La lunga vita di Marianna Ucrìa
Letteratura italiana
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LA VOCE DEL SILENZIO
Questo romanzo per certi versi ricorda una rappresentazione teatrale. Ogni capitolo si apre al centro di una scena, poi si muove sullo sfondo, illumina i contorni, svela i punti oscuri. Il quadro finale è un palcoscenico caotico e rarefatto, in cui una moltitudine di personaggi, tra vicissitudini e ricordi, si muovono sugli alterni piani del passato e del presente e cercano di colmare i vuoti delle dimenticanze e le censure dei silenzi.
Il registro linguistico di Maraini è articolato, talora difficile da seguire. Alterna uno stile arcaico, dialettale, a misura del tempo e dei luoghi e che ben aderisce ai personaggi, a una prosa elegiaca e un po’ scompaginata che dà voce al flusso di pensieri intrappolati dentro la bocca “mutola” di Marianna.
Le figure che ruotano attorno alla protagonista sono presenze antitetiche: spettrali, esangui, le donne, coriacei, voluttuosi, gli uomini. Tra questi, spicca il conte Giacomo Camaleo, personaggio di secondo piano, ma di primissima levatura. A lui si deve uno dei passi più belli: l'epistola che accompagna il romanzo sul finale.
Ciò che comunque accomuna tutti è il senso stoico con il quale si affronta un destino segnato. Talvolta un rigurgito di pazzia, un ribollio di sangue scompiglia le carte e sovverte la sorte, ma poi questa interviene e punisce e rimette tutto in ordine. È così per il marito-zio Pietro e ancora per la domestica Fila.
Marianna invece si ribella a modo suo. Opponendo un ferreo mutismo, segna la linea di confine tra sé e il resto del mondo con cui pure continua a interagire, senza esserne però permeata. Trincerata dietro una corazza di silenzio, viola i pensieri degli altri ma non lascia trasparire i suoi, si fa possedere dal marito-zio ma non dominare, si abbandona al desiderio di Saro ma è sempre lei a condurre il gioco. Persino il tempo non sembra scalfirla: gli altri invecchiano, lei no.
In tal senso la sua è una figura centrale, ma altresì una presenza fuoricampo, una sorta di coautrice che osserva, determina, racconta, frapponendosi tra le parole inchiodate sulla carta e i pensieri sospesi nell’aria.
E se pure, in mezzo a tutto questo rimestio di pensieri e parole, ogni tanto ci si perde, poco importa, poiché, più che la comprensione, rileva la magia, l’incanto per questo affresco di storia familiare lirico e crudele.
Polvere pirica bagnata
Premio Campiello del 1990, “La lunga vita di Marianna Ucrìa” è un romanzo storico che ruota intorno a due protagoniste: Marianna Ucrìa e Palermo con l’appendice della vallata di Bagheria che nel Settecento vide l’edificazione di maestose dimore in stile barocco. Fra queste, la villa Valguarnera ultimata a fine secolo dalla protagonista di questo romanzo, Marianna Alliata Valguarnera. Una principessa, nella realtà storica, costretta al matrimonio con lo zio che aveva abusato di lei bambina, il fratello del padre, l’uomo ideale per non disperdere, dopo la prematura scomparsa del principe, il patrimonio familiare, in assenza di figli maschi.
Dacia Maraini, è una discendente, per parte di madre, di questa sfortunata donna caratterizzata da una sordità testimoniata anche da un misterioso ritratto, ora introvabile, descritto in “Bagheria” che vede la nobildonna ritratta con dei fogli in mano, utili per gli scambi comunicativi tra lei e gli altri.
La Marianna del romanzo nasce quindi sulla falsariga di questa storia familiare ed è il mezzo per poter rappresentare il mondo siciliano ancora caratterizzato da feudalesimo e Inquisizione mentre i lumi del secolo paiono appena sfiorarla. Lei sarà, nel pieno della sua maturità di donna, il simbolo, con le sue scelte, di un nuovo riscatto ispirato alla piena espressione di sé in quanto donna, libera ormai dei subdoli legami che la tradizione culturale le aveva imposto. Lei lettrice avida di Pascal, Hume, Voltaire, Montesquieu.
