La natura esposta
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Tra le righe
Erri De Luca torna alla scrittura provato dalle note vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto recentemente. È pronto per dedicarsi ad essa e per veicolare su carta l’ennesima storia che dichiara non sua: un racconto di un amico scultore in bronzo, Lois Anvidalfarei, il quale, avverte l’autore, forse non riconoscerà in tutto e per tutto l’oggetto della sua narrazione. De Luca dà l’impressione di appropriarsi di uno spunto narrativo interessante per convogliare interessi, sensibilità del suo percorso di uomo e di artista, probabilmente sintetizza le proprie incertezze, i propri dubbi, o semplicemente si ritrova nelle parole di un amico che nato a Badia, in Alto Adige, ha sperimentato la chiusura della chiesa altoatesina con le sue sculture Figliol prodigo e Adamo.
Uno scultore vive nel più improbabile luogo di frontiera quale è la montagna, inadatta al reticolato, alla barriera fisica, ricca invece di passaggi naturali che nessun confine politico può cancellare, aiuta i profughi che giungono al suo villaggio nell’ attraversamento clandestino del medesimo confine ma a differenza dei suoi due amici che si dedicano a questa attività per lucro, restituisce loro, a impresa riuscita, la somma prima richiesta. Tra i suoi fortunati “viaggiatori” appare uno scrittore il quale stabilitosi all’estero fa conoscere al mondo la storia del santo traghettatore. Il clamore suscitato dalla stampa sottrae agli amici la possibilità di proseguire nei loro traffici per cui essi costringono l'amico a lasciare il luogo natio. Lo scultore va a vivere in una località marina, Napoli vicina. Lì cerca lavoro come restauratore di sculture e ottiene il restauro di un crocifisso dei primi del novecento: lo si vuole riportare allo status originario quando la nudità del Cristo era raffigurata e lo scultore aveva reso fedelmente l’usanza del crocifiggere nudi, nessun drappo a mascherare una parte del corpo che desta imbarazzi nella figura del Cristo. Lo scultore libera la statua dalla censura marmorea voluta tempo prima dalla Chiesa. Il breve racconto ricostruisce la storia della scultura e i passaggi necessari all’artista per scoprire il messaggio dell’opera originale così da riportarla fedelmente ,a restauro avvenuto, anche quando sotto il drappo appare un principio di fisiologica erezione...
I temi trattati sono tutti interessanti: la montagna, le migrazioni, la visibilità di ogni singolo essere umano, la tensione creativa, il binomio artista- opera d’arte, la fede, le religioni, eppure tutto appare solo accennato, citato, richiamato per cui, a parte la modesta tensione narrativa delle ultime pagine, tutto scorre molto velocemente senza lasciare alcuna impressione profonda. Fatto salvo che si respira un Erri De Luca invecchiato e a tratti stanco ma ancora capace sinceramente di palesarsi anche quando racconta la storia di un vecchio amico. Tra le righe c’è un uomo non più giovane che lotta ancora con i suoi dubbi ma pare aver abbandonato la tipica intransigenza giovanile.
Lo consiglio a chi apprezza l’autore anche solo per i suoi interessi, le pagine dedicate alla montagna sono le più riuscite, a chi si interessa di scultura, a chi ama semplicemente l’autore.
