La scomparsa di Majorana
Letteratura italiana
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UNA CRISI DI COSCIENZA
Uscito a puntate sulla Stampa di Torino, "La scomparsa di Majorana" ha soltanto l’apparenza dell’inchiesta giornalistica. La vocazione alla narrazione di Sciascia prende ben presto il sopravvento risultando in uno stile letterario che, seppure non privo di elementi di veridicità e di acuta analisi storica, risulta più affine al romanzo giallo che al reportage. A trarne vantaggio è la freschezza del racconto che si presta a esprimere lo spirito irrequieto e anticonformista dello scrittore siciliano assai meglio della pura cronaca.
Da subito traspare evidente la simpatia di Sciascia per il conterraneo Majorana, geniale e ombroso fisico teorico scomparso in circostanze misteriose e mai chiarite alla vigilia degli eventi bellici della seconda guerra mondiale.
La tesi di fondo, più sottesa che esplicitamente dichiarata, vorrebbe l’improvvisa scomparsa dello scienziato conseguenza della sua premonitrice presa di coscienza riguardo i terribili esiti cui la ricerca in campo nucleare avrebbe inevitabilmente condotto. Tale consapevolezza sarebbe maturata durante il viaggio di Majorana in Germania dove collaborò con il celebre fisico Heisenberg. Implicita, e a mio avviso ingiusta, l'accusa dello scrittore a Fermi il quale, di lì a poco alla guida del progetto Manhattan, costruirà la bomba per le forze alleate laddove Heisenberg si rifiuterà di farlo per Hitler ed i nazifascisti (o forse più semplicemente non fece in tempo?).
Di ritorno dalla Germania, il giovane fisico vive quattro anni da "uomo solo", tormentato da dubbi morali che, minando il valore stesso della ricerca scientifica cui da sempre si era dedicato, distruggono progressivamente la sua stabilità emotiva. Al termine di questo angoscioso percorso, l'intelligenza irrequieta di Majorana sarebbe giunta, nella ricostruzione di Sciascia, a ideare una complessa simulazione inscenando un suicidio per sviare le indagini sulla sua scomparsa e potersi rifugiare in un convento ove trascorrere il resto della sua vita in totale isolamento.
Il tutto basato su supposizioni e senza reali ambizioni di giungere a verità storiche, ma insinuando nel lettore scetticismo verso le versioni di comodo che della scomparsa diedero le istituzioni. Sciascia dà il meglio di sé nel tratteggiare il grottesco agire delle forze della polizia in un teatrino punteggiato da carteggi, note ufficiali e documenti riservati. Il procedere indolente e colpevolmente negligente degli investigatori, tutto teso a una rapida archiviazione dello scomodo caso da rubricare quale semplice suicidio, viene fastidiosamente pungolato dagli esponenti della famiglia Majorana e da alcuni gerarchi fascisti (il ministro Gentile in persona si interessò alla vicenda) che insistono nell'accertamento della verità.
"La Scomparsa di Majorana" è anche un incisivo seppure rapido affresco di quello che fu un periodo magico e irripetibile per la scienza italiana. Quella del genio di Fermi e dei ragazzi di via Panisperna, all’avanguardia della fisica teorica mondiale del tempo, va ricordata come una delle ultime pagine di autentica eccellenza italiana nel mondo.
