La mendicante azzurra
Letteratura italiana
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Un Afghanistan avventuroso e affascinante
Il romanzo d’esordio di Guido Rampoldi (editorialista e inviato speciale del quotidiano “la Repubblica”) è stata sicuramente la prima piacevole sorpresa letteraria del mio nuovo anno da lettrice. Ancora assorta nell’atmosfera di “La veglia inutile” di Nadeem Aslam, entro in libreria alla ricerca di qualcosa che mi ricordi il profumo di sabbia e pietra arsa dell’Afghanistan. Tra le novità, una copertina mi colpisce: si scorge appena, lungo il ciglio di una strada polverosa, un burqa color cenere.
” All’inizio non le aveva prestato attenzione, ogni città afghana era piena di queste donne acciambellate sul ciglio della strada. Immobili sotto i burqa scoloriti…appassivano nella polvere come grandi fiori recisi. ”
G.R.
E’ lui. Proviamo. Lo prendo.
La mia lettura inizia con un po’ di sana diffidenza… dopo la poesia di Aslam, si vorrebbe solo leggere il suo prossimo romanzo… ma la prosa limpida e scorrevole, scevra dello stile contaminato di tecnicismi giornalistici che ci si potrebbe aspettare da un cronista, mi coinvolge subito catapultandomi tra le strade di Islamabad.
Oliver NicSidwell (Nix) è un alto funzionario dell’Onu, un occidentale alla sua prima missione tra Afghanistan e Pakistan.
La trama scorre tra compound dell’Onu, disilluso personale di agenzie e organizzazioni umanitarie, servizi segreti, Taliban, profughi, coltivatori d’oppio, intrighi internazionali, colpi di scena e burqa.
Assieme alla predisposizione all’azzardo e all’imprescindibile senso di colpa di Nix, sono le donne, con coraggio, astuzia e determinazione, a sospingere gli eventi: scaltre ed equilibriste mogli di ambasciatori occidentali (Julia) o umili maestre afghane (Bibi e Hamina), eroicamente appassionate e sovversive, con nello sguardo, celato sotto burqa anonimamente invisibili, un inesorabile odio per la ferocia che si abbatte su di loro.
Donne piene di rabbia, per gli atroci soprusi dei guerrieri afghani, ma anche a causa degli ottusi pregiudizi dell’Occidente, che nella propria natura duplice e irrisolta, le vorrebbe rassegnate ed aduse a vivere in condizioni di schiavitù, in nome di una cultura colpevolmente scambiata con costumi in realtà imposti dall’estremismo islamico.
E’ proprio a loro, alle sofferenze delle rivoluzionarie maestre afghane, che è dedicato questo libro. Forse le uniche, con i loro libri gelosamente custoditi, e con la forza atavica della cultura e dell’arte, a non rassegnarsi, a non lasciarsi cullare inermi dal destino: duro ed unico sovrano a donare illusorio sollievo agli uomini che, nella crudele semplicità portata dalle guerre, abbandonano in massa i territori del bene e del male.
Questo primo romanzo di Rampoldi è sì una spy-story (dove tra avventure e cospirazioni, si giunge alla chiave del mistero della guida del Museo nazionale afghano, consegnata nelle mani di Nix da una mendicante azzurra), ma è anche un libro prezioso, dove confluisce tutto ciò con cui l’inviato speciale entra in contatto nei suoi viaggi: emozioni, visioni, percezioni, che si sedimentano nella sua mente, dietro i suoi occhi e sotto la sua pelle, e prima o poi si sente il bisogno di esternare, con l’impeto, la necessità impellente di raccontare.
E’ in un libro come questo che trovano spazio la denuncia, le descrizioni personalissime di una società ed una cultura così remote, eppure più vicine di quanto si possa immaginare, o ricordare (il mito di Alessandro Magno), ed infine la speranza, fondamentale per il futuro di un’area così martoriata del pianeta, a cui le donne di Rampoldi tentano con abnegazione di aggrapparsi.
Indicazioni utili
- Romanzi sull'Afghanistan/Pakistan