La rinnegata
Letteratura italiana
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PIU' FORTE DI OGNI PREGIUDIZIO
La Rinnegata - Valeria Usala .
Teresa, la protagonista del Romanzo, ha gli occhi color del miele ed è una donna tanto bella quanto coscienziosa. Gestisce una locanda, gli affari di famiglia, ha un marito lontano e tre figli a cui badare. È nata sola al mondo, rinnegata da entrambi i genitori, ha sempre dovuto lottare contro il pregiudizio : troppo bella e troppo intelligente ha saputo ottenere ricchezze lavorando, ma non il dovuto rispetto degli abitanti del paese. Neanche il matrimonio con un uomo che ama riesce a far tacere le malelingue, perché " una donna senza marito non è nulla" come spesso si sente ripetere.... .
La Rinnegata è un romanzo di denuncia su come i pregiudizi siano in grado di influenzare le persone portando a stravolgere la vita di chi viene giudicato. È il grido delle donne che hanno il coraggio di guardare il mondo a testa alta e di darsi il proprio valore a prescindere o meno della presenza maschile. Oltre Teresa, un'altra protagonista indiscussa è la Sardegna che con i suoi colori, la sua cultura, i miti e le tradizioni fa da cornice perfetta a questo romanzo a tratti molto aspro e a tratti di grande dignità.
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Donne forti e donne rancorose
Per chi ama la Sardegna, le sue leggende ataviche, la sua storia, La rinnegata, libro d’esordio di Valeria Usala, può rappresentare la perfezione. Un esordio d’eccellenza, per completezza e raffinatezza di linguaggio, quello di Valeria Usala che sulla scia di scrittrici come Grazia Deledda, Donatella Di Pietrantonio, racconta una vicenda che colpisce nel profondo il lettore.
La vita narrata è quella di Teresa, una donna dal vissuto sicuramente difficile, sin dalla nascita. Abbandonata dalla madre in tenera età, cresce con la nonna, con
“lunghi capelli neri, occhi color miele… (…) alcuni piccoli nei ai lati della fronte e la pelle del viso più tesa, appesantita dalla fatica”,
lei è di una bellezza sfolgorante. Si sposa con Bruno, ha tre bambini, e apre un emporio con annessa una taverna, e attraverso un duro lavoro quotidiano cerca di assicurare la sopravvivenza a se e ai suoi bambini. Ma il paese non l’accetta. Non accetta la sua fermezza, il suo andare contro le tradizioni, la sua troppa indipendenza, soprattutto economica, perché:
“Troppa confidenza, fa cadere la riverenza”.
E parla, parla… un intero paese arroccato sulle proprie posizioni e di una chiusura mentale totale.
Quando Bruno muore, a Teresa cosa succede? Riuscirà a non cadere preda delle voglie altrui, e della invidia dei tanti, troppi?
Una storia di grande spessore narrativo, raccontata con uno stile crudo e privo di fronzoli. Racconta una storia di donne, donne forti ed indipendenti contrapposte a donne preda dell’invidia e del rancore, con un atteggiamento grave, per cui:
“L’odio non c’entra. Credi di fare la cosa giusta, ma sei controllata a distanza, come tutte. Tenuta al guinzaglio come una bestia pericolosa.”
La rinnegata è un libro destinato a tracciare un profondo solco nel panorama della letteratura italiana attuale per lo stile e per la raffigurazione delle donne, ancora oggi considerate come:
“Siamo l’inerzia di un fiore reciso; il vigore nelle sue radici, trapiantate in terre straniere. Siamo l’impeto di un fuoco ardente; la quiete nelle sue ceneri, raccolte in cumuli sparsi. “.
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Zona bianca
Teresa è una donna, una donna comune, una come tante; è bella e intelligente il giusto.
Ha un solo, enorme difetto, che nessuno le perdona: non è donna del suo tempo, e del suo luogo.
Perché il luogo è un paesino rurale della Sardegna, rinchiuso, ristretto, limitato per confini e forma mentis degli abitanti. I tempi sono ancora quelli arcaici e medievali di certe comunità campestri del profondo sud del mondo, dove le donne sono ancora solo e soltanto femmine, e gli uomini pomposamente, e con boria, si appellano maschi.
