La prima verità
Letteratura italiana
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Alla deriva
Leros è un'isola del Dodecaneso, la cui fama rispetto a tante altre località greche non è legata alle attraenti location prese d'assalto da orde di turisti , bensì al fatto di ospitare un celebre istituto psichiatrico, le cui porte durante il golpe dei colonnelli si aprirono anche ai dissidenti del regime.
Leros è un luogo di dolore e aberrazione umana, grigio e tetro come le pareti di quell'istituto, mute testimoni della solitudine e della morte di un numero incalcolabile di persone.
Persone cancellate dalla famiglia prima e dal mondo poi, fantasmi privati di dignità, umiliati e costretti a sopravvivere in una condizione paragonabile ad un girone dantesco.
Simona Vinci ci accompagna all'interno di un mondo di reietti e dimenticati, il mondo del disagio mentale, un pianeta parallelo che viene comodo scansare e allontanare, etichettando ogni volto come irrecuperabile. Invece la penna dell'autrice vuole riportare alla luce volti e storie, scavando nelle polveri dell'oblio per donare dignità e ricordo a questa bolgia di dannati.
Una narrazione divisa tra più piani temporali che si intrecciano senza che ciò vada a discapito della profondità e del coinvolgimento emotivo del lettore. Senza dispersione alcuna, senza falle nel costrutto, ma più fili da cui nasce un disegno.
Un lavoro in cui convergono caratteristiche proprie del romanzo, del memoriale autobiografico e del saggio, abbandonando i solchi di un genere ben identificato e creandone uno dall'impronta personale, perchè i temi trattati varcano le sponde dell'isola di Leros e giungono in luoghi familiari a chi scrive.
Un meritato Campiello nell'anno 2016, un libro che riesce a toccare corde profonde, ferendo fortemente, una voce che sa raccontare i sentimenti propri e delle creature rappresentate squarciando i veli dell'ipocrisia e della retorica.
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Di tutto un po', anche troppo
Conosco l'Autrice dal suo primo libro, che non mi era piaciuto, quindi non ho letto i successivi. Questo mi è stato regalato. L'ho avvicinato con interesse e senza alcun pregiudizio. Sono una psichiatra che ha lavorato per oltre venti anni in un servizio improntato all'approccio basagliano. Ho fatto in tempo a conoscere alcuni luoghi manicomiali degradati, in Italia, prima che fossero definitivamente chiusi o dismessi. Il libro non mi è piaciuto. Mette insieme troppe cose. C'è la denuncia del potere psichiatrico e del degrado massimo a cui si può giungere seviziando i malati di mente, ma c'è anche la denuncia del potere politico, nella forma della dittatura dei colonnelli in Grecia. Ci sono le torture, e le storture, dell'ospedale psichiatrico di Leros, ma anche le torture della casa sulla montagna dove vengono portati gli internati detenuti politici. Già queste due cose insieme sono difficili da cucinare e servire bene, sul piano letterario. Tuttavia l'Autrice aggiunge ancora cose: la denuncia della famiglia e del potere maschile, insieme al destino atroce delle donne, matte e non matte, è tra queste: brutalità, incesto, aborto clandestino, abusi di ogni tipo e di ogni sorta. Ancora non basta: ci sono anche le violenze sui bambini, a Leros e altrove: si intreccia alla vicenda la tragedia dei migranti della nostra contemporaneità. Per ognuno di questi argomenti ci vorrebbe un libro a parte. La Fallaci lo scrisse: Un Uomo, dedicato ad Alekos Panagulis, resistente contro il regime dei colonnelli in Grecia. Non andò oltre. Questa Autrice va sempre oltre. Da Leros, Atene, varie località della Grecia, a un certo punto ci si ritrova a Budrio, vicino a Bologna, in campagna, dove parte un tragitto autobiografico, familiare, follia della madre, follia della figlia (l'Autrice), oltre ai "mattucchini" che girano per il paese, giusto per ricordare che il libro, tra le tante cose, parla della follia. Nel tragitto autobiografico non manca la psicoanalisi, come spesso accade descritta come inutile, uno spreco di tempo e risorse, né mancano tutti gli amici disturbati dell'Autrice, che sembrano presi di peso dal DSM (manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali). Non sono riuscita a seguire del tutto l'Autrice quando si è spinta nella Sierra Leone, e sono rimasta delusa di come viene trattata la figura di Angela, che, coraggiosa, ben tratteggiata e caratterizzata nella prima parte del libro, si sfuma in seguito in modo indefinito. Il libro è molto doloroso da leggere, a volte crudele e brutale, scritto in un italiano che forse vuole essere ricercato, ma non dà alcuna idea di vera empatia e sfrutta anche troppo parole violente e volgari.Tuttavia il suo peggiore difetto è proprio quello di mettere in un pentolone troppe cose, e troppo importanti ognuna per se stessa.... viene anche il dubbio che tutto il lungo prologo greco serva da pretesto all'autrice per narrare dei propri problemi psichici personali e familiari, ma soprattutto personali. Intricato, confuso, certo molto ambizioso, ma qualche volta l'ambizione può sfociare nella presunzione.
