La scuola cattolica
Letteratura italiana
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Nascere maschi è una malattia incurabile
Indiscutibilmente la prima cosa che salta all’occhio è la dimensione del libro, alquanto voluminoso. D’altronde se pubblichi uno tra i romanzi più lunghi mai pubblicati in Italia, con le sue (quasi) 1300 pagine, sai che andare incontro al successo del grande pubblico potrebbe essere più complicato del solito. Poi succede che il libro diventa vincitore del premio Strega 2016, ed ecco probabilmente qualche scalatore in più proverà ad affrontare questa montagna di pagine per avere la sua giusta ricompensa.
La storia centrale, intorno alla quale si dipana La scuola cattolica (ma che in realtà solo viene sfiorata a tratti), è quella famosa del delitto del Circeo. In quel delitto si scoprì in seguito la partecipazione di tre ex alunni della scuola cattolica San Leone Magno. Albinati prende spunto da questo fatto di sangue, e a ritroso riavvolge il nastro della sua memoria per raccontare cosa fosse l’educazione impartita agli scolari di una scuola cattolica, come fosse l’adolescenza e la vita per un ragazzino in quegli anni.
Non solo educazione quindi ma anche sessualità e omosessualità, significato di essere maschio, famiglia, sociologia con profonde analisi sulla borghesia di quegli anni e analisi sulla religione e ancora riflessioni, pensieri e approfondimenti su molteplici temi caldi in quell’epoca e in realtà anche ai giorni nostri; il tutto visto attraverso un microscopio, come un vero scienziato dei costumi dell’epoca.
Un libro che ha richiesto dieci anni di scrittura e a causa del quale Albinati ha dovuto fare i conti con la sua vita, andando a scavare profondamente nella sua coscienza, riportandola a galla, denudandosi e mostrandosi senza difese al pubblico e soprattutto a se stesso.
Albinati, quasi come se mostrasse una sorta di pietà per chi sta leggendo, permette al lettore di saltare alcuni capitoli di approfondimento, dove un particolare tema viene sviscerato e analizzato, così da poter mantenere il filo della storia principale. A volte la scrittura, per quanto stilisticamente bella e ricca, diventa pedante e troppo prolissa.
Un libro sull’educazione scolastica, sulla borghesia, sulla società italiana e sul mondo maschile e in fin dei conti sulla vita che ci fa capire profondamente cosa rende un ragazzo un uomo e i vari percorsi possibili che ne risultano.
Una lettura che richiede uno sforzo, probabilmente indirizzata maggiormente a un target di over cinquantenni, i quali troveranno più semplice immedesimarsi nei personaggi e nelle situazioni descritte; per tutti gli altri sarà un tuffo nella storia recente italiana che arricchirà i lettori abbastanza motivati da portarlo a termine.
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Un'opera monumentale e frammentaria.
Solo un lettore coraggioso e infaticabile avrà la pazienza di affrontare questo tomo ponderoso (simile come mole ad un vocabolario o ad un’enciclopedia), un lettore che, per esempio, avrà avuto l’ardire di iniziare e terminare tutti sette volumi della Recherche proustiana. Albinati ci ha messo dieci anni a completare la sua opera, che oscilla tra il romanzo, l’autobiografia, l’analisi sociologica, la vivisezione ossessiva (e ripetitiva) della violenza, in particolare della violenza maschile sulle donne, in tutte le sue manifestazioni, genesi e conseguenze. Al centro, il famoso delitto di Angelo Izzo e soci, che nel 1975 rapirono e violentarono due ragazze del popolo, una delle quali morì e l’altra scampò fingendosi morta. Gli assassini erano ex allievi di quella “scuola cattolica" romana, il San Leone Magno, gestita da preti, che funge da sottofondo al romanzo, e della quale Albinati fu allievo liceale fino al penultimo anno. Il delitto innescò in quegli anni ’70 una serie di altri delitti e violenze, anche politiche (gli anni della ribellione), che l’Autore analizza sotto ogni aspetto. Ma è il delitto del Circeo che fa da leit motiv alla narrazione, con approfondimenti, reperti, interrogatori, intercettazioni telefoniche, cercando di spiegare nei dettagli le origini della violenza sulle donne in genere ed i retroscena del delitto in particolare. Le parti del romanzo, che non ha un suo vero filo logico, sono dieci, con centinaia di capitoli che affrontano via via, oltre al tema principale, argomenti disparati, dai ricordi legati a professori e compagni di scuola ad incontri con gli stessi anni e anni dopo, da indagini sulla borghesia, data sempre per soccombente ma sempre risorgente dalle ceneri, a considerazioni su fascismo e comunismo, da approcci adolescenziali ai misteri del sesso (l’autore è un maestro in tal senso !) ai tentativi di riconciliarsi con la fede. La scuola cattolica non ne esce comunque bene, troppo ideologizzata e chiusa alla modernità, invischiata dai lacci del denaro che prometteva, nel pensiero dell’autore, una promozione quasi certa A mio parere, i difetti del romanzo sono tanti: la prolissità innanzitutto, che scoraggia anche i meglio intenzionati, la ripetitività di concetti già espressi, quasi che l’autore voglia convincere sé stesso, il compiacimento gratuito nell’insistere su particolari scabrosi, a volte la scarsa coerenza politica, che fa oscillare l’autore dalla simpatia per un amico dichiaratamente fascista alla partecipazione attiva ai collettivi anarchico-comunisti del liceo Giulio Cesare. I capitoli più godibili sono quelli che ricordano con nostalgia e affetto i compagni di scuola e gli insegnanti, pur con tanti distinguo, e segnatamente il vecchio professore di italiano, Cosmo, che tanto ha influito sulla vocazione letteraria di Albinati e del quale l’autore riporta in un’intera parte del libro i pensieri e le riflessioni. In conclusione consiglio di leggere quest’opera monumentale, sconfinata e frammentaria, ai lettori di buona volontà, che sappiano iniziare la lettura e portarla a termine.
