La Mennulara
Letteratura italiana
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Maria Rosalia Inzerillo una donna
Ho riletto con grande passione il libro di Simonetta Agnello Hornby, La Mennullara, edito per la prima volta nel 2002, e nel 2019 riveduto e corretto.
Un libro che racconta la vita di una donna eccezionale: al secolo Maria Rosalia Inzerillo, detta la Mennullara. A cosa è dovuto il suo soprannome? Perché era una bambina di sei anni quando aveva iniziato a raccogliere le mandorle:
“Era tra le più giovani , ma nessuna era brava come lei: si dava da fare con concentrazione e caparbietà, pronta ad aiutare le altre e a imparare. Le sue mani non perdevano una mandorla, un’oliva, un pistacchio, come se i polpastrelli avessero occhi. Li scovava tra le zolle di terra dura, in mezzo alle pietre, nei rovi. Dove passavano quelle piccole dita minute non restava bacca o frutto da raccogliere, né per terra né sui rami, senza paura si arrampicava sugli alberi alti per staccare le mandorle più difficili, quelle che non vogliono cadere sotto i colpi delle bacchette.”
Successivamente era poi passata a servizio della famosa famiglia degli Alfallipe, e lì vi era rimasta fino alla sua morte. Gli Alfallipe erano:
“inetti, avidi, presuntuosi e ignoranti, triste esempio di una famiglia che avrebbe potuto contribuire positivamente alla vita del paese, e non l’ha fatto.”.
Il 23 settembre 1963 però la Mennullara muore, da questo inizia il romanzo. Perché da questo evento infausto prende avvio un testo grandioso anche nella sua concezione. Si racconta infatti la vita di questa donna capace, oculata e sagace, non dalla sua diretta voce, ma da quella che l’hanno conosciuta. Si viene a costituire un romanzo corale, una specie di grande ed immenso puzzle, in cui ogni tassello contribuisce a delineare il vissuto e la personalità di questa donna, dai mille segreti e dalle tante ombre. Un personaggio:
“Unico, negli affari aveva un fiuto che le invidiavo.. (…) Con tutto il suo malo carattere, era una donna brava e devota a casa Alfallipe.”
Un romanzo in cui si respira aria di Sicilia, profumo di fiori e di aranci, una atmosfera di acuta sensibilità per un mondo arcaico, cui non si può che rimanere affascinati. Un ritratto vivido di una società arretrata, costituita da privilegi acquisiti nel tempo e mai conquistati . Una bellissima lettura per un testo destinato a rimanere impresso nel tempo e nel cuore dei suoi lettori.
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Da "criata" a creatrice
La Mennulara è il romanzo di esordio della Agnello Hornby, best seller tradotto in tutto il mondo inizia proprio con la morte della protagonista, Maria Rosalia Inzerillo, conosciuta a Roccacolomba come la Mennulara, letteralmente raccoglitrice di mandorle. Così l'autrice ci trasporta nella Sicilia del 1963, anni di cambiamento a cui non è facile adattarsi, soprattutto nelle piccole realtà territoriali di una sicilia ancorata ad un certo tipo di "feudalesimo", di legami tra "signori" e "servi". La Mennulara è una "criata", al servizio della famiglia Alfallipe da quando tredicenne viene presa a servizio per mantenere la madre e la sorella gravemente ammalate.
“Muoio avendo vissuto una vita di cui si potrebbe esser paghi, ma non fieri."
Di lei inizialmente sappiamo poco, se non che oltre che essere la governante della casa era anche amministratrice dei beni della famiglia Alfallipe. Proprio per questo odiata dai tre figli dell'avvocato, Lilla, Carmela e Gianni, che di lei hanno sempre pensato essere un'arrampicatrice sociale, arricchitasi alle loro spalle e con chissà quali legami con la mafia. Alla sua morte si aspettano quindi un testamento con la dovuta eredità, ma ricevono una lettera con delle istruzioni relative allo svolgimento del funerale, senza altre menzioni. Da qui si dipanano varie storie, dicerie, intrecci, pettegolezzi che ci fanno conoscere spezzoni della vita della nostra protagonista muta, sappiamo di lei solo ciò che gli altri possono raccontare, e la sua vita diventa un puzzle da ricostruire pezzo dopo pezzo, racconto dopo racconto, ascoltato qua e là nei palazzi della nobiltà cittadina, nelle portinerie, nei circoli, nei negozi.