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Un Uomo, di Oriana Fallaci
Le parole per dirlo, di Marie Cardinal
Novelle per un anno , di Luigi Pirandello
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È tutto vero, anche quando non lo è...
Ho finito il libro, l'ho chiuso e l'ho riposto in libreria...ma io sono rimasta incatenata qui, a Leros, in quest'isola maledetta dimenticata dal mondo e da Dio.
Con i matti.
In quest'edificio, con occhi neri e bocche sdentate, dove non batte mai il sole.
Sono inchiodata, impaurita e ghiacciata, con tutti coloro che qui hanno trovato l'inferno...
...con chi si mette un sasso in bocca per tenere al sicuro le parole, parole che comunque hanno smarrito la strada per uscire fuori dalla bocca.
...con chi ha smesso di credere in Dio, perché lo ha visto morire in un pomeriggio di Settembre.
...con chi vede i mostri, ha paura del buio e grida nel sonno.
...con chi lascia questo mondo così come ci è venuto: senza denti, né parole, né consapevolezza...e sulle labbra una sola parola..."mamma".
...con chi si è lasciato prendere dal mare, perché sopraffatto dalla violenza di chi matto non è. No, matto no, ma disumano sí.
...con chi scrive poesie bellissime e poi le nasconde sottoterra.
...con chi ha dentro di sé il dolore più grande del mondo perché ha visto succedere cose contro natura...e non sa perdonarselo.
...con chi si è perso in un "altrove" non più raggiungibile. E muore senza più avere un nome, né una storia.
C'è chi muore una volta sola e chi, come coloro che sono stati confinati a Leros, nell'edificio di Lepida per malati di mente e prigionieri politici, muore continuamente, ogni giorno.
E ogni notte.
E dovranno morire tante e tante volte prima di poter morire davvero.
Un libro che fa male, che scoperchia la botola che chiude ermeticamente il problema del disagio mentale.
La pazzia, la follia....cosa sono esattamente?
Un libro sui muri che si costruiscono per separare i sani dai malati, ma soprattutto su quelli che s'innalzano nella testa, e che non vengono giù neanche a suon di picconate.
L'autrice, alla fine, ci dona anche una piccola parte di sé. Dolorosissima.
Lei che la "pazzia" l'ha vissuta molto da vicino.
Ed ha cercato di capirla, di guardarla in faccia.
L'eredità della follia di una madre è un fardello troppo pesante da portare: erigere quel famoso "muro" per proteggerla, per essere sempre insieme, sole.
Ma in questa solitudine c'è uno dei due che è più solo dell'altro: la mamma aveva lei...ma lei non aveva più la sua mamma.
E i bambini non salvano gli adulti.
I bambini, in quanto bambini, non possono e non devono salvare nessuno.
"Tutti i malati di mente, i pazzi, i diversi, gli inquieti, i maniaci, gli psicopatici, gli ansiosi, i depressi, i suicidi, i morti in vita, i mostri del passato sono qui.
Ognuno racconta i suoi bisogni, e i sogni, gli incubi, i desideri, la sua versione dei fatti e hanno tutti ragione perché una prima verità non esiste da nessuna parte.
È tutto vero, anche quando non lo è."
Un libro duro e dolorosamente bello...un libro necessario, da cui non riesci più ad uscire.
A meno che tu non sappia nuotare per giorni e giorni, senza sosta...lasciandoti Leros alle spalle.
Io no. Non so nuotare così bene.
