La felicità degli altri
Letteratura italiana
Editore
Cloe è una donna che ha imparato a parlare con le ombre. Un’anima in ascolto, alla ricerca di una voce che la riporti al luogo accidentato della sua origine, al trauma antico di quando, bambina, cercava di farsi amare da chi l’aveva messa al mondo. Nel suo cammino costellato di fragorosi insuccessi e improvvisi passi avanti, Cloe attraversa città, cambia case, assume nuove identità, accompagnata da voci, ricordi, personaggi sfuggenti: Emanuel, il fratello amatissimo; il professor T., docente di Estetica dell’ombra; Madame e il Generale, guardiani della Casa dei timidi, dove la donna era stata accolta a dieci anni. Cloe è uno sguardo che cerca attenzione e verità, il suo viaggio coraggioso è il racconto di un amore e di una speranza che non si spengono, anche quando dentro e fuori di noi non c’è che rovina.
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Ritrovarsi e ritrovare
«Dicono che ci sia un posto nel mondo per ciascuno di noi e a quello tendiamo senza sosta, anche se non si sa dove sia, anche se non abbiamo le coordinate per raggiungerlo e non ci sono mappe a indicarcelo.»
Torna in libreria Carmen Pellegrino con “La felicità degli altri”, La Nave di Teseo, altra opera di grande interesse a firma della studiosa. Lo scritto ha inizio partendo da un’infanzia che viene bruscamente negata, interrotta da quella che è una famiglia fatta di liti furibonde tra una madre nevrotica e un padre trasparente. Qui a vigere è l’ombra e “ciò che resta in ombra si abitua a non essere guardato”.
La conseguenza naturale di questa condizione è una solitudine profonda, una solitudine fatta di oscurità e voci e la cui protagonista è Clotilde detta Cloe. Non sappiamo che età abbia costei, sappiamo solo che all’età di dieci anni la sua vita è cambiata e si è ritrovata a vivere in una casa-famiglia. La donna, ancora, è reduce da un aborto e da un matrimonio che si è sgretolato sul nascere. Cloe è dunque alla ricerca delle sue coordinate e al tempo stesso è alla ricerca di quel vivere quotidiano che possa darle le certezze necessarie per vincere quel passato fatto di angosce e silenzi e congedarsi con il presente per aprirsi al nuovo futuro.
Cloe deve vedersela con le “anastilosi”, deve ricostruire. Partire dalle macerie, ritrovare le fondamenta, rendere solido il suo tronco. Trovare il suo punto fermo.
Da qui vengono ancora introdotti molteplici personaggi che sono ricostruiti con la forza delle parole e il tempo, un tempo che si dilata e contrae tra un presente e un tempo che è stato. E sono proprio i continui salti temporali che possono, alla lunga, un poco sfiancare o comunque rendere la lettura più difficoltosa, più lenta nel suo incedere.
«Per quante strade si percorrano, per quante se ne cambino, arriverà il momento di prendere per quella via che darà senso alle altre. E non importa dove e perché ti sei perso. C’è un varco da cercare, erto, nascosto oppure sconciamente evidente […]. Lo attraverserai e ti ritroverai là dove si ricrea qualcosa; senza accorgertene ti ritroverai in un nuovo inizio.»
“La felicità degli altri” è uno scritto da leggere un poco alla volta. Nuovamente Carmen Pellegrino porta i suoi lettori in una dimensione di forte introspezione e riflessione e vi riesce per mezzo di una storia forte che suscita empatia e comunanza. Si tratta di un titolo ancora intimo e intimista, uno scritto dove per prima cosa si ricerca il nostro sentirsi vivi.
Al tutto si somma una penna dai toni sognanti e talvolta evanescente finalizzato al meglio rendere la solitudine e la sofferenza che ne permea e colora le pagine. Lo stile, così come le riflessioni filosofiche ivi contenute e sottese, trattiene il lettore che, solleticato, è curioso di conoscere dell’epilogo. Anche quando la lettura perde di qualche battito a causa dei salti temporali.
Una riflessione intensa e profonda su una vita vissuta soltanto a metà.