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La forza rivelatrice della letteratura
Leonardo Sciascia ricostruisce letterariamente la celebre scomparsa nel nulla di Ettore Majorana. Ne esce un romanzo breve o racconto lungo bellissimo, che fa emergere in modo chiaro e incisivo la forza liberatrice della letteratura. Il principio della struttura narrativa di Sciascia è determinato dall’intenzione di presentare, in una composizione dal carattere di documentario, all’apparenza un’impartecipe raccolta di materiale, di fatti e la loro successione nella nudità di un rapporto. Ma l’opera dello scrittore di Racalmuto non si limita a questo. Riesce, infatti, ad indagare nel profondo la complessa figura di Majorana, fisico originario di Catania. Viene definito un genio precoce e come tutti i geni precoci Sciascia ammonisce che «appena toccata, nell’opera, una compiutezza, una perfezione; appena svelato compiutamente un segreto, appena data perfetta forma, e cioè rivelazione, a un mistero… appena dopo è la morte». In ogni cosa che scopre, in ogni cosa rivela, sente avvicinarsi la morte e non è un caso, dunque, che Majorana cestinò un pacchetto di sigarette al di sopra del quale aveva scritto calcoli e teorie sul nucleo fatto di protoni e neutroni. Calcoli e teorie che da lì a pochi mesi sarebbero stati pubblicati da Heisenberg, che, secondo Sciascia per Majorana, rappresentò «un amico sconosciuto: uno che senza saperlo, senza conoscerlo, l’ha salvato da un pericolo, gli ha come evitato un sacrificio». Nel romanzo le diatribe e le invidie accademiche degli anni Trenta, ancora così attuali a quasi cento anni di distanza, sono ben fotografate. Le differenze che intercorrono tra Enrico Fermi e il suo seguito ed Ettore Majorana sono ampiamente rimarcate da Sciascia. Per Fermi il suo illustre collega è un genio, come ce ne sono stati pochi nel corso della storia della scienza (cita Galileo Galilei e Newton, non menziona Einstein), ma è anche una personalità strana da decifrare, soprattutto per il suo carattere solitario. Sulla solitudine di Majorana Sciascia insiste parecchio, anche per avvalorare quella che è la sua ipotesi: lo scrittore rifiuta il suicidio del fisico (e prova a dimostrarlo, ponendo l’accento su alcuni aspetti, a partire dalla grafia delle due lettere lasciate da Majorana nel giorno della sua scomparsa), mentre è propenso a pensare che si sia chiuso in un convento, una scelta che esprime il malessere esistenziale, l’insicurezza, l’ansia profonda, la perduta fede nel mondo. Perché si è verificato tutto ciò nell’anima inquieta di Majorana? Secondo Sciascia perché aveva visto davanti ai propri occhi già a metà anni Trenta la bomba atomica, rimanendo, spaventato, terribilmente spaventato, da quella manciata di atomi. Tra l’altro nel 1921, parlando delle ricerche atomiche di Rutherford, un fisico tedesco aveva avvertito: «Viviamo su un’isola di fulmicotone», ma aggiungeva che, grazie a Dio, ancora non avevano trovato il fiammifero per accenderla. Per Sciascia, il grande genio di Majorana aveva capito che il fiammifero c’era già e se n’è allontanato con sgomento e terrore, poiché osservava che nel mondo era venuto meno il buon senso. La lunga riflessione di Sciascia sulla bomba atomica tocca una vetta elevata in una nota del quinto capitolo, dove paragona la struttura organizzativa del «Manhattan Project» ad un luogo di segregazione e di schiavitù, in analogia ai campi di annientamento hitleriani, perché «quando si maneggia, anche se destinata ad altri, la morte, si è dalla parte della morte e nella morte». A tal proposito lo scrittore cerca di dare merito a Heisenberg, che, a differenza di molti altri colleghi dei suoi stessi anni, nel campo della fisica nucleare non solo non ha avviato il progetto della bomba atomica ma ha anzi vissuto gli anni della guerra nella dolorosa apprensione che gli altri, dall’altra parte, stessero per realizzarla. E proprio Heisenberg accolse Majorana a Lipsia per un certo periodo, tenendo notevoli disquisizioni sulla fisica con il giovane italiano che lo aveva anticipato, come detto, senza prendersi i meriti, riguardo al nucleo fatto di protoni e neutroni. Nel ripercorre la storia di Majorana, Sciascia inserisce anche il «caso Majorana», che per otto lunghi anni annientò fino alla follia la famiglia di Ettore e nello specifico il fratello Dante con la moglie Sara. Furono ingiustamente accusati di aver bruciato nella culla il bambino di Antonino Amato, fratello di Sara. Sciascia ci mostra, pertanto, uno spaccato di quella Italia, di quella Sicilia. Non manca d’altronde la Sicilia in questo romanzo breve del 1975. Lo stesso Sciascia accosta la volontà di nascondersi, di fuggire dal mondo, di Majorana a Vitangelo Moscarda, il protagonista di Uno, nessuno, centomila di Luigi Pirandello, assoluto punto di riferimento dello scrittore di Racalmuto. La costruzione letteraria di Sciascia, dunque, è compiuta: la scomparsa di Majorana non è risolta, ma il ragionevole dubbio è ormai dentro di noi.
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Fuga dalla vita. Fuga della vita.