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Non ci sono molte alternative al cinismo
“La prima verità” (premio Campiello 2016) di Simona Vinci affiora in un romanzo duro, composto da quattro parti che rappresentano un sistema di vasi comunicanti.
Nella prima sezione, Angela e Lina, due giovani donne che ben presto si legano anche sentimentalmente, partecipano al programma “di un gruppo di operatori psichiatrici triestini che avrebbe lavorato alla deistituzionalizzazione dell’ospedale”. L’ospedale è l’orribile manicomio dell’isola di Leros, nel quale il repressivo regime dei colonnelli greci cercò di confinare i malati di mente. Due psichiatri, la dottoressa Lellis e il dottor Moros (“Sono diventato psichiatra per curare la testa della gente e mi ritrovo qui a fare il domatore di leoni”), dirigono la struttura senza porsi troppi problemi etici (“Qui non ci sono molte alternative al cinismo”).
Nella seconda parte si narra la storia del poeta Stefanos, padre di Lina, prigioniero politico che nel 1968 venne rinchiuso nella struttura confinante con il manicomio ove la dittatura ellenica deportava e isolava gli oppositori del regime. Il poeta cerca un contatto con una paziente, Teresa, e un bambino, Nikolaos: la delicatezza di questo rapporto dovrà tuttavia fare i conti con la crudeltà dei carcerieri…
Poi Angela decide di tornare a Leros per azzerare i suoi sospesi con il passato e restituire a Nikolaos un tesoro umano: le poesie di Stefanos. Nel frattempo il manicomio è stato smantellato e quindi occorre risalire a “l’elenco di indirizzi delle case famiglia nelle quali erano alloggiati i pazienti sopravvissuti”.
Nell’ultima sezione la narratrice ricorda la gioventù trascorsa a Budrio, cittadina ove c’erano due ospedali psichiatrici: il periodo evocato è quello successivo alla legge Basaglia (“Nel 1978… l’anno nel quale in Italia ai matti veniva consentito, per così dire legalmente, di ricominciare a circolare per le strade”); poi, per interesse personale, la narratrice affronta un’esperienza dolorosa: “Per… capire… un istituto psichiatrico prima della riforma Basaglia sono dovuta andare… in Africa, Sierra Leone. L’ospitale psichiatrico di Freetown, il Kissy Mental Hospital…”
Viene così a contatto con una realtà terribile (“Ognuno dei pazienti aveva una caviglia incatenata al letto. E alcuni letti erano a loro volta incatenati ai muri”), che le consente di comprendere (e immaginare) la realtà di Leros.
Il romanzo è crudo, descrive le sofferenze e le violenze senza mezzi termini, e preferisce percorrere la via diretta dell’enunciazione esplicita. Il tema, in sé complicato, avrebbe potuto essere affrontato nella forma pura del saggio o con una rappresentazione del tutto artistica. L’autrice ha preferito scegliere una modalità ibrida e romanzesca…
Bruno Elpis
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Angela e le sue ricerche
Una doppia ricerca quella della protagonista di questo romanzo, cioè Angela, la prima parte è dedicata al misterioso passato dei reclusi di un enorme lager in un’isola greca dove il regime dei colonnelli confinò insieme folli, poeti e oppositori politici. Poi Angela indaga sul rapporto con la madre e la scoperta del fantasma della propria follia (e di quella materna) con racconti molto intensi. emerge da queste pagine che l'unica salvezza è la parola poetica, il coraggio di cercare ancora “La prima verità“. Concludo estrapolando un passaggio in cui Angela riesce a carpire confidenze da Basil, personaggio controverso e sofferente, conosciuto a Leros, e medita su quanto ascoltato
"""Le parole dei pazzi sono magiche
Le parole dei pazzi sono sempre false e sono la cosa più vera di tutte
Se entri nelle parole di un pazzo, cerchi di seguire il suo filo logico e di capire cosa ti sta dicendo, a un certo punto ti rendi conto che ti sei perso. Adesso stai nel bel mezzo di un labirinto. Il panico cresce .Non sai più da che parte girarti , come proseguire, non riesci più neanche a ricordare come hai fatto ad arrivare fin li' , sai solo che ci sei, in quel posto inaspettato in cui tutto quello che credevi di sapere e che ti dava sicurezza non esiste più"""
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