene lasciata alle spalle. La Storia è inesorabile e travolge tutto e tutti, paradossalmente facendo più danni in tempo di pace. Il cambio di rotta del romanzo segna lo spegnersi progressivo di una meravigliosa madre come Ida, personaggio strutturato fortemente sull’identità della madre di Elsa. Entrambe, infatti, hanno origini ebree e sono maestre. Ida è un personaggio straordinario, è una delle mamme più commuoventi della nostra letteratura novecentesca. Nonostante le sue fragilità fisiche e mentali, lotta in ogni modo per garantire un futuro a Nino e a Useppe. Si trasforma addirittura in una ladruncola in una Roma in subbuglio a metà anni Quaranta. Esemplifica il concetto di “senso materno”, ma sarà la principale sconfitta del romanzo, verrà stritolata dalla violenza della Storia. Un ultimo appunto lo merita la voce narrante. Nella seconda parte non vuole distaccarsi dai suoi personaggi, soprattutto da Useppe. Lo accompagna, lo coccola, lo fa amare. Proprio per questo a romanzo terminato Useppe vi mancherà.

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La storia 2020-09-05 10:15:30 Belmi
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Belmi Opinione inserita da Belmi    05 Settembre, 2020
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Me lo dai un bacetto?

"Si era fatta incapace di pensare al futuro. La sua mente si restringeva all'oggi, fra l'ora della levata mattutina e il coprifuoco. E (dalle tante paure che già portava innate) ora non temeva più niente. I decreti razziali, le ordinanze intimidatorie e le notizie pubbliche le facevano l'effetto di parassiti ronzanti che le svolazzavano d'intorno in un gran vento falotico, senza attaccarla. Che Roma fosse tutta minata, e domani crollasse, la lasciava indifferente, quasi un ricordo già remoto della Storia antica o un'eclissi di luna nello spazio. L'unica minaccia per l'universo si rappresentava, a lei, nella visione recente del figlioletto che aveva lasciato a dormire, ridotto a un peso così irrisorio da non disegnare quasi rilievo sotto il lenzuolo".

Siamo a Roma, prima, durante e dopo la guerra, e seguiamo le vicende di Ida e di tutte quelle persone che gravitano intorno a lei. La storia tutti noi, chi più chi meno, a scuola l'abbiamo sicuramente studiata, ma quella che racconta la Morante è la Storia vissuta. Una Storia che parla di privazioni, di paura, di ingiustizia, di cuore che batte al primo passo, di sorrisi, di solidarietà ma anche di tanta cattiveria.

La Morante con mano ci accompagna all'interno dei ghetti, nelle stanze degli sfollati, nelle vie e nelle osterie, dove solo al presente si può pensare perché il domani non è un lusso per tutti.

I suoi protagonisti diventano così tangibili da essere non più solo persone "sulla carta"; l'autrice ha il dono di lasciare nei nostri cuori anche quelle comparse che in oltre seicento pagine lasciano solo piccole scie, ma indelebili. Alla fine della lettura non ci sentiremo solo abbandonati da Ida, Useppe e Nino, ma saranno tanti i nomi a cui la mente tornerà e che oltre a far parte della Storia diventeranno presenti anche nei nostri pensieri.

Un libro memorabile, che vorresti finire per la crudeltà e il dolore che leggiamo, ma che appena finito ti lascia quella sensazione di vuoto e malinconia che solo i grandi libri hanno il potere di fare. Lo consiglio, le prime duecento pagina partono un pò al rilento, ma non diffidate, anzi affidatevi alla Morante.

""Questi ultimi anni", ragionò con voce opaca, ridacchiando, "sono stati la peggiore oscenità di tutta la Storia. La Storia, si capisce, è tutta un'oscenità fino dal principio, però anni osceni come questi non ce n'erano mai stati".

Buona lettura!!!