La conosciamo però ancora bambina, molto legata al padre e con una mamma indolente, mentre assiste alla pubblica impiccagione di un ragazzino nella piazza antistante al palazzo Steri. Avendolo recentemente visitato e avendo ancora impressi i graffiti degli orrori presenti nelle diverse sale usate per anni dall’Inquisizione, sono stata incantata da tutta questa primissima parte come da tutto il reticolato geografico della città che emerge di volta in volta nel corso della narrazione. Immagino che per un lettore palermitano ciò aggiunga ulteriore valore all’opera che, ricordiamolo, è appunto un romanzo storico.
Marianna è stata portata ad assistere al macabro spettacolo che è festa di piazza irrorata di zammù e arricchita da ‘pani câ meusa’ nel vano tentativo di procurarle uno spavento tale da poterle restituire la parola. Lei è infatti ‘mutola’ ma non dalla nascita, c’è stato qualcosa nella sua infanzia, uno spavento più grosso, che l’ha resa tale, il padre a questo deve rimediare, come se fosse una colpa sua. Tutta la narrazione è filtrata dai pensieri di Marianna che legge la realtà circostante acuendo i sensi a sua disposizione e, inverosimilmente, riuscendo alcune volte a leggere i pensieri altrui. Questa a me è parsa una forzatura sul piano della verosimiglianza ma devo riconoscere che permette comunque di impreziosire la narrazione inserendo altri punti di vista. Ho trovato improbabile anche che un mutismo selettivo sia stato clinicamente accostato alla sordità, le due condizioni non sono affatto interdipendenti, insomma se la bambina è diventata muta per uno spavento non necessariamente avrebbe dovuto perdere l’udito.
Ben presto, a soli tredici anni, Marianna, ancora ‘mutola’ è costretta al matrimonio con il fratello del padre e a una vita matrimoniale caratterizzata dal sopruso sessuale, dai ripetuti parti in cerca dell’erede maschio, dai canonici lutti causati dalle pessime condizioni sanitarie che, con i vari intervalli epidemiologici, rendono fragile l’esistenza soprattutto della figliolanza. Unica possibilità di vita arriva dalla lettura, dalla conoscenza e dal saper lentamente applicare i principi egualitari nella sua piccola dimensione familiare. Una svolta narrativa, in termini di crescita personale, si registra in concomitanza con lo stato di vedovanza ( a proposito, molte belle le pagine dedicate alle catacombe dei Cappuccini, purtroppo ancora chiuse ai visitatori in questo aprile, dove viene mummificato il corpo del consorte - zio ) e la scoperta della propria identità sessuale: ancora una volta però lo stile della Maraini nella rappresentazione dell’intimità non mi piace, come già era accaduto in “L’età del malessere”, troppo esplicita, cruda e desolante.
Per concludere una lettura gradevole nonostante una narrazione troppo dilungata e un pathos che dovrebbe naturalmente scaturire dalle rivelazioni finali smorzatoinvece da una scelta stilistica sbagliata (inverosimiglianza scarìturita dalla lettura del pensiero) la quale determina l’effetto della polvere pirica bagnata dentro un fuoco d’artificio.
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La voce di Marianna Ucria
È una lunga vita quella di Marianna Ucria, nobildonna siciliana, scandita da un tempo fisico, quello proprio degli stadi fisiologici dell’esistenza di qualsiasi specie, e da un tempo metafisico, che va aldilà dei suoi anni e degli spazi in cui Marianna vive.
La peculiarità di Marianna Ucria, che riecheggia nelle pagine come la sua “mutilazione”, è il suo sordomutismo, che nel XVIII secolo è una menomazione insormontabile.
Le derivanti difficoltà non sono ciò che si percepisce leggendo il romanzo o comunque non è il focus della storia.
Il lettore è fin da subito colpito dall’intensità emotiva delle descrizioni, dai sentimenti, dalle impressioni di una Marianna bambina, figlia, donna, madre, moglie.
Una mancanza evolve in un’aggiunta, in un surplus ai suoi sensi, alla sua capacità di essere umana: la mente di Marianna si perde nelle voci e nei pensieri di chi la circonda, li scruta e così li vive.