La Agnello Hornby ci offre un pezzo di quotidianità di una terra aspra che da poche possibilità di riscatto, dove chi nasce povero tale deve rimanere, nonostante l'intelligenza posseduta, dove la scala sociale non può essere ribaltata, dove i padroni restano tali, la stessa Mennulara diceva, infatti:
“Il mio dovere è di servirli, e sono capace di farcela. Non sono stata io a scegliermi dei padroni che mi sono inferiori. Padroni sempre sono, e io sono destinata a essere la loro serva.”
La figura della Mennulara viene riscattata nel corso della narrazione, essa pur avendo accettato la sua condizione di serva, ha sempre cercato di apprendere, di capire, ha usato ciò che le capitava per averne un ritorno ( come il legame con il capomafia don Ancona) che l'hanno portata ad avere un suo patrimonio che le ha permesso di vivere i suoi ultimi anni in autonomia finanziaria. Quelli che ne escono sconfitti sono proprio gli eredi Alfallipe, che interessati solo ai denari e all'eredità, screditano la serva fedele e non seguendo le istruzioni ricevute dalle sue missive, non solo non vedranno i frutti della sua eredità ma mostreranno la parte peggiore della nobiltà arricchitasi per meriti non propri, l'avidità.
Questo è il secondo libro che leggo della Hornby, e probabilmente ciò ha influenzato il mio parere su di esso, rimasta affascinata dal più coinvolgente - a mio avviso - "Il veleno dell'oleandro", questo mi ha delusa in molti aspetti. La narrazione è lenta, i personaggi sono così tanti che non si riesce a seguire il filo della narrazione e dei legami tra gli stessi e la protagonista. Il puzzle diventa difficile da ricostruire, ingarbugliato e a volte poco approfondito, nonostante l'idea di fondo e la storia diano spunti di riflessione. A posteriori mi sembra anche molto simile all'altro romanzo citato, come se si rimarcassero sempre gli stessi aspetti della nostra sicilia e delle nostre donne.
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L'inesplicabile ritratto di una donna controversa
Nella Sicilia del secondo dopoguerra, il fantomatico paesino di Roccacolomba è scosso da un improvviso lutto. A passare a miglior vita è stata una delle donne più umili e al tempo stesso più potenti della piccola comunità agricola, ovvero la domestica, amministratrice e donna di fiducia della famiglia Alfallipe: Maria Rosalia Inzerillo, da tutti conosciuta come la "Mennulara", per la sua proverbiale abilità nella raccolta delle mandorle. Inizia così un racconto che prosegue in due direzioni diverse. Da un lato ci sono il presente e l'immediato futuro, dall'altra il passato. Sul primo versante troviamo i discendenti della famiglia Alfallipe nominati eredi dell'insospettabile ricchezza della defunta. Inizia così una rocambolesca caccia all'eredità piena di cavilli, trabocchetti e prove da superare che la Inzerillo ha predisposto prima di morire per mettere alla prova l'onestà, la correttezza e la riconoscenza di quelli che lei ha sempre considerato come suoi figli, ma da cui non ha mai ricevuto quanto dato. L'avidità, la tracotanza, l'ingratitudine giocheranno agli stessi ragazzi un brutto scherzo. Sul secondo versante, il passato, ripercorriamo la vita della protagonista attraverso ricordi, pettegolezzi, congetture di chi, per un motivo o per l'altro, ha avuto a che fare con la Mennulara nel corso della sua vita. Si scoprono le origini, l'infanzia difficile, l'adolescenza segnata da un terribile episodio, la maturità di una donna forte, corretta, intelligente, umile ma piena di dignità, analfabeta ma ricca di cultura, distaccata ma capace di amare incommensurabilmente. Opinioni divergenti, giudizi contrastanti, sentimenti diversi rendono controverso, a tratti inesplicabile, il suo ritratto. Al lettore il compito di valutare, guidato dalla delicata penna dell'autrice, calato nel fascino dei ricordi e ammaliato dalla bellezza di una terra seducente, complessa e piena di vita.
