Narrativa italiana Romanzi La giornata d'uno scrutatore
 

La giornata d'uno scrutatore La giornata d'uno scrutatore

La giornata d'uno scrutatore

Letteratura italiana

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L'attività di scrutatore in un seggio elettorale diventa per il protagonista l'occasione per meditare su se stesso e sulla follia del mondo. Il romanzo realistico di uno spietato osservatore della società. "I temi che tocco con "La giornata d'uno scrutatore", quello della infelicità di natura, del dolore, la responsabilità della procreazione, non avevo mai osato sfiorarli prima d'ora. Non dico ora di aver fatto più che sfiorarli; ma già l'ammettere la loro esistenza, il sapere che si deve tenerne conto, cambia molto le cose." (Dalla presentazione scritta da Calvino nel 1963)




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La giornata d'uno scrutatore 2021-06-17 08:53:03 siti
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siti Opinione inserita da siti    17 Giugno, 2021
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Onestà intellettuale

In una giornata piovosa del 1953, Amerigo Ormea, iscritto a un partito di sinistra, si reca al seggio elettorale istituito presso il Cottolengo, le strade torinesi non gli sono familiari in quel quartiere, e alle cinque del mattino rimugina sul fatto che neanche la pioggia sarà un deterrente in uno Stato dove “l'organizzazione per far votare tutti funzionava sempre”, soprattutto nell’anno della “legge truffa”, quella che avrebbe concesso i due terzi dei seggi alla coalizione che avesse guadagnato il 50% +1 dei voti. Quella legge che i partiti all’opposizione sapevano essere una trovata di De Gasperi volta a garantire il perfetto centrismo contro le minacce della destra e della sinistra. La Dc subì insieme a i partiti di centro una pesante sconfitta, si susseguirono i governi Pella e Scelba mentre Fanfani successe a De Gasperi alla guida della segreteria politica della Dc.
Amerigo non è però un politico, né un attivista, gli è stato chiesto di dare una mano e lui si avvia presso il grande istituto religioso a controllare la regolarità delle operazioni di voto, la sua unica preoccupazione sembra addirittura essere quella di avere le scarpe bagnate e di doverle tenere ai piedi tutto il giorno. È un uomo mite, un piccolo uomo, un divertente rovesciamento, oserei direi, del comunista impegnato. Nei panni del piccolo uomo qual è, è dunque schiacciato dalle preoccupazioni spicciole di un mondo conosciuto e dal quale non sia aspetta niente, mentre vive con ansia il dover trascorrere la giornata “al di là delle frontiere del suo mondo”. Sarà nella culla dei “cutu”, di quelli che internati il mondo civile dimentica, lui comunista tiepido, non al passo con i tempi, ma pur sempre ottimista anche se disincantato rispetto alle logiche di potere. Lì ad osservare la mesta macchina democratica dopo i fasti fascisti, in una sezione elettorale squallida e grigia come quelle del resto d’Italia. Lui, un rappresentate semmai “d'una religione laica di dovere civile”. Un civis? Un portatore di civiltà? O un nostalgico credulone di una rinnovata democrazia? Quella senza l’apparato burocratico, quella che si serve dell’uomo, del civis appunto. La giornata lentamente trascorre tra le adempienze tipiche del seggio, schede, incrocio dei dati, conferma di identità e accoglienza. Qui tutti votano: idioti, deformi, è l’uguaglianza dei diritti civili fatta carne per volere della Chiesa, ora giustamente ripagata del suo umanesimo. Il compito di Amerigo è quello di frapporsi all’estensione generalizzata del diritto di voto a esclusivo vantaggio di una parte, ma rimpiange di aver ceduto il suo tempo al dovere civile, avrebbe potuto benissimo trascorrere la domenica con Lia, la bellezza richiamata alla mente dopo una sovraesposizione al brutto del mondo. “La sua battaglia legalitaria contro le irregolarità e i brogli non era ancora cominciata e già tutta quella miseria gli era calata addosso come una valanga”. Lui è un comunista tiepido, lo abbiamo già detto, il suo dubbio ideologico si sposa con il suo avvertirsi uomo: “Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant'era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere”. Il Cottolengo con la galleria dei casi umani lo ridimensiona più di quanto già non lo fosse entrandoci al mattino presto. I dubbi esistenziali lo accompagnano per tutto il tempo, la riflessione unisce il fisico al metafisico, ad annullare politica, progresso e storia, ad annullare le differenze, a rimarcare la vanità del tutto. La vanità della storia. A ciò si aggiunge la riflessione sul suo rapporto con Lia della quale non conosce nemmeno l’orientamento politico e che non si cura certo di avvicinare al partito, a lui non tange la propaganda e il proselitismo. Lia gli rivela di essere in attesa proprio durante la pausa della sua giornata da scrutatore, quando tornato a casa si è rifugiato nelle sue certezze, e ciò ha per lui dello sconvolgente perché è fermamente convinto che lui non possa in prima persona addossarsi la colpa di procreare, quella stessa colpa che critica e che, secondo le sue teorie, sta alla base della deriva umana verso l’imperfezione e il male del mondo. Le suggerisce l’aborto mentre lei rivendica il suo diritto al controllo del proprio corpo. Il pomeriggio lo riporta al contatto con la realtà, con la sofferenza, con la pietà umana e perfino con l’amore, le sue riflessioni acquistano finalmente un equilibrio etico e morale, un opportuno allargamento di orizzonte. Onestà intellettuale. Adoro Calvino.