Con tutto il ridicolo, e lo sconcerto, che accompagna queste obsolete definizioni, talora, se non spesso, ricadenti nel sorriso e nel dimenticatoio delle tradizioni di un tempo per fortuna perse per sempre, se non fosse per il sussiego, e la violenta crudeltà, con cui spesso, troppo spesso, ancora oggi sussistono queste malevole credenze.
Nel nome di un presunto e pretestuoso, e solo maligno, senso dell’onore, del decoro e della superiorità di genere che non sta né in cielo, né in terra, alla riprova neppure nei fatti concreti.
Soprattutto in un cielo ed in una terra fiera, antica e nobile come la Sardegna, dove le donne sanno essere compiutamente donne per definizione, dolcissime e tenaci, toste e determinate, abili e solari.
Perciò la colpa maggiore di Teresa, in tale angusto contesto, è di essere, incredibilmente, una comune donna di buon senso, e solo questo è un gran merito, una giovane che anziché starsene muta e quieta circoscritta nel suo destino al servizio di un maschio, ha appreso le lezioni che la vita le ha impartito, ne ha fatto tesoro, e delle sue esperienze di vita ne ha tratto vigoria e decisione per costruirsi da sé il proprio destino. Un vero e proprio scandalo, se non un delitto di lesa maestà.
Orfana da bambina, è stata allevata nella casa di un latifondista del suo paese natale, che l’ha accolta per carità e l’ha utilizzata convenientemente come una serva, non lesinandole comunque un minimo di affetto, una carezza o una parola buona ogni tanto.
Per cui la bambina, poi ragazza e infine giovane donna è cresciuta, e soprattutto è maturata in fretta, venendo fuori più intelligente ed al passo dei tempi rispetto alla media delle sue coetanee e conterranee, e di gran lunga ai giovani dell’altro genere.
Si sposa giovanissima con Bruno, ex minatore poi commerciante di bestiame sempre in giro per fiere e mercati per via del suo lavoro, che lo porta quindi ad essere spesso lontano da casa.
Con Bruno mette al mondo tre figli, non solo, ma malgrado il peso logistico della famiglia ricada inevitabilmente solo sulle sue spalle, data il suo essere donna, da donna capace ed efficiente com’è, certo più del marito, essendo stata cresciuta a cavarsela da sola in ogni circostanza, impiega la liquidazione da minatore del marito facendola certosinamente fruttare, prima per comprare terra, poi per costruire casa, e infine con il tempo, fatica e sacrifici per ampliare costruzioni ed interessi mettendo su due floride attività commerciali, un emporio e poi una piccola taverna.
Con meritato benessere conseguente.
Tutto questo è troppo, per il paese e per la morale corrente, è semplicemente sconveniente, se non immorale: Teresa pur essendo dedita esclusivamente al lavoro ed alla famiglia, è ora non solo bella, intelligente, di buon gusto, ma anche benestante, non può passarla liscia, ed approfittando delle assenze del marito, è gioco facile costruire una rete sotterranea di dicerie volte ad additarla come la “malafemmina” del posto.
Perché è bella, e perciò gli uomini la desiderano bestialmente, quasi a voler punire la sua alterigia nei confronti di loro e dei loro non richiesti apprezzamenti, che altro non è che puro disprezzo e disgusto.
Teresa è un oggetto di piacere per i maschi del posto, certo; ma non è tanto la sua avvenenza ad attrarli, quanto la sua freschezza che le deriva dall’essere avanti agli altri, perciò sempre giovane e vitale, proprio un soffio di energia per quanti stagnano statici ed inerti:
“ …a tutti gli altri bastava vederla per sentirsi un po’ più vivi del giorno precedente e un po’ meno succubi di quello successivo”.
Perché è una donna capace, di classe, autonoma, e perciò presa di mira per invidia dalle stesse donne, che anziché solidarizzare e prenderla a guida ed esempio, vedono in lei una condizione appetibile di indipendenza di spirito e di destino, ma che mai avrebbero il coraggio di pretendere per sé e di lottare per questo, da qui l’inevitabile livore delle meschine, che si concretizza nei pettegolezzi maligni e nelle cattiverie gratuite.