Il fatto che non possa ascoltarli, comprenderli, non è un ostacolo ma un’abilità attraverso cui Marianna strappa il velo dell’ipocrisia, toglie la maschera con cui gli altri si presentano e il mondo degli uomini le si offre privo di filtri.
Dacia Maraini scrive un romanzo che possiede l’oggettività di una pagina da manuale di storia senza però avere la pretesa dell’insegnamento e la pesantezza dell’erudizione: la storicità del periodo viene rispettata ed esaltata dalle scelte della scrittrice, non c’è l’ombra di esagerazione o di sentimentalismi.
L’amore è vissuto in una certa maniera, senza cadere in romanzeschi intrecci.
Grazie ad una infallibile accuratezza nei dettagli e ad un gusto per l’etnografia e per il viaggio, Dacia Maraini disegna i paesaggi e gli interni attraverso un quadro perfetto tanto che il lettore riesce a rivedere tutto con i propri occhi.
Come la lente di un antiquario, la penna dell’autrice si poggia sui dettagli culinari, sulle ricette, sui rimedi, sugli abiti, sulle abitudini della gente nobile e povera della Sicilia della prima metà del 1700: il contenuto è racchiuso in una forma stilistica aderente ai tempi, alla lingua e al dialetto siciliano, è un lessico reale “verista”.
Ricorrente è il tributo alla filosofia e alle idee dell’inglese David Hume, incoraggiamento per la nobildonna a non essere fedele alla religione della credenza.
Ma la prova concreta della storicità del romanzo sta proprio in un fatto della trama: non svelare a Marianna della violenza subita, dell’incesto perpetrato dallo “zio marito” quando era molto piccola, un segreto custodito da un padre tanto amato, che ha causato il sordomutismo alla piccola Ucria.
L’incesto così come l’omertà familiare erano fatti comuni a quel tempo e svelarli avrebbe tradito la veridicità di molti avvenimenti del periodo.
L’unico fatto romanzesco è inconfutabile: il silenzio di Marianna lascia spazio alla voce del cuore e di una mente con le prospettive e i desideri di una donna del Duemila, perché l’universo dei sentimenti umani non conosce i limiti del tempo.
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Un silenzio che fa rumore
Questo romanzo inizia in modo inquietante. Una bambina di sette anni, viene accompagnata dal padre ad assistere ad un'impiccagione. La ragione? La ragazzina è sordomuta, probabilmente a seguito di un trauma e quindi si pensa che un altro spavento possa farle tornare la parola. La cura per fortuna non provoca danni peggiori del male che vuole guarire.
Siamo agli inizi del settecento in Sicilia nella casa di Marianna, una delle figlie di un nobile e ricco possidente. La bambina ad appena tredici anni viene data in sposa ad uno zio che ha parecchi decenni più di lei. Nonostante la sua infermità che potrebbe relegarla ad un ruolo di secondo piano fa sentire il suo pensiero e trascorre una vita molto più piena di molte altre persone. Ubbidiente e rispettosa verso il marito per educazione, per natura non gli sarà mai succube. Attenta ed amorevole verso i figli non li perderà mai d'occhio, ma senza farli diventare mammoni nè diventarne dipendente. Appassionata di libri darà scandalo per le sue letture progressiste, ma nella vità sarà sempre legata alle tradizioni e ai propri principi. Rispetterà e riverirà i genitori come da educazione ricevuta, ma questo non minerà la sua obiettività verso di loro. Conoscerà le varie forma dell'amore, quello egoista e crudele prima e poi quello sincero: appassionato ma allo steso tempo puro. Viaggerà molto: prima con la mente saltando di pagina in pagina dei numerosi libri di cui si circonderà e poi in modo reale passando con naturalezza da alberghi lussuosi a stamberghe infestate dai pidocchi.