A Roma, sul tram che porta verso via Panisperna c’è un uomo taciturno, dai capelli neri e scarruffati e la fronte accigliata. Si fruga nelle tasche, trova una matita, e comincia a scarabocchiare formule complicate su un pacchetto di sigarette. Arrivato all’Istituto di Fisica, Ettore Majorana spiega la sua nuova idea ma, appena i colleghi cominciano a entusiasmarsi e lo esortano a pubblicare, lui si schernisce, minimizza, e, fumata l’ultima sigaretta, getta il pacchetto. In quel cestino finisce la teoria del nucleo fatto di protoni e neutroni, teorizzata molti anni prima di Heisenberg.
In questo testo, Leonardo Sciascia ricostruisce mirabilmente la figura di quello che lo stesso Enrico Fermi definì un genio, del calibro di Newton o Galileo, e ci conduce attraverso l’oscuro mistero della sua improvvisa scomparsa avvenuta nel marzo 1938. Dati, lettere, atti burocratici si compongono per dare vita a un’ipotesi, quella sul suo destino, tanto drammatica quanto affascinante. Un’ipotesi che si riempie di riflessioni ed emozioni che vanno oltre il documentario e rendono questo piccolo scritto un vero e proprio capolavoro letterario.
Come in altri romanzi di Sciascia, c’è una soluzione banale e tranquillizzante a questo mistero: il suicidio, la follia. Per chi vuole crederci. Oppure si può guardare a questo fisico timido e solitario, cercando inutilmente nelle sue mosse l’oscura disperazione di un pazzo per trovarvi invece qualcosa di diverso, la lucida genialità di un uomo che già molte volte aveva visto ciò che nessuno aveva ancora intuito.
È allora possibile immaginare che negli esperimenti e negli studi sull’atomo condotti da Fermi e dai suoi collaboratori, Majorana sia stato capace di scorgere un terribile e atroce presentimento, di distruzione, di morte, di scienza schiava della guerra. Dalle parole di Sciascia prende così vita un uomo che ha sempre rifuggito la fama, che non inseguiva la scienza per svelarla ma in qualche modo sembrava “portarla” dentro di sé; un uomo che potrebbe essere stato condotto, dalla propria coscienza, a una scelta di fuga per non assoggettarsi a una rinuncia ancor peggiore, quella della propria libertà scientifica e morale.
Nessuno di noi sa quale sia la verità nascosta dietro la scomparsa di Majorana, possiamo credere a questa ipotesi oppure no, ma di certo la profondità di questa figura e l’importanza degli interrogativi etici sollevati in queste pagine rendono questo romanzo una lettura davvero imperdibile. Per tutti.
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Il senso di una vita
A quasi ottanta anni dalla scomparsa del fisico Majorana ancora si fanno ipotesi sulla sua dipartita mentre l’avanzare del tempo e la sua ormai sicura morte, avrebbe centoundici anni, pongono in un qualche modo la parola fine. Eppure il mistero sussiste e l’anno scorso dopo le rivelazioni rilasciate da un italiano emigrato in Venezuela nel 2008 e il successivo interessamento della trasmissione RAI “Chi l’ha visto?” è apparso per i tipi Chiarelettere il volume “La seconda vita di Majorana” , un’indagine condotta da Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini. Non ho avuto modo di leggerlo e in realtà non mi sono approcciata neanche al testo di Sciascia, il quale tra l’altro offre un’ipotesi sulla sua fine diversa da quelle più recenti, con l’intento di sciogliere un mistero o avvicinarmi alla sua soluzione, benché per indole sia molto attratta dalle biografie delle persone scomparse rimanendone sempre affascinata.