“…Lo sguardo maschile la faceva sentire violata, e quello femminile la sminuiva a tal punto da renderla invisibile…”
Di qui il millantare comune vox populi di eventi fortunosi all’origine della sua fortuna, una eredità improvvisa del benefattore che l’ha cresciuta o altri simili eventi piovuti dal cielo, a tutto intento di sminuire a forza le fatiche e le capacità della donna.
Tutto quanto, insieme al fatto che Teresa e Bruno sono sposati solo civilmente e non anche con rito religioso, dato l’ateismo dell’uomo, evento questo che ipocritamente viene fatto passare non per una questione di coerenza del credo religioso ma di malcostume vizioso, crea una miriade di malignità, diffuse capillarmente ad arte per tutto il paese dalla “megera” del posto, una “bruja”, una simil strega come è d’uso trovare in certe culture, dedite solo a spargere male e veleno, che resta nell’aria come una nebbiolina stagnante:
“Il male che fanno non muore con loro...”
Più che una nebbia, una rete maligna che cresce, si amplia maglia dopo maglia come una tela di un ragno velenoso, fino ad avviluppare completamente la vittima, colpevole infine di non essere del posto malgrado ne fosse nativa, perché del posto aveva rifiutato quanto di spregevole era insito nella mentalità dei locali, una rinnegata, dunque.
“La rinnegata” è il bell’esordio narrativo di Valeria Usala, la giovane autrice che racconta di Teresa per parlarci dei lati più belli ed eclatanti della sua Sardegna: l’anima, la storia, la memoria.
Tutto, come si vede, al femminile, e giustamente direi.
Un testo fresco, attuale, moderno, eppure racconta una storia grezza e arcaica, rivelando quarti di nobiltà, svelando quanto di più fine e signorile nasconde l’essenza di questa terra.
Direi che è un elaborato molto descrittivo di ambienti, situazioni e soprattutto stati d’animo, con dialoghi brevi, marcati, essenziali, talora più intimi che esplicitati, una scrittura ferma ed energica, ricorda molto in certi tratti la penna di Dacia Maraini o di Nadia Terranova, e come quelle è molto precisa, radicale, penetrante.
La Sardegna per la Usala è una donna, una gran donna,
La Sardegna dal mare turchino e dai cieli cinerei, la Sardegna dalle genti moderne, tenaci, all’avanguardia per intelligenza e costumi, la Sardegna dalle tradizioni che permangono e rimandano a valori forti, antichi e sempre nuovi.
La Sardegna dei contadini coriacei a coltivare e trarre dalla terra soprattutto valori morali, ciò che a nessun altro sarebbe possibile trarre.
La Sardegna dei pastori rispettosi come nessuno della natura dove conducono il gregge e dei formaggi che perciò sanno solo di natura.
La Sardegna del pane carasau sottile e croccante cotto sulla pietra e del vino aspro, del mirto e del liquore che se ne trae, vigoroso e orgoglioso come le genti che lo producono.
Un bel testo: parla di una zona bianca, insospettabile ai più, una regione franca dove essere donna può sembrare più difficile che altrove, e invece è quanto di più esemplare possa accadere.
La natura plasma, e la Sardegna ha forgiato donne esemplari come Teresa.
Valeria Usala attraverso Teresa parla di Sardegna, non racconta quindi di una donna che è una eccezione, una mosca bianca, contrassegna invece una donna come la sua terra ambedue zone bianche, libere da infezioni dannose.
Per il tramite della Sardegna parla di Teresa, chiude un ciclo quindi, direi il ciclo della vita, in cui ogni donna è orgogliosamente protagonista e unica responsabile della sua esistenza, restando fedele alla sua natura, e perciò alla sua intelligenza.
Non teme le “megere”, neanche le contraddizioni del vivere, affronta la vita con coraggio, fierezza, e con pari misura sa gestire amore e potere, non si perde mai d’animo e di speranza.
Questo è un romanzo che parla di forza, di coraggio, e di amore per la vita, tutte caratteristiche che appartengono sia alla protagonista che alla sua terra, in sintesi, Valeria Usala descrive esattamente come sono le donne: come la sua Sardegna. Fiere e orgogliose, in sintesi estrema, donne.