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Un prodotto carino e ben confezionato
Opera prima di Simonetta Agnello Hornby, edito nel 2002, La Mennulara è stato un vero e proprio best seller, essendo tradotto in svariate lingue, ricevendo numerosi premi e giudizi critici in generale molto positivi. Dal mio punto di vista, questo romanzo rappresenta invece perfettamente l’ambigua funzione che oggi svolge gran parte della letteratura "di qualità", quella pubblicata dalle case editrici mainstream e progressiste (in questo caso Feltrinelli), case editrici che in passato hanno contribuito a formare la coscienza culturale collettiva di questo Paese e che ormai sono in gran parte ridotte, sia per il completo assoggettamento alle logiche del mercato, sia forse per l’oggettiva carenza di materia prima letteraria, ad essere pezzi più o meno importanti di un’industria culturale il cui solo fine ultimo è il profitto.
La Mennulara è indubbiamente un ottimo prodotto di questa industria, ed il suo successo editoriale lo dimostra: è infatti scritto utilizzando un linguaggio ecumenico, piano ed accessibile a tutti, è congegnato in modo da appassionare il lettore attraverso il progressivo disvelamento dei piccoli e grandi misteri che costellano la storia, ed è condito da quel pizzico di analisi sociale e di costume necessaria per tranquillizzare la coscienza del lettore impegnato, che in questo modo può convincersi di non avere tra le mani un romanzo d’evasione. Questi fattori rappresentano però a mio avviso i limiti strutturali del romanzo, quelli che ne fanno un’opera carina, che sta ad un romanzo bello come certi centri storici di area germanica, con le loro vie pulitine e i gerani alle finestre, tutti uguali, stanno ai centri storici dei borghi italiani, maestosamente belli anche perché carichi di quell’inevitabile tasso di degrado che segnala la loro vitalità.
Le vicende narrate dal romanzo si svolgono nel 1963, durante il mese che segue il giorno della morte della Mennulara, cameriera di casa Alfallipe, una delle famiglie più in vista dell’immaginaria cittadina siciliana di Roccacolomba. La Mennulara non è solo stata per decenni cameriera, ma anche oculata amministratrice dei beni della famiglia, che stava per andare in rovina. Ha misteriosamente accumulato una considerevole ricchezza, ed ogni mese consegnava ai tre rampolli una discreta somma di denaro. In famiglia c’è chi la ammirava e chi la odiava ritenendola una usurpatrice, ed anche in città le opinioni su di lei sono le più disparate. Il mistero su questa serva-padrona aumenta quando al suo funerale si presenta anche il temutissimo boss locale di Cosa Nostra. Nel corso del romanzo verremo a sapere, soprattutto tramite colloqui tra i vari personaggi e i pettegolezzi di paese, le vicende della vita della Mennulara, la sua povertà in gioventù, la sua intelligenza, le ragioni del suo rapporto con la mafia.
Per analizzare il contenuto del romanzo inizierei dal contesto in cui ci viene narrata la storia della Mennulara: siamo come detto nella Sicilia del 1963. L’inizio degli anni ‘60 non è un periodo qualsiasi per l’Italia: il cosiddetto boom economico sta cambiando in profondità il paese, facendo emergere una nuova borghesia arrogante ed arraffona, che basa le sue fortune sul sacco edilizio delle città e sullo sfruttamento della manodopera a basso prezzo strappata alle campagne. Affiora una nuova Italia, le cui contraddizioni sono state magistralmente raccontate da Dino Risi nell’indimenticabile film Il sorpasso. In Sicilia lo sviluppo economico è guidato prevalentemente dall’intervento statale, attraverso la costruzione di grandi infrastrutture e complessi industriali (proprio nel 1963 si avvia la costruzione del petrolchimico di Gela) e dagli investimenti delle industrie del nord. Le grandi lotte per la terra che avevano caratterizzato il primo dopoguerra lasciano il posto alla necessità, per le classi popolari siciliane, di confrontarsi con la nascente realtà industriale. L’antica mafia agraria si adegua rapidamente alla nuova situazione, diventando la mafia degli appalti e dei trasporti, prima di divenire quella globalizzata del commercio di droga: figura simbolo di questo periodo sarà il corleonese Luciano Liggio. È quindi un mondo in rapido cambiamento quello in cui è ambientata La Mennulara e, come detto, il romanzo non rinuncia a registrare questo cambiamento, attraverso alcune figure chiave del romanzo: il vecchio boss mafioso Don Vincenzo Ancona, il notabile Pietro Fatta, l’attivista comunista Gaspare Risico, le stesse vicende dei rampolli di casa Alfallipe. Si tratta però a mio avviso di una