E appunto in questo bellissimo testo ho soddisfatto il gusto per la biografia, perché questo ci offre Sciascia: una rilettura della vita del grande Majorana alla luce della sua stessa esistenza e non della sua morte. Si scopre allora una persona che viene tratteggiata attraverso il ricordo di chi gli sopravvisse, il fratello Salvatore che lo cerca tramite l’aiuto dei senatori, la madre che lo ritrae in maniera onestissima e toccante in una lettera al Duce allegando l’evidenza di un impossibile intento suicida nel figlio, a detta sua “vittima della scienza”, lo stesso Enrico Fermi che lo ritiene un genio. Numerose sono le testimonianze di cui si avvale Sciascia e scarsi i documenti che sigillano con l’esiguo numero l’impronta data fin da subito alle indagini: un evidente caso di suicidio, reso tangibile dalle stesse lettere lasciate dal fisico. In aggiunta a quanto detto, senza nulla svelare al lettore di questa breve e intensa e particolare esistenza, sia chiaro che il tutto è reso magnifico dall’acume di Sciascia, dal suo rigore intellettuale, dal suo profondo senso di giustizia, dal suo essere siciliano, dal sentimento umano che permette di avvicinare una figura enigmatica restituendogli un’identità umana, vera, viva e vicina nel suo essere eccezionale e nelle sue debolezze. Il ritratto offerto al lettore rimane impresso nella mente e offusca il mistero della scomparsa per restituire il senso di un’esistenza e insieme il ritratto di un’epoca complessa fatta di poteri forti e pericolosi, di menti eccelse e di altre sovraeccitate e malate, di un mondo della scienza onnipotente e senza limiti. Il volume è arricchito dal saggio “Uno strappo nel cielo di carta” di Lea Ritter Santini che amplia i riferimenti bibliografici citati dall’autore a sostegno della sua trattazione: “Vita di Galileo” di B. Brecht, i romanzi pirandelliani sulla frantumazione dell’Io , la citazione di una frase di Camus, l’episodio dell’ Ulisse dantesco e altri ancora. Il saggio aiuta inoltre a capire gli sviluppi vertiginosi della fisica che portarono all’uso sconsiderato della facoltà umana del capire collassata nella forza distruttrice della bomba atomica. Lo consiglio quindi anche a tutti gli appassionati di fisica che sapranno già circostanziare l’esistenza dello scomparso nel contesto scientifico a lui coevo, ponendolo quale anticipatore , premonitore e geniale studioso.
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IL FU ETTORE MAJORANA
Propedeutico alla lettura di questo breve saggio di Sciascia intorno alla scomparsa (o morte?) del celebre fisico Ettore Majorana, potrebbe esserci “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello.
Varie infatti sono le similitudini e le analogie, riproposte dallo stesso autore, che accomunerebbero Majorana con Mattia Pascal: innanzitutto il senso di estraneità e di incomprensione dell'individuo rispetto al proprio mondo ed alle persone che lo circondano, ma soprattutto la possibilità di scomparire, di farsi invisibile agli occhi di parenti, amici e conoscenti, giocando sulla propria morte. Se nel caso di Mattia Pascal la presunta morte è però frutto di un evento fortuito poi sfruttato dal protagonista per rifarsi una vita, nel caso di Majorana si tratta invece di una morte inscenata e ben congegnata attraverso l'invio di false missive.
Questa è in sintesi l'opinione di Sciascia, che rifugge tanto dalla teoria dell'omicidio e del complotto, quanto da quella del suicidio. L'autore infatti ritiene che sia la scomparsa la tesi più probabile e verosimile, tenuto conto dell'intelligenza dello scienziato, del suo carattere schivo e taciturno e soprattutto del fatto che Majorana, prima di tutti gli altri fisici suoi illustri contemporanei, a partire da Enrico Fermi e continuando con il collega tedesco Heisenberg, aveva intuito e previsto le tragiche conseguenze ed implicazioni insite negli studi sulla fissione nucleare. In parole povere aveva prefigurato lo scenario di morte che sarebbe derivato dall'impiego della bomba atomica. Majorana vede nella scienza una trappola pericolosa e micidiale che si innesca quando si superano certe barriere e pertanto decide di non esserne complice. E' un personaggio dotato di un'intelligenza prodigiosa, capace di fare a gara con Fermi sviluppando a memoria formule e dimostrazioni matematiche, ma allo stesso tempo non ama le luci della ribalta, non desidera diventare famoso e pubblicare i risultati delle sue scoperte tanto meno quando capisce in anticipo le conseguenze nefaste di una scienza al servizio della politica e della guerra.
Peraltro lo stesso Sciascia si trova ad assumere la medesima posizione e per farlo cita le parole di Camus: “Vivere contro un muro è vita da cani. Ebbene gli uomini della mia generazione e di quella che entra oggi nelle fabbriche e nelle facoltà, hanno vissuto e vivono sempre più come cani. Grazie anche alla scienza, grazie soprattutto alla scienza”. Sciascia, nello scrivere questa breve opera nel 1975, ha avuto il coraggio di esprimere un'opinione un po' fuori dal coro portando avanti la tesi relativa alla scomparsa di Majorana. Tesi che proprio recentemente quest'anno è stata ulteriormente avallata e ritenuta plausibile da nuove testimonianze, che propenderebbero per una fuga del fisico in Venezuela avvenuta all'epoca della sua presunta morte.