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IL CRISTO SVELATO
Contiene anticipazioni sul finale
Costretto a lasciare la località montana dove accompagnava profughi oltre frontiera e giunto in un paese di mare, il protagonista viene ingaggiato da un sacerdote per rimuovere il panneggio che ricopre le nudità di un Cristo crocifisso (la “natura” del titolo), sin da quando, all’indomani della prima guerra mondiale, le autorità censurarono l’intento del suo artefice di rappresentare, attraverso una leggera erezione, il senso di una vitalità umana, di “un’ultima volontà del sangue” manifestata da un giovane corpo prima di morire. Comincia un processo di immedesimazione umana e, nel contempo, di indagine teologica e religiosa, una investigazione minuziosa della statua, che mette in gioco, oltre alla vista, il tatto del restauratore: ecco la scoperta degli addominali scolpiti, delle fasce muscolari ai lati della spina dorsale, che mostrano i segni di un esercizio fisico, i muscoli in torsione delle spalle, la grinza sotto l’ultima costola prodotta da un crampo, le lettere incise in cima alla croce (“urra”, cioè svegliati, un invito che lo scultore rivolge alla divinità perché risorga), le squame che ricoprono i piedi (il pesce, da “IKTUS”, “Iesus Christos teù uios soter”, Gesù Cristo figlio di Dio salvatore, simbolo della salvezza), le tre lettere ebraiche, alef, dalet e mem, che formano il nome di Adamo, cioè la specie umana, incise sulle testate dei chiodi. L’indagine procede con la consulenza del prete e di un rabbino, ma in realtà De Luca accenna ad una sorta di attraversamento da parte del protagonista delle tre grandi religioni monoteistiche. A guidarlo e aiutarlo nella sua fatica c’è infatti anche un operaio algerino musulmano, che gli procura l’alabastrino col quale procederà al restauro e gli inculca il dovere di far risplendere la bellezza e la grandezza del divino attraverso la sua opera, con parole stranamente assonanti con quelle del suo primo e unico amore. Mentre si compie il percorso della conoscenza, avviene anche quello di un graduale affinamento interiore, che ha tra i suoi oggetti uno dei temi più cari a De Luca: quello dei profughi, degli sradicati, degli immigrati e della loro problematica accoglienza. Così il protagonista scopre di non riuscire a provare per gli esseri umani la stessa pietà, la misericordia che ha avvertito di fronte alla sofferenza umana della statua, e si rammarica di non aver saputo comprendere il piccolo profugo che sulla banchina del porto gli aveva gridato: “Dusseldorf”, la città in cui avrebbe voluto raggiungere i suoi genitori. Ma è nelle parole pronunciate dall’operaio arabo il punto più toccante di questa ricerca artistica, umana e, in senso lato, politica. Le riportiamo per la loro bellezza e attualità. “Ho imparato da voi a essere nessuno. Tengo gli occhi bassi e questo mi fa scomparire, li alzo e appaio di nuovo. Sto zitto e sono accolto, parlo per chiedere un’informazione e sono respinto. Preferite nessuno. Va bene, facciamo che non esistiamo uno per l’altro. Tu no, ti siedi, racconti, domandi. Tu sei qualcuno e fai diventare qualcuno anche me.” (p.97).
E’ qui il senso religioso dell’autore, una religiosità orizzontale e senza trascendenza, non accolta in sé ma riconosciuta negli altri (“Personalmente escludo l’intervento divino dalla mia esperienza, non da quella degli altri”, p.9), una misericordia per l’uomo provata per la prima volta davanti ad una statua sentita e accudita come un essere umano, fino al gesto simbolico di riscaldarle i piedi di marmo. Un senso del sacro di cui si accorgono i suoi committenti, il prete e il vescovo, che lo preferiscono ai tanti che avevano mostrato un interesse solo venale e materiale per l’incarico. Siamo al finale. L’alter ego del restauratore, la voce del fratello morto prematuramente che si risveglia nei momenti cruciali, interviene dinanzi alla sua difficoltà a riattaccare il membro al corpo del Cristo e a completare l’opera. Gli spiega che in lui si è insinuato l'orgoglio, che gli sta venendo meno l’umiltà dovuta, recuperata la quale tutto si compirà e il corpo stesso sembrerà attrarre come una calamita il pezzo mancante: “Applico la resina alle due superfici di contatto. Avvicino la natura alla sua congiunzione. Non controllo il tremito delle mani, temo di attaccare male, di essere impreciso. Le due parti si attraggono da sole. Accosto. Unisco. Fine” (p.123).