visione edulcorata, maternalistica, dall’alto, in definitiva superficiale dei drammi e dei sommovimenti, anche di mentalità collettiva, che la Sicilia viveva in quel periodo. Esemplare da questo punto di vista è come l’autrice ci descrive la mafia e il ruolo che esercita nella società. Don Vincenzo Ancona, il vecchio mafioso legato alla terra, è descritto come un uomo davvero d’onore, spietato ma giusto, sia pure con un senso di giustizia che gli deriva dal potere assoluto e violento: non esita ad esiliare il figlio ed erede che ha trasgredito il codice mafioso, mantiene in maniera assoluta gli impegni che prende, è pronto ad uccidere chi può minacciare il suo potere. Il figlio, responsabile di uno sgarro che ha una funzione importante nel romanzo, verrà mandato a Milano a laurearsi e sarà un esponente della nuova mafia, quella dei colletti bianchi, ma sostanzialmente anche lui da un certo punto in poi svolge un ruolo positivo nel romanzo, occupandosi coscienziosamente delle finanze della Mennulara. Uno sguardo leggero sulla mafia, quello dell’autrice, fatto di una bonomia che sembra ammiccare alla buona vecchia mafia di una volta, che contribuiva a mantenere un ordine sociale immutabile, in cui le regole erano certe, seppur crudeli.
Molto stereotipata mi è parsa anche la figura di Gaspare Risico, l’impiegato postale militante comunista, che parla per frasi fatte e viene paternalisticamente ammirato ed ammonito dal notabile locale Pietro Fatta, rappresentante della vecchia borghesia liberale in via di estinzione. Molti altri sono i personaggi che compaiono nel romanzo, ciascuno detentore di un pezzo di conoscenza della vita della Mennulara, ma ciascuno tratteggiato in superficie, senza che mai l’autrice si addentri davvero nella loro psicologia, nel loro carattere, neppure quando ce ne descrive le contraddizioni. Tutti sono caratterizzati da una sicilianità un po’ di maniera, peraltro contraddetta in qualche modo dal loro esprimersi in un italiano amorfo.
La protagonista della vicenda, Maria Rosaria Inzerillo, detta la Mennulara dal lavoro di raccoglitrice di mandorle che svolgeva da piccola, è fisicamente assente dal romanzo, che come detto inizia con la sua morte, ma è intorno a lei e al rapporto che con lei hanno avuto che ruotano tutti gli altri personaggi. È sicuramente il personaggio più convincente del romanzo, nel cui dramma esistenziale – che in alcuni passaggi sembra per la verità troppo letterario – si possono forse rintracciare accenni che definirei antiverghiani, visto che di fatto è una vincitrice che riesce ad uscire dal suo status sociale di appartenenza, pur conservandone le apparenze. Simbolo plastico di questa vittoria sociale della Mennulara, non a caso contestato fermamente dagli stupidi giovani Alfallipe, è rappresentato dal fatto che la signora Adriana, restata vedova, sia andata a vivere nel suo appartamento. Forse la vittoria finale della Mennulara è per l’autrice anche la vittoria della donna sulla maschilista società siciliana del tempo,
Anche la Mennulara manca però a mio avviso della potenza necessaria per farne un personaggio letterario indimenticabile: l’impressione è che sia stata costruita un po’ troppo a tavolino, ricorrendo a episodi narrativi che ne inficiano come detto a tratti la credibilità e la fisicità. È insomma secondo me la figura di una popolana siciliana vista dall’occhio di chi (certo non per colpa sua) popolana non lo è mai stata, e come detto guarda con una buona dose di maternalismo letterario una realtà che non ha mai conosciuto direttamente, e che ben altra forza espressiva meriterebbe per essere davvero credibile.
Un elemento che contribuisce a conferire una certa originalità al romanzo è la sua struttura narrativa. Come detto, la storia si apre al momento della morte della Mennulara, il 23 settembre 1963, e si chiude esattamente un mese dopo. In questo lasso di tempo nove capitoli raccontano gli avvenimenti di una singola giornata; ciascuno è suddiviso in più capitoletti di poche pagine che concentrano l’attenzione sui singoli personaggi. È una struttura che permette all’autrice di presentarci gli attori della vicenda e le loro azioni in spazi chiusi, quasi indipendenti gli uni dagli altri, ciascuno dei quali aggiunge una tessera al mosaico apparentemente confuso e inesplicabile della vita della Mennulara. Il romanzo assume quindi quasi le forme del giallo, nel quale per capire è necessario arrivare alla fine, ed è proprio nei capitoli finali, come in ogni buon giallo che si rispetti, che il mosaico si ricomporrà interamente e si capirà come sono andate veramente le cose nella vita della Mennulara.