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Edoardo, gli anni 70 e i maschi italiani
Un'analisi corposa e senza sconti a riguardo del modo di pensare soprattutto dei maschi italiani della metà anni 70, con al centro una scuola romana il San Leone Magno, il protagonista che parla di sé stesso e di tutto il suo modo di essere e agire, ci sono digressioni sulle analisi comportamentali dei compagni di scuola e parallelamente l'autore collega questo micromondo della sua scuola con quello che succede all'esterno, soprattutto fa un parallelismo inquietante con uno degli episodi di cronaca più cruento di quegli anni e cioé: il delitto del Circeo(in quanto gli autori del delitto frequentavano la scuola di cui sopra). I temi trattati in questo libro, come dicevo in apertura, sono innumerevoli voglio elencarne ancora solo alcuni: la formazione del maschio, l’educazione cattolica, la famiglia, la borghesia, il sesso, la violenza. Nonostante l'imponenza dell'opera, quasi 1300 pagine, il romanzo scorre velocemente e fa bene l'autore a mettere nero su bianco tutte le sue impressioni. Concludo estrapolando un passaggio che mi ha colpito, un sacerdote istruttore, nella scuola di cui sopra, parla a riguardo della condizione psicologica del pensare di essere sempre nel giusto(p 233):
""Ragazzi miei, abituatevi a pensare che il diavolo si presenta puntualmente quando si ha ragione, quando si è dalla parte del giusto e di questo si è compiaciuti, ecco, lui arriva come se volesse riscuotere una parte che gli dobbiamo, una parcella per aver tenuti lucidi e appuntiti gli strumenti. Il diavolo arriva nell'istante in cui ci si sente inebriati, intendo dire, dalla propria onestà, dalla propria correttezza. Scusatemi se vi parlò di Gesù e del Vangelo avevo promesso di non farlo...ma è proprio questo che Gesù imputava ai Farisei: siete servi del diavolo quando siete nel giusto, cioè, quando nulla può esservi rimproverato, perché è proprio allora , in tale abbondanza e culmine di onestà, che siete pieni del diavolo, della sua logica impeccabile, tipica di coloro che compiono sempre e solo il loro dovere, e lo fanno con scrupolo, con precisione...con stile!!"
Ricordo che il testo ha vinto lo Strega 2016, particolare
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Uno strazio interminabile
«Grande libro, grande male» scriveva Callimaco nel IV secolo a.C. e forse basterebbe questo per recensire il romanzo (che poi romanzo non è) di Edoardo Albinati.
La scuola cattolica è uno dei libri più strani che si possano leggere: alterna pagine che sono dei capolavori di scrittura (vedi le parti narrative e quelle successive al delitto del Circeo) a dei veri e propri deliri intellettualistico-narcisistici, nei quali l’autore espone le sue discutibilissime tesi sulla vita borghese romana a ridosso degli anni Settanta. Il motivo per cui non si merita più di una stella è che i deliri superano di gran lunga in quantità le pagine scritte bene, tanto da rendere la lettura insopportabile.
Ed è così che scopriamo che secondo il disturbatissimo Io narrante: «vuoi sapere se un tuo amico è frocio? Fallo giocare a ping pong. E osservalo»; o ancora (come se non bastasse la citazione di prima): «Non ho mai capito come mai il più famoso romanzo sulla borghesia italiana, Gli indifferenti di Alberto Moravia, sia intitolato così. […] Forse avrebbe dovuto chiamarsi Gli insoddisfatti» (probabilmente non l’ha mai letto); inoltre che sono autori minori della letteratura italiana Guido Gozzano, Arrigo Boito e Grazia Deledda. Unica nota positiva, l’autore riconosce più volte di tediare il lettore con queste inutili riflessioni, anche se temo si tratti perlopiù di falsa modestia.
Ma il vero problema della Scuola cattolica è che si tratta di un libro completamente inutile, di aria fritta. Descrive con una presunta oggettività (come se bastasse aver vissuto in certi ambienti a diciotto anni per poterli descrivere oggettivamente) l’educazione borghese del tempo partendo dal presupposto sbagliato che Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira (i tre del massacro del Circeo, evento intorno al quale dovrebbe ruotare il romanzo) abbiano commesso l’efferato delitto perché plagiati dall’ambiente culturale circostante; mentre invece oggi sappiamo che i tre soffrissero di gravissime patologie psichiche totalmente avulse dal contesto storico-educativo del tempo: prova ne è che più di 30 anni lontano da questo tipo di educazione Izzo abbia ucciso altre due persone.
Un libro costruito sul nulla, che parla del nulla e che vale nulla. Stupisce (o forse no) che sia stato insignito del Premio Strega. Chiudo con la lapidaria opinione del critico letterario Giulio Ferroni, che serva da monito a chiunque voglia comprare questo libro: «C’era bisogno di quelle pagine? Se avesse sforbiciato sarebbe stato meglio. L’ho cominciato e poi abbandonato. E ho verificato che si tratta veramente di una reazione di tanti altri lettori che hanno provato a cimentarvisi: è un’opera che richiede molto accanimento. L’esperienza dell Uomo senza qualità di Musil non è ripetibile. E poi si trattava di un capolavoro.»