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La storia 2020-04-22 10:57:19 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    22 Aprile, 2020
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Voci, anime, volti della Storia

Ida Ramundo, vedova Mancuso, nasce nel 1903 sotto il segno del Capricorno, che inclina all’industria, alle arti e alla profezia nonché, in alcuni casi, alla follia e alla stoltezza, e quando incontra il suo aguzzino di origine tedesca e di professione elettricista in terra germanica e soldato affamato dei bisogni del corpo in terra italiaca, ha quasi trentotto anni, un lavoro da maestra con i bambini nelle scuole e un marito venuto a mancare che le ha lasciato in eredità un figlio, Nino. Anche il tedesco non manca di lasciarle un dono, un dono che Ida non preventiva ma che amerà con tutto il suo cuore, Useppe.
Ida è una donna sola, con tante paure, superstizioni e timori radicati nelle sue origini contadine, è una donna che si troverà a dover affrontare la guerra, la perdita, la privazione di beni materiali, di affetti e di legami, è una donna che sarà chiamata a far fronte alle più dure avversità della vita e che anche quando si troverà senza più niente cercherà di andare avanti per quelle due anime che nel suo piccolo cerca di proteggere. Passano gli anni, scorre il conflitto. Assistiamo al suo susseguirsi, assistiamo al cambiamento della quotidianità di uomini e donne che nelle condizioni più estreme sopravvivono e vanno avanti, osserviamo come cambia la realtà per gli ebrei (di cui Ida ha terrore essendo una parte del suo sangue “giudio”), osserviamo il rapporto con la terra, con la natura e con gli animali, respiriamo la lotta partigiana, tocchiamo con mano la povertà. Perché la guerra finisce ma il suo lascito non giunge al termine. Essa continua con il suo fantasma ad esistere negli echi del cuore e della mente di ogni salvato. Di ogni risparmiato. Di ogni anima agonizzante che per sempre si porterà quella ferita lacerante dentro. E purtroppo non sempre una rinascita è una rinascita per tutti. Ci sono casi, ci sono esistenze all’interno delle quali non c’è possibilità di un riscatto, di una seconda occasione. Perché quella malvagia sorte è sempre pronta ad attendere, a flagellare con inarrestabili frusti, interminabili colpi, dolori lancinanti da cui scaturisce un flusso inarrestabile di lacrime miste a sangue. Perché così è la vita, perché così è scritto, perché così è la sorte, perché così è la stella.
Una stella che cessa di brillare, una stella che perde la sua luce. Ma si sa, La Storia, va avanti. Si ripete in fasi cicliche, si rinnova e si ripropone con tutta la sua forza. Ma va avanti. È un tempo continuo, un tempo ininterrotto. Un tempo che ci lascia nel cuore donne, uomini, ragazzi, bambini, gatte rosse (Rossella), cagnolini (Blitz e Bella), sopravvissuti ai Lager, sopravvissuti ai bombardamenti, sopravvissuti e anche morti. Morti fisiche di persone scomparse, di persone venute a mancare, morti nel cuore e nella mente perché quel nefasto destino si è scatenato in quell’ultima inarrestabile sferza.
Un libro che si divora, un libro con tanti personaggi che si imprimono, un libro da cui è impossibile separarsi, un libro che resta. Un libro che commuove, che scuote, che fa riflettere, che tocca le corde più intime dell’anima, un libro che si ama. Un libro che è.

«Il fatto è che questi paesi sono fatti di calce, tutta roba di calce che si può spaccare e sbriciolare da un momento all’altro. Lei stessa è un pezzo di calce, e rischia di cascare in frantumi e venire spazzata via prima d’arrivare a casa. Nessuno per accompagnarla e sorreggerla, nessuno a cui chiedere aiuto. A ogni modo, chi sa mai come, ce l’ha fatta. È arrivata a Via Bodoni, è salita fino all’uscio, è dentro casa. Qui finalmente, almeno per un poco, può buttarsi giù, lasciarsi cadere in polvere.»

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La storia 2020-01-31 12:13:29 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    31 Gennaio, 2020
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Volti e voci

Libro meraviglioso, che, ambientato nella Roma della seconda guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra, ci permette di vivere la storia da dentro. In un contesto storico alquanto difficile, emerge preponderante l’italianità dei personaggi, attraverso i loro dialoghi, i loro dialetti, i loro elementi caratterizzanti. E questo libro è un viaggio, attraverso volti e voci, scandito da un tempo lento, mentre la storia tutto attorno va avanti e se ne avvertono i balzi prepotenti. E’ un romanzo corale, dalla parte della popolazione ferita. Mi sono sempre chiesta se chi è vissuto in determinati periodi storici, riusciva ad avere coscienza del tempo che stava vivendo o se la storia scorre attraverso l’indifferenza di chi, a tutti gli effetti, ne è parte o la fa. Questa lettura, attraverso i suoi spaccati toccanti che sono un affresco di un momento storico fra i nostri più delicati, offre un punto di vista che non può lasciare indifferenti, ed offre un’occasione di memoria che tutti noi dovremmo cogliere.