Alla struttura narrativa originale (anche se non bisogna dimenticare che i racconti per giornate vantano nella letteratura italiana, e non solo, illustri precedenti) fa da contraltare lo stile di scrittura, piano sino ad essere piatto, spesso intriso di intenti quasi didattici – sintomatico a questo proposito è l’uso delle parentesi nel discorso diretto – non scevro da ingenuità e qualche banalità. Si legga ad esempio la lettera di Orazio Alfallipe a Pietro Fatta, verso la fine del romanzo, nella quale vengono chiariti i rapporti tra il primo e la Mennulara: la descrizione delle nuvole e del vento che gonfia i panni stesi che accompagna il primo incontro tra i due è a mio avviso una caduta di stile notevole, degna di un libro Harmony.
In generale l’uso di una lingua piatta e impersonale è uno degli elementi che a mio avviso toglie maggiormente credibilità al romanzo: ma come, siamo in Sicilia, nel 1963, incontriamo mafiosi, contadini, impiegati postali, popolane e tutti parlano un perfetto italiano? Praticamente l’unica parola dialettale che compare è crianza, che sta per cameriera. Non sono un fautore di una sorta di neo-neorealismo in letteratura, ma credo che l’occasione narrativa fosse ghiotta per sperimentare forme espressive che andassero al di là del compitino ben scritto. Anche qui secondo me si rivela la distanza tra i mezzi espressivi di cui l’autrice è dotata e il mondo che vuole rappresentare: se è vero che Agnello Hornby è di origine siciliana, si deve pur dire che una distanza siderale separa questo romanzo, quanto a capacità di descrivere quella terra e quella società, dal capolavoro di un altro aristocratico siciliano, Tomasi di Lampedusa, o dai grandi romanzi di fine ottocento.
È necessario tuttavia pensare che l’autrice non avesse simili ambizioni, ma solo quelle di scrivere un libro onesto, e credo di poter dire che rispetto a tanta roba che circola ci sia riuscita. Tutto sommato oggi un libro è essenzialmente un prodotto, che per essere venduto deve rispondere a precise regole di mercato, per il cui rispetto esiste la figura dell’editor, non a caso sperticatamente lodato nei ringraziamenti finali. Se Agnello Hornby si fosse lanciata in un qualche sperimentalismo linguistico, oppure avesse davvero scolpito la personalità dei suoi personaggi e il contesto in cui si muovevano, probabilmente avrebbe pubblicato con molta maggiore difficoltà, e sicuramente non presso un grande editore. Così invece il suo romanzo ha ricevuto molti premi, è stato tradotto in molte lingue e soprattutto è stato apprezzato sia dai lettori occasionali sia da quelli impegnati di fede renziana, che nelle lunghe serate estive di Capalbio hanno potuto consigliarlo agli amici desiderosi di una lettura attenta al sociale, un sociale di cui per la verità non si occupano più se non per lodare il jobs act e stigmatizzare gli scioperi selvaggi. Come in politica, anche nella letteratura commerciale è stato necessario che tutto cambiasse perché tutto restasse come prima.
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una storia piacevole che l'autrice avrebbe potuto
La Mannullara , una donna di umili origini, semi analfabeta, riesce con la sua intelligenza e la sua forza di volontà a diventare, da umile domestica, l'accorta amministratrice di una influente famiglia siciliana. Anche da morta riuscirà a condizionare la vita dei membri della famiglia Alfellipe come una burattinaia. Si parla della Sicilia, sempre uguale a se stessa, fra mafiosi non sanguinari , aristocratici avidi e stupidi, comunisti velleitari. La storia è piacevole, l'intreccio dopo un inizio lento diventa interessante, alcuni personaggi fra i tanti ( forse troppi ) del romanzo sono originali ma lo scrittrice non riesce fino alla fine a scegliere fra la commedia dai tratti farseschi e la denuncia sociale , fra , per intenderci, lo scrivere una nuova " concessione del telefono " o cercare di scrivere un nuovo " viceré ". Camilleri e De Roberto sono modelli troppo diversi .
