La figlia maschio
Letteratura italiana
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Avevo imparato la distanza durante le violenze
La figlia maschio riconferma che Patrizia Rinaldi è voce potente e originale della narrativa italiana. Con quest’opera a quattro voci – un palazzinaro che incarna l’arroganza del maschilismo (“Da quel giorno sei diventata un’ossessione pornografica da consumare in privato”), una donna soccombente e recessiva, un intellettuale asservito al potere economico e Na, giovane donna cinese che ha patito le regole imposte da una società spietata e da un’umanità violenta – affronta temi forti, a volte intollerabili (“I padri veri o finti mi volevano, ma non come figlia… legata al mondo con il fiocco rosa dell’incesto”), con uno stile inconfondibile (“Ti portai nel sestiere più orientale, per questioni di appartenenza tua a qualsiasi oriente…”), distintivo e non convenzionale.
Ritengo accattivanti modalità e toni con i quali Patrizia Rinaldi esercita la sua critica profonda, che qualificherei neo o post femminista se non fosse riduttivo imprigionare un’essenza in una formula, nei confronti di esistenze, psicologie e modelli socio-culturali – tanto orientali quanto occidentali - che hanno perpetuato squilibri, diseguaglianze e rapporti di potere nella lotta sfrenata che ogni giorno vede contrapposti dominatori e vittime, aggressori e prede, in questo nostro mondo insensato e conflittuale.
Giudizio finale: polifonico, critico, inquietante.
Bruno Elpis
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Una figlia anomala
Una scrittura potente, dura, incalzante, quella a cui ci hanno abituato i romanzi di Patrizia Rinaldi che anche ne La figlia maschio, non si smentisce nelle sue qualità di narratrice forte.
L’autrice costruisce una storia che quattro diverse voci narranti mettono in scena: quattro capitoli, quattro nomi diversi, quattro punti di vista per raccontare ciò che è avvenuto nella vita dei protagonisti dopo un viaggio in Cina, alla fine degli anni Novanta, quando, al seguito del Presidente Pertini, Anna, una interprete di cinese, moglie di Sergio, convince a partecipare al viaggio anche Marino, un ricco e potente personaggio, esponente di una criminalità non ancora venuta allo scoperto, e sua moglie Felicita. I quattro raggiungono una città, Hangzohu, detta la Venezia cinese, ma i due uomini si allontanano e, in piena campagna, dove Marino progetta chissà quale avventura, in mezzo all’erba appare una giovane donna bellissima, flessuosa, coperta da capelli corvini, di cui l’uomo crede di essersi perso in modo devastante. Farà in modo che la ragazza, che vive solo con un padre anziano, munita di falsi documenti, possa lasciare il suo paese e venire a Roma: lei non è stata registrata alla nascita, è priva di identità, è un oggetto di piacere che il violento ed arrogante Marino può comprare. All’insaputa di sua moglie, l’infelice e sofferente Felicita, la giovane Na verrà sistemata in una casa fuori Roma, guardata a vista da una governante, in attesa delle saltuarie visite del padrone. Anche Sergio, però, sarà complice di questa vicenda di larvata schiavitù, anzi l’uomo geloso del suo capo, si innamorerà della bella cinese, sempre più misteriosa, disponibile al sesso ma non certo ad un rapporto vero, al di fuori di questo.
Il fascino di questo libro sta nella ricostruzione che di questa vicenda fanno le voci dei protagonisti, capaci di svelarci i retroscena, i tradimenti, gli intrighi, che si sono svolti nel backstage della trama. L’autrice sa mescolare il tutto con una abilità da narratrice consumata: la biografia di Na, la sua origine, la sua sofferenza, ci trascinano all’interno di una Cina crudele e sconosciuta, di cui ignoriamo la violenza sociale, la mancanza di diritti elementari, il destino atroce delle donne e delle figlie femmine da loro disgraziatamente partorite. La vita insulsa e drammaticamente infelice della insegnante Felicita, racconta la insensatezza di una esperienza borghese come moglie, ripudiata, di un affarista che ha bandito la legalità dai suoi affari e che ne pagherà altissimi prezzi. Nel libro compaiono diversi ambienti, alcuni personaggi minori, uno spaccato sociale che da Roma si allarga fino a Napoli, dove si conclude la storia. Tanti sono i particolari, le sfumature, che costruiscono uno scenario attuale che si chiarisce attraverso le pagine finali del romanzo. Il tema della identità, dell’appartenenza, dell’apprendere una cultura altra, l’accettazione del proprio corpo non solo come merce da acquistare e consumare ma come punto di partenza per costruirsi come persona: sono questi alcuni degli spunti originali de La figlia maschio, romanzo nel quale l’amore compare solo nei confronti della donna che Na aveva riconosciuto come madre, la madre perduta a cui lei dedica uno struggente addio fatto di parole sussurrate al vento.
Si nota il lessico dell’autrice, le sue frasi intense, la sua profondità di scavo psicologico, il coraggio di dare alle cose il loro vero nome, servendosi di tutti i registri linguistici, dal più letterariamente raffinato a quello più violento, pur di conferire ai suoi personaggi realismo e credibilità. Un romanzo di gran fascino.