Narrativa italiana Romanzi La sposa vermiglia
 

La sposa vermiglia La sposa vermiglia

La sposa vermiglia

Letteratura italiana

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Vincenzina Sparviero, ultimogenita, è destinata al convento. Quando, improvvisamente, l'amatissima sorella muore, è per Vincenzina il compimento di un sogno - ora sarà lei a potersi sposare - e il precipitare nell'abisso del senso di colpa. Da quel giorno Vincenzina giura a se stessa che non chiederà mai più niente per sé. In breve tempo il matrimonio tra la palombella mansueta e il facoltoso don Ottavio Licata, fascista, mafioso e trent'anni più vecchio di lei, è combinato. Vincenzina accetta con coraggio e incoscienza la decisione paterna, ma non ha fatto i conti con l'amore, incontrato negli occhi del giovane Filippo Gonzales. Lungo la china inesorabile che conduce al matrimonio annunciato, la colombella si tramuta senza quasi saperlo in una sparviera coraggiosa e libera.



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La sposa vermiglia 2014-06-19 22:26:02 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    20 Giugno, 2014
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Con C.U.B., intervista a Tea Ranno

Anni venti, “nell’aria di nuovo Lola e il charleston” e nella Sicilia ove i colori sono esaltati dai contrasti e dagli estremismi di una natura incantevole (“Le rose dondolano appena. Soffia un venticello che profuma di mare. Viene dalle saline di Augusta”), Tea Ranno racconta la storia di un amore contrastato ne “La sposa vermiglia”.
I protagonisti: bella e delicata lei, Vincenzina Sparviero; ardente e affascinante lui, Filippo Gonzales. Entrambi giovani, nel pieno delle promesse vitali, si amano con una passione che è fatta di sguardi, sottintesi e attese. Tra mille sogni. Ma l’amore è tanto vero quanto impossibile. Perché Vincenzina, femmina ultimogenita che sfugge al destino di monaca soltanto perché una sorella muore (“Era su quel cadavere che aveva giurato di non ribellarsi più, di fare sempre quello che suo padre e sua madre le avrebbero comandato..."), è promessa in sposa a un vecchio arrogante, mafioso e volgare (“Nella sua vita, invece, sarebbe entrato Ottavio Licata, quello che spezza le gambe alle lepri per allenare i furetti, che scuoia i conigli mentre ancora respirano. Aveva chiuso gli occhi con raccapriccio”): Ottavio Licata, “pazzo, cocainomane, alcolizzato, violento”.

La trappola dell’amore combinato per mero interesse economico scatta perché contro i due giovani innamorati congiurano ferree regole sociali (“Ma possono le femmine abbordare un uomo e dichiararsi?”), convenzioni rigide (“Che da uno come Filippo Gonzales non verrà mai un comportamento contrario a quelle regole non scritte che in una famiglia siciliana sono più imperative d’un intero corpo di leggi?”) e connivenze più o meno consapevoli dei parenti (“Non hanno avuto neppure il tempo di dirsi una parola, neppure il tempo di scoprirsi lo stesso sentimento nel cuore. E di questo sarà colpevole Marietta Sparviero… una parola detta lì, tra gli aranci, avrebbe potuto significare la possibilità di un’altra vita”), in una società ove i violenti approfittano di un regime che soffoca la libertà (“Per iscriversi all’ordine dei giornalisti… occorre adesso un certificato di buona condotta politica rilasciato dal prefetto”) e reprime il pluralismo (“la censura che adesso vige non fa altro che sopprimere ogni contenuto ideologico alieno al fascismo”) sotto l’egida di “un partito di cui Ottavio Licata è perfetto esponente”.

I giorni che separano dalle nozze scorrono con le pagine del romanzo (“la sua vita sempre uguale, il cane furioso nella pancia, la messa la domenica, le chiacchierate con Gioconda e i libri…”), i due innamorati vivono segretamente la passione tra incontri fuggevoli (“Da quando si sono incontrati a Biduzza, anche lui pare mangiato dallo stesso bisogno: di vederla, di parlarle”) e sguardi struggenti, minacciati da una tragica domanda: “La dareste una colomba in pasto a un porco?”
In un clima appesantito dai cerimoniali complessi che precedono il matrimonio, ogni occasione – il pranzo di fidanzamento, la benedizione del talamo, il pegno rappresentato da preziosissimi orecchini con brillanti e zaffiri – è fonte di angoscia per la colombella braccata e i preliminari sono presagio di un epilogo che troverà compimento proprio il giorno delle nozze…