C’è un altro filone nel racconto (la scrittura di De Luca è densissima): quello della donna che attira il protagonista in una fosca trama di gelosia e vendetta, mettendo a repentaglio la sua vita. Ma è come un corpo estraneo che stenta a fondersi col resto della storia. Deve essere un luogo ricorrente nell’immaginario e nella coscienza dell’autore. Un intreccio simile caratterizzava il legame tra lo “Smilzo” di Il giorno prima della felicità e la giovane Anna. Un topos latente che periodicamente riaffiora.
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Una nudità artistica
Un viaggio a ritroso dentro e fuori la testa di uno scrittore morto da anni, un viaggio per città e sentimenti. Questo e molto altro è La natura esposta di Erri De Luca.
Un racconto teologico: uno scultore in bronzo aveva una storia da riferire. De Luca la riprende. L’io narrante abita in una terra di transito sotto le montagne, vicino al confine e aiuta gli stranieri a passare oltre, di contrabbando. Lo chiamano “il santo dei morti.”. Ritiene buffi gli stati che mettono frontiere sopra i monti e le ritengono barriere. Sbagliano, le montagne sono un fitto sistema di comunicazione tra i versanti. Quando lo scultore è costretto ad allontanarsi in una città sul mare gli viene dato l’incarico di riparare un grande crocifisso marmoreo. L’autore ricostruisce la storia della scultura e i passaggi necessari all’artista per scoprire il suo messaggio originale. Muove a compassione l’essenza dell’amore espresso nel gesto intimo della morte di un uomo sceso sulla terra per salvarla. La nudità di Cristo è stata ricoperta con un panno che la Chiesa vuole rimuovere, lo scultore scopre che sotto il panno c’è un principio di erezione. Ricerca significati simbolici, vuole capire la tensione dei muscoli, l’armonia di un contrasto. Proprio la nudità rappresenta l’apice della vulnerabilità della figura di Cristo. Lo “svelamento” è sinonimo di catarsi. L’arte fa raggiungere al corpo, ai nervi, al sangue, traguardi sconosciuti. La nudità del Cristo suscita l’antica pietà per la natura indifesa.
“Davanti al crocifisso nudo si sono commosse le mie viscere.”.
Una confessione di tenerezza, uno sguardo di compassione, il corpo offeso sulla croce si trasfigura e la sua nudità, da vergogna di essere umano, diventa purezza di agnello sacrificato. La croce diventa altare e il suo corpo offerta. Il libre vede il sacro e il profano alimentarsi della stessa umanità e l’opera d’arte, capace di riassumere la sofferenza umana di tutti i tempi, riesce a veicolare il significato della realtà che ci circonda e ogni giorno ci sfugge. E’ l’arte lo strumento con cui entriamo in empatia con gli altri uomini.
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Il palo di supplizio di un innocente
La natura è il sesso che un artista del primo novecento ha rappresentato in un crocefisso nudo ne La natura esposta di Erri De Luca.
“Oggi la Chiesa vuole recuperare l’originale. Si tratta di rimuovere il panneggio”. Il delicato incarico (“Il condannato sta morendo, è agli spasimi che spesso culminano in un’erezione meccanica”) viene assegnato a un artista che ha un passato sulle montagne, ove ha aiutato i profughi a passare la frontiera.
Lo scultore si occupa del restauro immedesimandosi nel ruolo (“Informo il rabbino dell’intenzione di farmi circoncidere. Lo scopo è avvicinarmi”) e frequentando un operaio mussulmano che fornisce la materia prima per il restauro.
Nell’incontro umano tra le tre grandi religioni monoteiste (“Anche l’Islam ha usato atroci pali da supplizio. Parliamo di quanto male la specie umana ha inventato per se stessa. Nessun animale si avvicina al nostro peggio”), il protagonista vive l’esperienza artigianale alla ricerca di significati storici (“Perdonare loro. Queste parole innalzano la morte a sacrificio. Senza di loro la croce resta il palo di supplizio di un innocente”) e personali.