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Un'emozionante teoria su Majorana
Majorana un genio del secolo scorso, una persona fuori dal comune. In questo romanzo, saggio, indagine, ricerca di Sciascia viene tracciato un profilo emozionante e intenso di un uomo, ritenuto dal grande Fermi e non solo, come uno dei più grandi fisici della storia. Il libro, breve ma molto intenso, parte con una narrazione biografica della vita di Majorana sfociando nella teoria della sua scomparsa nel 1938. Vengono citate le ultime lettere scritte da Majorana, riportate e descritte le fonti documentali che delineano la vita e l’epilogo del fisico siciliano.
Lo stile di Sciascia è molto ricercato e sofisticato, molto piacevole e appassionante. Interessante la teoria dell’autore descritta con una bravura e una capacità eccezionale. Fra le tante teorie sulla scomparsa del grande fisico c’è anche questa di Sciascia che è sicuramente tanto emozionante e appassionata quanto realistica e allo stesso tempo romanzata.
Un storia eccezionale scritta con la maestria che solo i grandi possiedono, una tecnica talmente particolare e forte da essere, a mio parere unica per genere e caratura.
Un libro che si legge in pochissimo tempo, ma che rimane dentro intensamente, un’altra perla dello scrittore siciliano, Majorana mi è rimasto nel cuore, come nel cuore porto lo stile e l’immensità di Sciascia. Imperdibile, da leggere assolutamente.
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Tutti gli angoli della mente
L'ultima volta che viene avvistato, il trentunenne Ettore Majorana è su una nave che porta da Palermo a Napoli: è il 26 marzo del 1938. C'è chi giurerebbe che lui sulla terraferma ci sia sbarcato (e da lì si siano davvero perse le sue tracce)... Nessuna certezza di ciò, tuttavia.
Per sapere com'è scomparso Ettore Majorana – secondo Leonardo Sciascia, siciliano come lui – bisogna necessariamente partire da un'altra domanda: chi è Ettore Majorana?
Sciascia lo fa dire, anzitutto, a Enrico Fermi, di cui il ragazzo è stato allievo al famoso istituto romano di via Panisperna (dove negli anni '30 del '900 si concentrava un ristretto gruppo di brillantissimi fisici italiani): “è un genio della statura di Galileo o di Newton”. E questo nonostante tra i due non vi fosse un rapporto professionale idilliaco (si vociferava, addirittura di un malcelato antagonismo reciproco); per dirla tutta, anzi, Majorana non aveva legato con nessuno dei “ragazzi di via Panisperna”.
“Come tutti i siciliani 'buoni', come tutti i siciliani migliori, Majorana non era portato a far gruppo, a stabilire solidarietà e a stabilirvisi (sono i siciliani peggiori quelli che hanno il genio del gruppo, della 'cosca')”. E' con queste parole che Sciascia intende spiegarsi – e spiegarci – l'autoisolamento di questo “ragazzo-prodigio”.
Majorana legherà più con Heisenberg – altro grande fisico noto per la teoria della composizione del nucleo –, durante un viaggio in Germania al quale l'aveva spinto proprio Enrico Fermi (siamo agli inizi del 1933).
Al momento del ritorno a Roma, Majorana si immerge in uno studio solitario, isolandosi totalmente per i successivi quattro anni: eppure non è dato capire su cosa si applichi, tenuto conto che fino alla sua scomparsa pubblicherà pochissimi lavori.
Siamo già all'inizio del 1938, quando gli viene assegnata la cattedra di fisica teorica dell'Università di Napoli. Sarà professore per pochi mesi, prima di tornare nella sua Sicilia per un weekend e, nel viaggio di ritorno, scomparire per sempre.
Di questo breve libro di Sciascia (nemmeno 100 pagine) balza subito all'occhio una caratteristica tanto originale quanto affascinante: è un libro di saggistica che pare “sconfinare” a tratti nella narrativa.