Lo stile dell’autrice rende verace un romanzo sospeso tra storia e dramma, anche attraverso frequenti dialoghi dialettali e descrizioni di vita trasversali rispetto ai ceti sociali. Tea Ranno utilizza una tecnica personale: nel corso della narrazione intercala soventi incursioni nel futuro, che anticipano alcuni sbocchi della vicenda, in un andirivieni tra presente e posteriorità che avvince il lettore, lasciandogli preconizzare gli eventi successivi in un clima di incertezza, sospetto, speranza…

Bruno Elpis

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Cinque (e più) domande a Tea Ranno

Bruno – Quali sono gli autori che ami leggere? Il tuo romanzo s’ispira a qualcuno in particolare? Quale rapporto hai con altri scrittori che nei loro romanzi prediligono la Sicilia come fonte d’ispirazione? Quest’anno un tema della maturità ha scelto come soggetto il Quasimodo di “Ride la gazza, nera sugli aranci”…

Tea – Amo moltissimo Stefano D’Arrigo. E’ nel mondo magarico di Horcynus Orca che – per certi versi - mi sono formata; perciò m’appassiona la prosa ricca, evocativa, piena di suggestioni, armoniosa e favolosa.
Amo anche Tomasi di Lampedusa. Sciascia. Pirandello. Vittorini. Brancati. Scrittori che hanno raccontato la mia Isola con sensibilità, disincanto o ferocia, ma sempre con un gran rispetto per la terra, per la sua gente.
E poi mi piace la Nemirovskj; e anche la Yourcenar, e la Strout, e Simenon, e Joseph Roth, e altri e altri che sarebbe lungo elencare.
Non ho avuto autori di riferimento quando ho scritto La sposa vermiglia. Solo, ogni tanto, mi tornava l’eco di “Cronaca di una morte annunciata” di Marquez.
La poesia di Quasimodo esprime quel certo incanto, quel sospetto di sogno che prende quando la realtà è così vivida da apparire surreale. Un idillio effimero come il riso della gazza tra gli aranci?

C.U.B. - Pare che la storia narrata ne “La sposa vermiglia” sia vera (se non ho capito male) ... Mi piacerebbe sapere se effettivamente la cronaca coincide con quanto narrato.

Tea – E’ vero lo spunto. Mia madre mi ha spesso raccontato la storia di Vincenzina. Ma nella realtà le cose sono andate diversamente. L’ambientazione, i personaggi, gli elementi di snodo del romanzo, sono stati tutti inventati. Quello che accadde nel 1927 (ho retrodatato la vicenda di un anno) fu molto più stupido e brutale di quanto ho trasposto sulle mie pagine.

C.U.B. - La Bidduzza, la residenza al mare della famiglia Sparviero, esiste veramente? Sembra un posto fantastico…

Tea – Bidduzza era una tenuta dei miei nonni. Mia madre me ne ha sempre parlato come di un posto favoloso. E così è entrato nel romanzo, come posto favoloso, che si carica di ogni possibile bellezza e suggestione. Quello vissuto a Bidduzza è un giorno felice per tutti: questo desideravo e questo ho fatto in modo che fosse.

C.U.B. - Nel caso in cui la storia sia vera, che fine ha fatto Filippo nella realtà che viene dopo il racconto?

Tea – Filippo non è mai esistito. Nella storia vera, Vincenzina e suo marito erano coetanei, e lui non era così imbevuto di idee fasciste, né così ricco, né così spietato. Pare che si ubriacasse, questo sì, e che usasse droghe, ma il Licata del romanzo ha quasi nulla in comune con l’uomo vero. Ho voluto costruire un personaggio spietato (ma anche capace di improvvisi sbocchi di tenerezza verso la palombella fragile) perché avevo bisogno di un contrasto importante tra lui e lei, che giustificasse quel gesto estremo.

Bruno – Chiudiamo questa breve intervista con una domanda molto impegnativa: come si è evoluta la società siciliana rispetto a quella da te descritta ne “La sposa vermiglia”? Qual è il tuo sentimento prevalente rispetto a una terra culturalmente tanto fertile?