Questo non è solo un romanzo che ci parla di una donna capace di imporsi pur avendo a disposizione solo delle armi spuntate. Ci parla anche della condizione femminile. La modernità ed audacia di Marianna è tanto più evidente se paragonata con la madre, le sorelle e le figlie. Tutte rassegnate al loro destino di oggetti di scambio. Sistemate in convento o cedute a ricchi uomini come fattrici e come pegni per accordi finanziari. Ognuna di loro si rifugia in quello che può. In un amore per i figli che le annulla, nel laudano, tra le braccia dell'amante. Ma nessuna di loro sarà mai se stessa. Peggiore ancora il confronto con la vita di contadine, cameriere e serve. Obbligate ad ubbidire a marito padroni e figli, queste ragazze si accontentano delle briciole e devono pure ringraziare.
Stile abbastanza scorrevole, salvo alcune parti decisamente pesanti. Nel complesso però sarebbe uno di quei libri che si divorano in poco tempo, se non fosse che parecchi sono gli spunti di riflessione. parecchi anche i riferimenti storici che stimolano ad approfondire la conoscenza di quel periodo.
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Marianna
Marianna, duchessa appartenente al casato degli Ucrìa, è muta sin dalla tenera età. Eppure ella ricorda, e la signora madre in punto di morte glie lo conferma, di aver udito, di aver parlato. Sa che dalle sue labbra sono usciti dei suoni articolati, e che tutto quel che è stato fatto per tentare di farle riacquistare i sensi perduti è vano poiché la ragione per quale essa ne è stata privata è un trauma subito durante i suoi cinque anni di vita, una violenza che la sua famiglia nega, si rifiuta di voler accettare, custodendolo, tra l’altro, come un segreto che mai dovrà essere rivelato. Mutola e rinchiusa nei suoi pensieri, la donna non ha altro mezzo che la scrittura per comunicare; uno strumento questo che, insieme alla lettura, diventa molto più che un mero tramite per trasmettere le sue volontà e i suoi desideri.
Come consuetudine, per le figlie femmine di buona stirpe non vi è altra scelta per il futuro se non quella di un matrimonio combinato oppure del convento di clausura, soluzione dagli ingenti costi e dunque da limitare a soltanto alcuni dei discendenti. Ma chi mai vorrebbe al suo fianco una compagna menomata irrimediabilmente? Una persona c’è. Ed è così che a soli tredici anni Marianna si ritrova sposata a Pietro, un anziano zio di ben 37 anni più grande di lei, un uomo col quale inizia un percorso caratterizzato da assenza d’affetto e atti sessuali miranti esclusivamente a procreare. Tante le gravidanze a cui la signora Ucrìa è sottoposa, troppi i lutti che colpiscono i suoi cari, fra questi la perdita più atroce sarà quella del figlio Signoretto colpito e stroncato dal vaiolo a soli quattro anni. La morte dell’unico figlio verso il quale davvero la madre ha provato un senso materno di affetto la indurrà a cambiare radicalmente il suo atteggiamento verso il mondo esterno, talché, se da un lato inizierà a rifiutare le attenzioni sessuali di quel “signor marito zio”, dall’altro si rifugerà completamente nella lettura per poi riscoprire il piacere dei sensi, dell’amore con quell’uomo da cui tanto è fuggita, che tanto ha rifiutato, le cui attenzioni ha tanto temuto. Arriverà ad un punto di non ritorno la nostra cara protagonista, cosicché si lascerà alle spalle la sua terra e i suoi averi partendo con la cara, fedele ed ormai trentacinquenne Fila alla volta del continente per far fronte a quella ribellione interiore inaccettabile per l’epoca eppure essenziale per conoscere davvero se stessa.
Dedicato ad un’antenata dell’autrice, “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, è un romanzo magnetico che magistralmente ricostruisce usi e costumi, accadimenti, pregiudizi, miserie e povertà della Sicilia del 1700. Fortemente incentrata sulla figura femminile, l’opera invita il lettore alla riflessione grazie al susseguirsi di una serie di avvenimenti testimoniati ed interpretati da solidi protagonisti, capaci, con la loro rispettiva verità e le loro espressioni gergali, di rendere concreta la realtà che viene pagina dopo pagina ricostruita. Perno dello scritto è la donna che con Marianna vince il pregiudizio, vuole rompere gli schemi, uscire da quella mentalità stereotipata e retrograda.