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CRIATA
Che forza questa donna.
Aggrappata alla vita, alle persone che amava, difendendole ad ogni costo.
Aveva sempre sofferto, sin da quando, appena bimba in età scolare, raccoglieva le mandorle per poter curare e nutrire la sorella e la madre.
Aveva accettato il suo destino, di povera, di serva, ma le sue doti , la sua intelligenza, la portavano a grandi cose, sempre nell’ombra, sempre criticata dai paesani, ma qualcuno l’aveva amata davvero e apprezzata .
Di lei si diceva che fosse collusa con la mafia, che fosse stata l’amante del conte Broglio, e molto altro.
Come si può immaginare siamo in Sicilia, a Roccacolomba, nel 1963.
Muore la Mennulara, così era chiamata da tutti la domestica della famiglia Alfallipe, amministratori del latifondo dei conti broglio. I realtà la vera mente, il vero amministratore altri non era che M. R Inzerillo, in arte, la Mennullara. Tutti si aspettavano che saltasse fuori un testamento. Tanti dovevano essere i soldi che aveva accantonato.
Ovviamente anche su questo, fanno capolino illazioni di vario tipo.
Chi l’aveva conosciuta davvero, la stimava, ed erano davvero pochissimi.
Da zero era partita, imparando a leggere, divenne esperta d’arte, controlla va la campagna, faceva la cuoca, la cameriera, la tata, nulla le potevano dire gli Alfallipe, perfetta era!
Il testamento emerge a piccole dosi, attraverso varie lettere, e anche qui emerge l’acume della Mennullara, e il racconto diventa una specie di caccia al tesoro.
Ho trovato questo romanzo piacevole, molto lento nel primo terzo, così come l’altro libro della Hornby che ho letto, ma da un certo punto si è animato diventando davvero piacevole e originale, certo le decine di personaggi della storia avrebbero bisogno di una mappa per poterle ricordare tutte, ed alcune forse potevano essere evitate.
Nel complesso è una lettura che consiglio, per quanto ne so di Sicilia, ne parrebbe uno spaccato. Lascio ai qamici isolani eventuali commenti su questo.
Forse il filo del racconto è che , se una persona è dotata, non c’è miseria o prevaricazione, violenza o ignoranza a far da padrone, le persone astute intelligenti e dotate, in qualche modo trovano il sistema per emergere e vincere. La Mennulara lo sapeva , non ha mollato, facendosi venire un tumore per aver inghiottito troppi rospi, ma se non si ricorderanno di lei , resterà comunque qualcosa.
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- sì
- no
Piacevole
Premetto che a me la Hornby come scritttrice piace. Ho letto tre suoi libri: La Mennulara, La zia marchesa e La monaca. Ho come l'impressione che lei voglia proporre il rifacimento di alcuni romanzi, con l'intenzione, però, di rendere nei suoi romanzi le protagoniste più energiche rispetto all'originale. Tutte le protagoniste si ribellano alla loro condizione e decidono, bene o male, della loro della propria vita. Così, "La zia marchesa" mi ha dato l'impressione di essere il rifacimento di "La lunga vita di Marianna Ucria"; "La monaca", invece, il rifacimento di "Storia di una capinera". Non sono, invece, riuscita a capire se "La mennulara" abbia un romanzo "ispiratore", e forse proprio per questo motivo è quello che mi è piaciuto di più (perchè mi è parso il più originale), anche se sospetto che un "romanzo ispiratore" esista. Certo, non sono dei capolavori, però hanno indubbiamente una loro piacevolezza. Ripeto, mi sembrano rifacimenti di buon livello di romanzi precedenti, di livello migliore per capacità descrittiva sia delle ambientazioni che dei personaggi rispetto ai tanti libruncoli che si ispirano alla Austen o alla Alcott.
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De Roberto è tutt’altro
Ho comprato questo libro perché ho letto tanti giudizi positivi, come per esempio “un’espressione della sicilianità”, “nella scia di De Roberto e dei suo I Viceré”, ecc.; aggiungo che ho una particolare predilezione per gli autori siciliani e che fino ad ora i loro libri hanno risposto alle mie aspettative.