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La storia 2019-09-02 09:41:49 siti
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siti Opinione inserita da siti    02 Settembre, 2019
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Incessante forza distruttrice

È tempo di riscoprire questo romanzo che all'epoca della sua prima pubblicazione nel 1974 fu, al tempo stesso, un vero e proprio successo editoriale e un oggetto di critica spietata. Invero, pare che ancora oggi sia molto venduto anche se dai più non letto o scoperto tardivamente. Non è certo l'eco distruttiva della critica ideologizzata a tenercelo lontano, quanto un inspiegabile e generalizzato disamore per la storia. Eppure questo romanzo di oltre seicento pagine assolve l'importante funzione di avvicinarci alla nostra storia e lo fa in modo semplice con protagonista un mondo di popolani, espressione di una vitalità sincera e genuina, sprovveduta e meschina. Al centro Ida, una maestrina romana d'adozione, ebrea, vedova, madre di due figli, Nino e Useppe, in realtà fratellastri perché il secondo è il frutto di una violenza gratuita perpetrata da un giovane e sprovveduto soldato tedesco ai danni di Iduzza. Attorno al loro universo ruota un microcosmo di personaggi che si muovono imperterriti nello scenario di una Roma sventrata dagli eventi della seconda guerra mondiale. Sono i quartieri popolari bombardati, il ghetto forzatamente popolato e poi tristemente svuotato, le periferie suburbane dove ancora la campagna riesce a restituire una primordiale vitalità. Il tempo del vivere è scandito dagli eventi bellici e l'esistenza è ridotta a pura sopravvivenza; molti soccomberanno mentre altri resisteranno, tutti però in un modo o nell'altro verranno schiacciati dalla Storia. Opera meritoria, di godibile lettura con il pregio di non scadere mai nella retorica nonostante il dolore rappresentato, capace anche di trasmettere non un'ideologia, come molti avrebbero auspicato al tempo, ma ideali, benché pervasi da un cupo pessimismo, a cui l'umanità non dovrebbe mai rinunciare. Una tensione alla vita, pura e bella, contro i soprusi del passato e le temute involuzioni del presente, quelle degli anni '70 così tristemente attuali ancora oggi.

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La storia 2018-12-03 16:58:45 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    03 Dicembre, 2018
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Storia e storie

Come tutte le piccole storie umane, anche quella di Ida e Useppe Ramundo si perde nella grande Storia e a essa s'intreccia, al tempo stesso, correndo in parallelo.
Elsa Morante, con una maestria disarmante e forse unica, ci narra la loro povera vicenda in questo romanzo che definire monumentale è poca cosa. Una voce coinvolgente, la sua, capace di scandagliare sentimenti ed emozioni di protagonisti e personaggi vari, nonché di accompagnare il lettore fra le strade di una Roma misera e ferita, ben lontana dai fasti baldanzosi e arroganti del Ventennio. Ed ecco riemergere da queste pagine di una intensità sconvolgente le macerie ancora fumanti di San Lorenzo o la sfollata desolazione di Pietralata o, ancora, i vicoli ormai condannati del Ghetto; dal baratro affannoso del tempo si leva anche il vocio incessante dei vagoni bestiame con il proprio tragico carico umano, in attesa di partenza dalla stazione Tiburtina. E poi la miseria più nera, la fame, sprazzi di lotta partigiana, mentre la Storia prosegue indifferente il suo cammino e la carne da macello continua a essere immolata sull'altare blasfemo della guerra.
Una scrittura magnifica e potente che si fa strepito di fucili e stupore di bambino, canzoni d'anarchia e ninnenanne perdute tra parentesi evanescenti d'infanzia; una scrittura altresì commovente e profonda che si cala nei vernacoli o nel cuore parlante delle bestie di sincera umanità e, con discrezione, s'insinua nella stantìa promiscuità di periferia, così come nei ricordi e nelle speranze deluse, nei pensieri e nei deliri incoscienti, raccontando ritorni e non ritorni da una guerra che, in verità, non finisce mai del tutto perché, per riprendere le parole di Primo Levi, “guerra è sempre”.
Struggenti e destinati a persistere nella memoria i personaggi di Useppe e Ida, meri pulviscoli in quel cielo sterminato di fragili stelle che è il mondo. Travolgente quello di Nino, drammaticamente sfuggente e ombroso quello di Davide. Ogni presenza all'interno dell'intreccio narrativo è ben collocata, nessun incontro sembra essere lasciato al caso, nemmeno quelli di passaggio che spargono “4 parole in tutto d'italiano” e altrettante poche noncuranti gocce di vita. Non ci sono parole con cui riassumere la trama de “La storia”, se non quelle dell'autrice stessa. Un'opera, dunque, da leggere e custodire dolorosamente nel cuore.