Tea – Posso parlare della “mia” Sicilia, di quella in cui sono cresciuta, e precisamente la parte orientale di essa: si è evoluta per via di un forte processo di industrializzazione (l’impianto, negli anni Cinquanta del secolo scorso, di un polo petrolchimico), tale da stravolgere le caratteristiche del territorio portando grande ricchezza ma anche un fortissimo inquinamento.
Il sentimento prevalente verso la Sicilia è di nostalgia. E’ questa, infatti, che muove la mia mano, che mi fa venire voglia di posare il mio paese sopra la pagina e riguardarmelo e contemplarlo e costruirlo a mio piacimento, enfatizzando ciò che amo e mettendo in ombra i vizi più eclatanti.

Ringraziamo Tea Ranno per aver soddisfatto – con simpatia e disponibilità - le nostre curiosità di lettori…

Tea Ranno, C.U.B. e Bruno

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... Stefano D'Arrigo. Tomasi di Lampedusa. Sciascia. Pirandello. Vittorini. Brancati. Irène Nemirovski...
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La sposa vermiglia 2014-06-09 09:40:41 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    09 Giugno, 2014
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Unni mi porti, duci amuri, unni ?

Sono gli anni Venti in Sicilia, in provincia di Siracusa un piccolo paese si affaccia sul porto di Augusta, dai balconi fioriti dei palazzi il mare si fonde col cielo, prima che le ciminiere della raffineria ne distorcano il panorama.
Vincenzina che profuma di arance e gelsomino nelle sue ventidue primavere, i capelli lunghi e ondulati raccolti in un rigido chignon, la figura slanciata e le labbra carnose. Bella da morire e nemmeno lo sa, lei che tanto e' intenta a chinare il capo ed obbedire, stretta nella morsa dei sensi di colpa. Vincenzina la sposa, la sposa promessa che ricama rose infinite affacciata alla finestra, pietrificata in quell'attesa d' agonia.
Lola si azzarda ad alzare la voce, ad implorare di smetterla. Lola non ne puo' piu' di quella maledetta violenza, sparisce - la chiamano - dov'e'. Eccola che torna, prostituta tra le altre in un festino di grand'uomini, torna con le labbra rosse, un vestito scollato, calze di seta con la riga dietro. Canta e si spoglia, nessuno vede gli occhi che annaspano tra lacrime madide di disprezzo, di impotenza, che tu sia maledetto.
Filippo ama in silenzio e rispetta le regole, gli occhi incollati a una finestra, l'unico abbraccio fonde per sempre la vergine e la felicita', amore mio le ripete. Amore mio.
La vecchia Niluzza prepara gelo di zibibbo con cannella e granella di mandorle, corre zoppicando verso il medico, le parole di silenzio, lui capisce, la rassicura. V'arringraziu, mormora lei. Suona campanellini d'argento e recita Ave Maria per quella sua bimba così bella, così buona.

Commossa ed emozionata, sfoglio pagine su pagine e aspetto quel giorno che vorrei non arrivasse mai. Il giorno in cui la sposa piu' bella sfilera' per il paese nel suo abito immacolato. Sento assalirmi l'angoscia come se Vincenzina fosse una giovane strega innocente, la veste lacera che copre il corpo smilzo mentre il carro la conduce al rogo. 
Il vestito si tinge, erano fiori di campo portati sul suo letto : margherite bianche e gialle, campanule,bocche di leone, fresie, fili di menta. Un mazzolino di speranza.

"Amuri ca mi teni e tò cumanni, unni mi porti, duci amuri, unni ?"
( Amore che mi tieni ai tuoi comandi, dove mi porti, dolce amore, dove ?)

Non ricordavo il tempo di leggere una narrativa con tanto trasporto, d'ambientazione splendida e tangibile, i personaggi principali indimenticabili tanto quanto i secondari, un romanzo di gran bellezza, grazie al cielo mi e' capitato. Buona lettura.

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La sposa vermiglia 2012-07-30 17:38:01 lisa
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Opinione inserita da lisa    30 Luglio, 2012

una storia siciliana

Commovente, delicata e nello stesso tempo drammatica la trama di questo racconto dove sicuramente possiamo rispecchiarci in tanti. Piacevole lettura che sono riuscita ad assaporare parola per parola, rivivendo con le immagini che ogni frase rievoca nella nostra memoria, tante scene di vita vissuta della nostra terra di Sicilia.

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