Stilisticamente l’elaborato è caratterizzato da una penna forbita e ricercata nonché è avvalorato da espressioni tipiche siciliane che se da un lato rendono veritiera la vicenda, dall’altro ne appesantiscono il defluire.
«Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili»
«Può una donna di quarant’anni, madre e nonna, svegliarsi come una rosa ritardataria da un letargo durato decenni per pretendere la sua parte di miele? Che cosa glielo proibisce? Niente altro che la sua volontà? O forse anche l’esperienza di una violazione ripetuta tante volte da rendere sordo e muto tutto intero il suo corpo?»
«Sapete, alle volte è l’amore degli altri che ci innamora: vediamo una persona solo quando essa chiede i nostri occhi»
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Una donna che infrange la prevaricazione
In questo romanzo, dedicato a una sua antenata, Dacia Maraini descrive in maniera approfondita e con dovizia di particolari, le persone, gli accadimenti, i luoghi, gli usi e costumi, i pregiudizi e le miserie nella Sicilia del ‘700 con particolare riguardo all’allora nobiltà locale.
Protagonista è Marianna, una duchessa appartenente al casato degli Ucrìa, che fin da bambina, a causa di un trauma subìto ma volutamente negato dalla famiglia, è diventata muta (la mutola); riesce a comunicare con l’esterno attraverso la scrittura. La tradizione dell’epoca esige per le figlie femmine della buona società aristocratica, un matrimonio combinato oppure il convento di clausura; quindi il padre decide di darla in sposa, a soli tredici anni, a un anziano zio con il quale inizia una vita regolata da numerose gravidanze e priva d’affetto; Marianna è infelice anche a causa dei molti lutti che colpiscono la sua famiglia, tra questi, il più atroce, la malattia e la morte dell’ultimo figlio all’età di soli quattro anni.
La morte del piccolo figlio cambierà in maniera decisiva l’atteggiamento di Marianna che inizia a rifiutare le attenzioni sessuali del vecchio marito-zio e, nel contempo, si dedica alla lettura degli innumerevoli libri facenti parte della ricca biblioteca di famiglia. Alla morte del marito dedicherà il suo tempo all’amministrazione dei propri beni e aprirà la sua anima a un amore proibito. E’ una ribellione inaccettabile per le tradizioni e la mentalità dell’epoca, come anche la decisione di lasciarsi alle spalle la sua terra e partire per il continente alla ricerca di se stessa.
La narrazione induce a profonda riflessione mettendo in luce la totale prevaricazione sulle donne in una società di stampo patriarcale; d’altro canto il personaggio di Marianna vuole enfatizzare la donna che vince i pregiudizi e affermare la propria personalità al di fuori di certi schemi fortemente stereotipati che la circondano.
Un romanzo che si legge molto bene nonostante qualche passaggio dialettale necessario per il realismo della vicenda stessa.
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grande Dacia M.
Ho letto più volte questo romanzo. Ho trovato molto fedele anche il film.
Ho amato questa donna, così sfortunata, per ceri versi, ma dotata di buona cultura, che le ha permesso di ampliare le sue conoscenze ed essere così 'considerata' come individuo. Per quei tempi non era certo la normalità.
La sua vita da adulta comincia presto, come sposa bambina, da colui che l'aveva violata quando invece si dovrebbe giocare con le bambole. Qui lei perde l'uso della parola e diventa 'mutola'.
Nella sua testa però continua a sentire delle, voci, dei canti che le fanno pensare di non essere sempre stata così. Crescerà ed avrà dei figli, delle persone che nutriranno il suo intelletto e che vorranno nutrirsi a loro volta del suo. Conoscerà l'amore passionale, che non aveva nulla a che fare col coito procreativo del sig zio, nonchè signor marito, nonchè sig pedofilo stupratore di bambine.
Molto interessante l'ambientazione, a cavallo fra il 1700 e 1800 , gli usi e le tradizioni del tempo.
Una donna decisa, che aveva capito che nemmeno il suo andicap avrebbe potuto ostacolare la sua crescita, il suo ceto sociale le permise di crescere intellettualmente e di attenuare il disagio del suo matrimonio riparatore.