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La storia 2015-03-03 20:09:08 bluenote76
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bluenote76 Opinione inserita da bluenote76    03 Marzo, 2015
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STORIA E LETTERATURA

Persone vittime di una guerra che non hanno voluto, chiamati a combattere per ideali che celano invece oscuri obiettivi dei potenti, che muoiono per cause che non conoscono. Vittime di una Guerra che ha distrutto un paese, il nostro paese. In questo quadro di desolazione conosciamo la famiglia protagonista del romanzo. Una famiglia di modeste condizioni che  fin dalle prime pagine commuoverà il lettore. Ida Ramundo, vedova e madre di Nino, subisce a Roma nel 1941 la violenza di un soldato tedesco. Incredibile come un atto così bestiale e ai limiti della comprensione umana generi una prodigiosa creatura innocente, Giuseppe detto Useppe. Sarà proprio l’innocenza infantile di questo bambino, il suo modo tenero di vedere la realtà, i suoi giochi e le sue risate su uno sfondo di morte, a dare uno spessore maggiore a questo romanzo. La famiglia subirà tutte le traversie della Grande Guerra, dalla perdita della casa  alla scomoda convivenza con altri sfollati, al disagio che solo coloro che hanno vissuto quei duri anni possono comprendere, un disagio dato dalla perdita di qualsiasi bene. Nino, il figlio maggiore, come la maggior parte dei giovani dell’epoca si fa smanioso davanti agli eventi. Il desiderio di crescere in fretta, la voglia di libertà e di indipendenza lo portano prima tra gli schieramenti fascisti, poi la personalità ribelle lo conduce tra i partigiani, e infine il suo coraggio lo rende vittima della polizia. Nino, un giovane come tanti, morto prima di vivere. Il piccolo Useppe invece resta vittima del suo male, l’epilessia. Un bambino che nonostante le circostanze riesce a vivere la sua infanzia come fosse in una bolla di sapone. Elsa Morante con tono distaccato ma non indifferente racconta la storia di questi uomini, la storia degli umili, delle persone che se pur sconfitte sul campo di battaglia sono vincitrici nella vita e quindi nella storia. In un solo libro vengono affrontate tematiche importanti come la guerra, la violenza, il mondo dell’infanzia collocato in un’atmosfera a dir poco magica. L’aspetto realmente affascinante è che tutto ciò che è brutto, la malattia, la morte, la guerra è escluso dalla visione infantile. È come se Useppe non vedesse la realtà che lo circonda. Guarda con gli occhi di un bambino e attraverso una sana fantasia rielabora dentro di sé un mondo fantastico. Così per Elsa Morante l’infanzia diventa non solo “innocenza ignara ma anche vitalità immediata e gioiosa”. Un romanzo che tocca i cuori anche dei più duri e cinici. Un romanzo che emoziona perché all’interno contiene un ingrediente straordinario: la verità storica che si mescola alla letteratura.