Ho trovato un po’ forzata la cornice della vicenda, che nel suo fulcro rimane interessante anche per il garbo con il quale Erri De Luca svolge il tema storico-religioso.
Bruno Elpis
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Il tocco che rivela una storia
Lo stile di De Luca, rimane invariato e, a mio avviso, piacevole come sempre. L’idea di questa storia è interessante, la commistione fra l’arte e l’artista che si trasfigura e si “tortura” per provare su stesso il dolore provato da Cristo in croce, per poter raffigurare al meglio ogni singolo dettaglio. Lo stesso trattamento se lo infligge il restauratore, chiamato per eliminare il panneggio e ricostruire la “natura” del Cristo in croce. Un uomo di montagna che con fatica e profondo senso di onesta aiuta le persone a varcare il confine senza pretendere nulla in cambio, una comunità che lo allontana perché “diverso”, perché mette in “cattiva luce” gli altri.
La “fuga” dal suo ambiente, per rifarsi una vita in un luogo differente, per sfruttare la sua arte, il protagonista entra in simbiosi con l’opera da restaurare, ne percepisce al tatto ogni singola asperità, ogni impercettibile ruvidità, vive la croce e rivive la sua storia.
Il ritorno al suo mondo è inevitabile, un’altra traversata, forse l’ultima, la fine di un epoca, di un tempo che non potrà più tornare.
Il romanzo di De Luca è discretamente piacevole, ma non mi ha dato le emozioni di altri suoi lavori, non mi ha toccato particolarmente, ma ovviamente questa è una mia personalissima considerazione.
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Onnipotenza e umiltà
Raccontastorie in conflitto con se stesso e il contesto, Erri De Luca mi ha abituato ad una scrittura che si inerpica e si affossa, a un dialogo intimo fra l’umano e la natura, fra la bellezza e il dolore.
Leggo il racconto dell’onnipotenza del protagonista, della sua tentazione di essere come un dio, di essere Dio e seguo il suo faticoso cammino di coscienza. L’uomo dai molti mestieri, l’uomo del fare, scopre la vera energia, scopre la forza oltre il potere, nell’umiltà del gesto di consegna di sé all’opera artistica, alla vita.
“Eseguivi il lavoro con orgoglio e sei stato respinto. Devi eseguirlo in tremito.”p.123
Assisto ad un corpo a corpo, ad un esercizio spirituale e carnale. Lo scultore presta il suo corpo alla statua e il restauratore ne ripercorre i gesti e le abilità: è intimità, non è imitazione. Il marmo della statua è vita, è ricordo, è promessa di alleanza che si rivela nella cinestesia, nella corporeità.
“Di più di un artista, tu sei un artefice. Uno che forza i bordi spellandosi le mani per aprire un passaggio nuovo. Capisco che devi essere umile, ma non oltre l’umiltà. Invece sei dimesso, rinunci, ti sottrai al dovere di farti conoscere.”p.37
Nessun essere umano può maturare debiti con un altro, perché siamo compagni nello stesso viaggio esistenziale. Ma i pali da supplizio che gli uomini si infliggono sono disumani, “nessun animale si avvicina al nostro peggio”p.47. L’uomo del restauro proietta sull’uomo crocifisso i suoi pensieri, la frustrazione, la solitudine. L’uno diviene l’altro, si confondono i piani del sacro e del profano: nell’esistenza umana vincono la contraddizione e la contaminazione.
Segnare il sentiero, ritrovare la strada, riconoscere la propria trincea è il destino ed è la salvezza dell’umanità. La verità, nella relazione di gratuità, con sé e con gli altri, è scandalosa perché svela, intenerisce e limita.
“Esiste un’economia del gratis, qualcosa in cambio di niente, ma a simbolo di molto.”p.81