Quindi ho iniziato la lettura con la miglior predisposizione, ma, ahimè, ho dovuto subito ricredermi, perché questo romanzo ha tutta l’impronta delle cosiddette “telenovelas”, con l’aggravante che non è scritto bene. Non che ci siano errori grammaticali o di sintassi, ma in un ritmo lento, che più lento non si può, tutto è prevedibile e l’alone di mistero che riveste la protagonista principale è artificioso, tanto che mi è venuto a mancare il legittimo desiderio di saperne di più.
Non è mia abitudine stroncare i libri che non mi piacciono, ma purtroppo, in questo caso, la ridondanza del suo successo, secondo me del tutto immeritato, mi induce a segnalare negativamente quest’opera, che mi si dice la migliore di questa autrice (non riescono a immaginare come possano essere le altre!). Ogni paragone con altri autori siciliani è del tutto fuori luogo, perché loro hanno capacità affabulatoria, analisi profonda dei personaggi, vicende che sono pretesti per più di uno sguardo su questa nostra umanità. Il richiamo poi a De Roberto, peraltro siciliano a metà, per parte di madre, mi sembra non solo fuori luogo, ma del tutto inopportuno. I Viceré è tutta un’altra cosa; certo, c’è anche lì un affollamento di personaggi, un ritmo lento, ma la finalità e il metodo di realizzazione sono completamente diversi e di grande rilievo umano e sociale, perché la storia di questa famiglia catanese è anche la storia del fallimento degli ideali risorgimentali, una perfetta opera naturalista che si può senz’altro misurare con Mastro Don Gesualdo di Verga e anche con Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, grandi romanzi che lasciano un segno indelebile nella letteratura.
La Mennulara no, mi ricorda invece solo il tentativo, non riuscito, di imitare ed è un lavoro di cui negli anni si perderà traccia.
Poi è evidente che c’è a chi può piacere, come a chi ama trascorrere un po’ di tempo nella lettura senza particolare impegno, ma deve essere consapevole che più di questo non può dare e che, se farà una riflessione, non si sentirà poi arricchito culturalmente. Fin per carità, sono necessari anche questi romanzi, ma non facciamone dei libri di alto valore, perché proprio quello manca del tutto.
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Mennulara: "fimmina di panza"
Quella della “Mennulara” e´una storia d’altri tempi. Mandorliera o raccoglitrice di mandorle che dir si voglia, Maria Rosaria Inzerillo é una figura che declina il determinismo sociale tipico della Sicilia del secolo scorso, una sorta di Mastro Don Gesualdo che, pur manipolando a gusto proprio il destino cercando di cambiarne i parametri, permane orgogliosamente incollata al suo status sociale: bracciante prima, criata (domestica) poi.
La morte della stessa é l’epilogo dal quale scaturisce un effetto domino di avvenimenti che, nell’arco di poch giorni coinvolge ogni singolo cittadino di Roccacolomba, luogo in cui la narrazione prende piede. Con un italiano riccamente adornato di sicilianismi ed un linguaggio solenne, preciso e dettagliato, Simonetta Agnello Hornby riesce a trasportare il lettore in quella Sicilia della nobiltá e delle servitú, di valori obsoleti e pettegolezzi, in quelle Sicilia ancora “extracontinentale” e troppo lontana da Roma. Riflettendo sul bagaglio culturale dell’autrice si arriva alla conclusione che creatore e creazione operano una reciproca azione di completamento: conoscere la Agnello Hornby é uno strumento fondamentale nella lettura del libro e, allo stesso tempo, i personaggi, i dialoghi, le tematiche trattate, il linguaggio utilizzato e l’interazione tra i personaggi complementano l’entitá dell’autrice.
A ridosso tra le vicissitudini della periferia londinese e i paradossi siciliani, La Mennulara é un caso letterario che offre un’immagine surrealmente pragmatica della societá umana vista dalla prospettiva piú cruda e animale in un tentativo eccezionalmente riuscito di mettere a nudo la vera natura istintiva dell’essere umano.
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Profumo di Sicilia
Dopo aver conosciuto la scrittrice era mio obbligo e dovere leggere il suo primo romanzo.
Il migliore di tutti a mio modesto parere.
Una Sicilia che per mentalità può essere ottocentesca, seicentesca e persino degli anni 2000.
Gli anni passano, la sicilianità resta.
Come questo libro, che riesce a far respirare anche d'inverno il profumo primaverile dei fiori di mandorlo e di arance spremute.