Ho letto questo libro appena uscito, è passato parecchio tempo, però ha un posto importante nella lista dei libri a me cari.
paola
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contiene spoiler
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DONNE FERITE
Questo romanzo l'ho finito di leggere già da qualche mese e mi è rimasto "addosso".
Io chiedo questo alla lettura, chiedo di lasciarmi dopo l'esperienza di lettura arricchita di qualche ricordo e impressione.
Il romanzo è ben scritto e l'autrice fa un bel quadro dell'ambientazione storica della Sicilia del '600. Il romanzo è narrato a episodi, spesso apparentemente slegati tra loro ma che danno vita alla fine ad un racconto omogeneo. I personaggi sono veramente ben descritti, Maraini è stata veramente attenta a quest'aspetto e non a caso ha utilizzato l'escamotage della protagonista sorda per scandagliare gli aspetti psicologici di tutti i personaggi.
La storia non è banale, è estremamente moderna e come al solito le donne sono le vittime dei peggiori soprusi umani sia fisici e che psicologici.
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Marianna, forte e moderna
Una bimba silenziosa, riservata, sembra persino ritardata, la piccola Marianna.
Fino ai quattro anni era stata una bimba normale, parlava ed udiva, e nelle sue orecchie risuona ancora il ricordo della voce un po' spezzata del signor Padre, uomo amatissimo, e di quella leggermente roca della signora Madre, col suo profumo di tabacco da fiuto.
Diviene sorda all'improvviso e si chiude in un suo vivacissimo mondo muto, sviluppando un carattere deciso e volitivo.
Imparerà a comunicare scrivendo e facendosi scrivere le parole che non può più sentire e, caparbia e volitiva, costringerà chi gli sta intorno ad accettare questo complesso modo di comunicare.
Quale futuro per una ragazza nobile e graziosa, ma invadila, in una Sicilia della prima metà del Settecento? Neppure il convento la potrà accogliere e così il signor Padre la dà in sposa, appena adolescente, ad un vecchio zio.
Anni di amplessi subiti nella notte, senza tenerezza né desiderio. Figli nati uno dopo l'altro senza aver mai provato amore né piacere. Poi, improvvisa, la passione per il giovane Saro, che le fa scoprire che al mondo c'è di più del dovere e dell'accettazione: c'è il desiderio, il piacere, l'amore.
Marianna è un personaggio che esce dalle pagine e diviene reale, tangibile: la prosa della Maraini è essenziale e vibrante nel disegnare l'immagine di questa sua antenata con amore e rispetto.
Un libro veramente bello: l'ho letto tre volte, negli anni, ed ogni volta ho trovato sfumature che mi erano sfuggite, o forse è la mia maturità che cambia e mi fa cogliere aspetti diversi di questo personaggio affascinante.
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Lo sguardo alle volte può farsi carne, unire due persone più di un abbraccio. Così Marianna e Saro, all'interno di quella vetturetta strettissima sospesa fra due muli e ciondolante sul vuoto, si lasciano cullare dal movimento, fermi incollati ai loro sedili, mentre gli sguardi corrono dall'uno all'altra commossi e inteneriti. Né le mosche né il caldo né le scosse riescono a distrarli da quel fitto scambio di aspre delizie
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La lunga vita di Marianna Ucrìa
Attraverso gli occhi di Marianna si profilo un cambiamento culturale di portata storica. La società feudale di antico regime, con le sue regole e le sue tradizioni, viene a poco a poco sostituita da una società più libera e improntata ai valori della moderna borghesia.E'soprattutto il sentimento amoroso che cambia: dal matrimonio senza amore e vissuto nell'ottica di una strategia politica di alleanza parentale, si passa all'amore intimo e romantico.
Al mutismo di Marianna si contrappone la sua introspezione, il suo amore per la letteratura e per il sapere critico e indipendente, il suo coraggio di donna libera in una terra ancora rigidamente patriarcale ("il signore David Hume avrebbe detto..."); una protagonista che, nella sua menomazione, si fà interprete e spettatrice di un nuovo modo di vivere le relazioni tra persone.