E' saggistica per il semplice fatto che la vicenda di Ettore Majorana è assolutamente vera. E' tuttavia narrativa, perché la scomparsa del giovane fisico registra una tale penuria di elementi e riscontri da invogliare un grande scrittore come Sciascia a “costruirvi intorno” il suo personale racconto.
Le riflessioni sul carattere chiuso del ragazzo, l'attento esame delle poche righe di cui si compongono le due misteriose lettere lasciate da Majorana prima di sparire (rispettivamente ai suoi familiari e al direttore dell'istituto di fisica di Napoli), la citazione di uno strano episodio avvenuto alla fine della 2a guerra mondiale (e ricordato dall'allora direttore del giornale “L'Ora”), fanno di tutta la vicenda una storia molto “sciasciana”.
Impreziosita da un'ulteriore notazione: non pare di ricordare, nella storia dell'Italia unita, un episodio simile, quello cioè di una mente superiore – perché tale era indubitabilmente Majorana – che rifiuta in piena coscienza ogni possibile onore e successo, sentendo la necessità di sottrarsi alla società. Perché, come disse il capo della polizia dell'epoca Arturo Bocchini – incaricato da Mussolini in persona di ritrovare il fisico scomparso - “i morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire”.
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Scienza e coscienza
Oggi probabilmente solo gli studenti di matematica e fisica sanno chi è stato Ettore Majorana, scomparso misteriosamente nel 1938, forse durante il viaggio in nave fra Palermo e Napoli, dove insegnava nella locale università. Di lui disse Enrico Fermi: “Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C'è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso”.
Leonardo Sciascia, il grande scrittore, siciliano come Majorana, tralasciate per un momento le opere di denuncia della mafia, si interessa con questo splendido libro della scomparsa dell’insigne matematico, basandosi sul famoso episodio di cronaca della presunta morte, raccogliendo a distanza di anni notizie anche incomplete, frammentarie, e dichiarazioni di persone che lo conobbero e gli furono vicine. Il risultato è un ritratto talmente realistico che Majorana stesso ne sarebbe rimasto impressionato. Ma, sarebbe fare un torto a Sciascia se si limitasse la peculiarità del suo libro a una semplice connotazione, se pur di valore, del personaggio, perché ci sono anche altre finalità, che esulano dalla soggettività del caso specifico. Lo scrittore siciliano, così attento a scrutare l’uomo nella sua struttura dinamica mentale, affronta anche il problema della scienza e del suo interagire con chi la coltiva, e Majorana sembra proprio l’individuo adatto a personificare la sete del sapere e la paura delle conseguenze che potrebbero derivare da una scoperta.
Sotto questo aspetto il libro è un autentico capolavoro, con pagine di riflessioni dell’autore che lasciano trasparire la possibilità che le stesse fossero già state effettuate dal matematico siciliano.
In particolare, non posso esimermi dal riportare un passo illuminante “Chi conosce la storia dell’atomica, della bomba atomica, è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero.” Sciascia si riferisce nel primo caso al gruppo degli scienziati tedeschi che facevano capo al professor Heisenberg e che nulla misero in atto per arrivare a produrre la bomba atomica, mentre nell’altro caso il riferimento è a Enrico Fermi e a quanti collaborarono con lui nel progetto Manhattan.
L’applicazione dell’etica alla scienza sembrerebbe un’ossessione, peraltro condivisibile, dello scrittore siciliano, che però ravvisa anche il tormento del ricercatore di fronte alla scoperta e alle sue possibili nefaste applicazioni, contrasto interno non sempre presente, ma che quando si verifica impone delle scelte sempre difficili e con inevitabili strascichi.
E’ in quest’aspetto che Sciascia individua il motivo della scomparsa di Majorana che, nonostante alcune lettere in cui accennava al suicidio, avrebbe architettato un piano perfetto per sparire lasciando un mito, sia che si sia lasciato travolgere dalle acque del Mediterraneo, sia che lo abbia voluto far credere, ipotesi questa che lo scrittore privilegia e non è un caso quindi se il libro termina con una visita in un monastero di certosini, dove un colloquio con uno di loro non fornisce certezze, ma nemmeno approda a smentite. Ettore Majorana semplicemente nel 1938 ha preferito l’etica alla scienza, ha abbandonato i numeri e le formule per abbracciare la pace dello spirito.
La scomparsa di Majorana è un libro stupendo, da leggere, da rileggere, per capire che l’uomo deve venire sempre prima della scienza.