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La giornata d'uno scrutatore 2018-11-29 14:26:16 eugrizzo
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eugrizzo Opinione inserita da eugrizzo    29 Novembre, 2018
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24 ore nel cottolengo torinese

Testimonia l’aderenza a un filone, quello del realismo e di un diretto impegno politico e intellettuale sullo sfondo di un romanzo autobiografico che affronta la crisi dell’intellettuale incapace di trovare una ragione nell’impegno politico e civile.
Siamo a Torino nel 1952, anno in cui si tennero le elezioni politiche decisive per la stabilità del governo. Quello della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati aveva approvato una legge (truffa secondo gli avversari) in base alla quale lo schieramento politico che avesse superato la maggioranza del 50%+1 avrebbe ottenuto un gran numero di parlamentari a scapito della minoranza. La tensione politica era altissima e il contrasto “democristiani-comunisti” era il facile argomento su cui disquisire.
E anche scrivere un saggio come fece Calvino, una riflessione solitaria sul ruolo dell’intellettuale d’orientamento illuminista e di ideologia marxista. Calvino-Amerigo Ormea (il protagonista de “La giornata di uno scrutatore”), è scrutatore per conto del PCI, di un seggio elettorale istituito al Cottolengo di Torino, dove sono ricoverati pazzi, deficienti, minorati mentali e fisici. Il suo compito è di impedire che persone prive di una loro volontà siano indotte da suore e preti a votare per la DC.
Per i ricoverati più gravi viene istituito un “seggio distaccato” di cui Amerigo si trova a far parte. Conosce così l’inferno della malattia, di fronte alla quale la situazione che vive (le elezioni, l’imbroglio di far votare esseri incoscienti, la strenua ricerca di un voto), rivela tutta la sua insensatezza. La sua attenzione è presto attirata da scene di amore e carità cui sono protagoniste le suore e soprattutto un vecchio padre contadino che spezza le mandorle al figlio menomato. Questi aspetti della realtà mettono in crisi un’ideologia giocata sul progresso sociale ma incapace di far fronte al condizionamento dettato dalla natura.
Non solo. Nonostante la sua brevità (che non coincide con leggerezza, tutt’altro), La giornata di uno scrutatore, è un libro di crisi: quella vissuta dal protagonista e dall’autore, comunista, progressista e marxista, erede del razionalismo settecentesco quando si scontra con una realtà che non può essere interpretata secondo i suoi prefissati schemi ideologici. Amerigo è un uomo in crisi, in crisi affettiva con la compagna da cui rifugge per la nascita di un bambino, in crisi di valori con la sfilata dei malati del Cottolengo.
E’ in gioco non solo la “volontà popolare” che si esprime nella consultazione elettorale: è in gioco un interrogativo esistenziale che riguarda la natura umana. Davanti alle misere “creature” del Cottolengo, Amerigo si chiede con insistenza: “fino a dove un essere umano può dirsi umano”? La risposta gli è suggerita proprio da quel padre che schiaccia le mandorle al figlio” l’umano arriva dove arriva l’amore”.
E’ un libro, “la giornata di uno scrutatore” caratterizzato da un linguaggio immediato, frasi semplici, di grande nitidezza espressiva, che respinge ogni eccesso, non sottolineando la vacuità dell’orrore. La descrizione dei malati è impietosa e puntuale ma non grottesca. Non è questo il libro di Calvino, tutt’altro. Lo stile si concentra sull’osservazione e sull’esattezza dei contorni e delle proporzioni che citando le indimenticabili lezioni americane dello scrittore si concentrano su:
1. un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
2. l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, “icastico”, dal greco “eikastikós”;
3. un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.”
Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno sembrare ovvii? Credo che la mia prima spinta venga da una mia ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un'intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d'insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La letteratura - dico la letteratura che risponde a queste esigenze - è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.