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La storia 2014-06-10 21:50:13 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    10 Giugno, 2014
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La storia di Elsa Morante

Quando uscì nel 1974, La storia di Elsa Morante fu un vero caso editoriale. Ne furono inaspettatamente vendute seicentomila copie, eppure, nonostante il grande successo di pubblico, il romanzo suscitò numerosissime critiche.
L’opera copre il periodo che va dal 1941 al 1947 e ogni capitolo è preceduto da un accurato sommario degli eventi storici che lo caratterizzarono.
Il titolo del romanzo fu considerato da alcuni eccessivamente ambizioso e in parte fuorviante. In realtà la Morante, a mio avviso, ha inteso giustamente collegare la condizione del singolo al destino collettivo dell’umanità, dando in questo modo maggiore spessore a ciascun personaggio, conferendogli un carattere di universalità.
La vicenda si snoda intorno a tre personaggi centrali, Ida, Ninuzzo e Useppe, ma si estende ad altre storie parallele, che costituiscono dei brevi romanzi nel romanzo. Questa tecnica delle digressioni dà un certo movimento al racconto, che procede con voluta lentezza. La scrittrice si sofferma su descrizioni minuziose dei particolari dei luoghi e dei personaggi, amplificando così ogni vicenda. Ciò rientra nella tradizione del romanzo inglese e francese del settecento e dell’ottocento.
Ida fa parte del popolo di emarginati che subisce gli eventi senza avere una possibilità di riscatto. La sua figura ricorda la Gervaise dell’Assomoir di Zola o alcuni personaggi di Verga, vittime dell’inevitabile destino che le attende. Ida non si ribella alle disgrazie che la colpiscono. Subisce lo stupro da parte del soldatino tedesco dagli occhi azzurri con passiva rassegnazione, lo ricorderà con un sentimento quasi materno, mai con odio. Da questa unione nascerà Useppe, il suo secondogenito, una creatura fragile e dolce, che avrà alcune persone di riferimento che saranno i suoi miti: il fratello Ninuzzo, l’amico Davide e Scimò. La vita di Ida e Useppe scorrerà negli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra in un perpetuo nomadismo, alla ricerca d’una stabile dimora. I luoghi descritti dalla Morante appaiono quasi come squallide tane fornite di cucce. E’ il degrado che circonda i personaggi, che ne alimenta la vita e la disperazione. Sarà la ricerca di un sogno impossibile che spingerà Nino a partire per la guerra come fascista, a tornare partigiano e finire i suoi giorni come contrabbandiere e ricercato. Un personaggio che ricorda i ragazzi di vita di Pasolini. Eppure Nino è l’eroe di Useppe, è il suo mito. E quando Useppe scoprirà per la prima volta l’amarezza dell’abbandono con la scomparsa del fratello, l’oggetto della sua ammirazione diventerà Davide. Ma il destino di Useppe è segnato da questi tradimenti, inspiegabili ai suoi occhi. Minato nel fisico dalle frequenti crisi di epilessia, non riuscirà a superare la delusione e il dolore. E ogni crisi giungerà quasi a difesa istintiva da una realtà inaccettabile. Questa la storia nella sua semplicità, ma il messaggio della Morante va oltre. Letto oggi, dopo tanti anni, questo romanzo sembra quasi profetico. Ogni ideologia è qui messa sotto accusa, attraverso le parole di Davide, quando si lascia andare ad un monologo d’un realismo agghiacciante, che rimane tuttavia inascoltato, perché in fondo, finita la guerra, a nessuno interessa più discutere su cosa sia giusto o ingiusto, a nessuno interessa più sapere se il potere sia sempre stato repressivo e tirannico e abbia cambiato solo unicamente nome e facciata. E’ il discorso dell’anarchico Davide, un discorso d’un’onestà intellettuale sorprendente, che cancella ogni illusione. Ed è in questo discorso che Davide, il pacifista che odia la violenza, confessa d’avere brutalmente assassinato un tedesco e di essersi con quel gesto identificato con lo stesso odiato aguzzino tiranno. Qui il discorso sembra allargarsi alla figura dell’ebreo del dopoguerra che si trasforma da vittima in carnefice.
Nel mondo descritto dalla Morante non c’è posto per la speranza. La rinuncia di Ida alla ragione è l’ultimo atto della sua vita. Sopravvissuta alla povertà materiale, non può sopravvivere alla povertà dell’anima e dei sentimenti. In questa prospettiva il suo dolore non rimane limitato alla sfera individuale, ma diviene il dolore di tutta l’umanità tradita e ingannata.

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