Alle volte mi sembra che un'epidemia pestilenziale abbia colpito l'umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l'uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l'espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze. Non m'interessa qui chiedermi se le origini di quest'epidemia siano da ricercare nella politica, nell'ideologia, nell'uniformità burocratica, nell'omogeneizzazione dei mass-media, nella diffusione scolastica della media cultura. Quel che mi interessa sono le possibilità di salute. La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare degli anticorpi che contrastino l'espandersi della peste del linguaggio.

Vorrei aggiungere che non è soltanto il linguaggio che mi sembra colpito da questa peste. Anche le immagini, per esempio. Viviamo sotto una pioggia ininterrotta d'immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi: immagini che in gran parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e come significato, come forza d'imporsi all'attenzione, come ricchezza di significati possibili. Gran parte di questa nuvola d'immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una sensazione d'estraneità e di disagio. Ma forse l'inconsistenza non è nelle immagini o nel linguaggio soltanto: è nel mondo. La peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio né fine.

Mai scritto è più attuale.

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La giornata d'uno scrutatore 2015-07-07 13:44:13 Belmi
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Belmi Opinione inserita da Belmi    07 Luglio, 2015
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La fabbrica di voti

"Posso dire che, per scrivere una cosa così breve, ci ho messo dieci anni, più di quanto avessi impiegato per ogni altro mio lavoro."

"La giornata d'uno scrutatore" è un romanzo breve (o racconto di 84 pagine), così realista, riflessivo e d'impatto che solamente una persona che in prima persona ha provato, sulla propria pelle, quelle emozioni, poteva scrivere.

Il romanzo è ambientato al "Cottolengo" di Torino ("tutti sappiamo la funzione di quell'enorme ospizio, di dare asilo, tra i tanti infelici, ai minorati, ai deficienti, ai deformi, giù giù fino alle creature nascoste che non si permette a nessuno di vedere"), luogo che Calvino ha visitato per la prima volta come candidato del Partito Comunista (1953) e poi come scrutatore nel 1961.

Le immagini e l'esperienza di quelle due giornate hanno segnato tanto l'autore che ha avuto bisogno di metabolizzare quelle emozioni, per altri due anni, prima di creare questo romanzo.

Il protagonista è Amerigo Ormea (alter ego dell'autore) che viene mandato come scrutatore in una sezione del "Cottolengo". Il luogo è per eccellenza una "fabbrica di voti" per la Democrazia Cristiana, dove suore e preti "aiutano" le persone incapaci a votare e in cui Amerigo da buon comunista deve farsi valere.

Questo è un romanzo più di riflessione che di fatti. In una sola giornata, Amerigo si ritrova a dover rivalutare il suo pensiero e a rendersi conto che non è più l'uomo che era al mattino.

"A tutto ci si abitua, più in fretta di quanto non si creda."

Un libro riflessivo, d'impatto e tristemente reale. Un Calvino insolito, che ci racconta la fase di crisi che stava vivendo nei confronti della società e della politica.

Non risulta fra le sue opere principali, ma sicuramente questo libri merita una lettura, anche per leggere bene fra le righe quello che l'autore stava cercando di dirci.

Lo consiglio.

Buona lettura!


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