Indicazioni utili
L’ANASTILOSI DELL’ANIMA
“Non la luce, Cloe. Caravaggio dipingeva l’ombra, il buio. Conosceva il luogo oscuro. Ciò spiega la presenza copiosa di materia organica suppurante nei suoi dipinti. Si sporcava le mani con la vita vera, quella che gli altri non vedono perché disturba. La luce nei suoi dipinti, la luce su cui noi ci soffermiamo per indicarne il genio, è un bianco che si afferma per contrasto: se non ci fosse ombra, non lo vedremmo”.
Si fa chiamare Cloe, ma il suo vero nome è Clotilde ed è una giovane donna che per guarire dai fantasmi del passato, deve scavare alle origini del suo dolore, un processo che la dilania, ma che è necessario. E’ “un’anastilosi”, un processo lungo che ogni tanto subisce dei “soprassalti”.
Un libro che non è per tutti, una storia difficile, non soltanto per il focus, doloroso e disturbante, ma anche perché spesso può servire rileggere alcuni passaggi più ostici per la comprensione. L’anastilosi è un processo di ricostruzione e di restauro utilizzata per le rovine antiche e il lettore stesso è chiamato a partecipare al fianco di Cloe per raccogliere e mettere assieme i pezzi della storia di lei e, pagina dopo pagina, vengono forniti pezzi di storia, però solo verso la fine sarà più chiara la vicenda della protagonista. I pezzi del mosaico non si presentano in ordine.
La vicenda comincia in medias res, a Venezia, dove Cloe conosce un uomo particolarissimo e solitario, un’ anima in pena, ombra di un’anima egli stesso, che nella storia compare col nome di “professor T.”. Costui nella città lagunare tiene un corso interessante, “Estetica dell’ombra”.
Il richiamo a Borges, “Elogio dell’ombra” è palese, e, forse anche al libro di Tanizaki, “Il libro d’ombra”, ma per quest’ultimo non è detto, poiché legato prettamente al valore dell’ombra dell’antica cultura giapponese.
Il professore e Cloe sono due mendicanti dell’amore (come il titolo di una bellissima canzone che ascoltava mia madre, se non erro, degli Alunni del sole).
Il professor T. a sprazzi, brevi ed intensi, si presenterà al fianco di Cloe che gli rivelerà la sua storia, il suo passato doloroso, il senso di colpa nei confronti del suo amato fratellino Emanuel, il bisogno di essere amata, la necessità di scoprire la verità sul suo abbandono da parte della madre, che lei chiama per nome, Beatrice.
Ho amato il professor T., è il personaggio più toccante, affascinante di tutto il romanzo. La sua disperata solitudine, con cui ha imparato subito a convivere dopo essere stato lasciato dall’amata, è diversa da quella di Cloe.
Il professor T. è un uomo maturo, ha già sperimentato il dolore, lo affronta vis à vis, le sue riflessioni sono di una profondità impressionante: “Abbiamo i sensi irritati dalla luce, accecati da fonti luminose che perseguitano l’ombra. Rifuggiamo l’oscurità come se temessimo di venirne risucchiati”.
Lui conosce alla perfezione il pregio dell’ombra, ed è proprio dall’ombra che Cloe dovrà cominciare a ricostruire il suo passato, sparando colpi di luce su quei fantasmi che vengono a ghermirla ogni notte.
Ma prima di conoscere il professore, la protagonista sembra quasi crogiolarsi nel dolore, nel farsi del male, consapevole che la strada è quella sbagliata, ma cosa importa? Cambia sempre città, cambia nome, passa da un letto a un altro, perchè ha necessità di sentirsi viva e amata, perché ha necessità di racimolare briciole di amore, quell’amore che le è stato negato a dieci anni, abbandonata dai genitori. Ad un certo punto Cloe, secondo un meccanismo che non è nuovo nella nostra realtà contemporanea, frequenta i social network e si costruisce una identità virtuale.
“La mia identità frantumata trovò una temporanea ricostruzione (anastilosi virtuale) nell’identità che post dopo post mi ero costruita sul social network, al punto da convincermi che stare nelle cose del mondo significasse postare. (…) ero arrivata a convincermi che la vita si realizzasse raccontandola ad un numero sempre più crescente di destinatari”. Si sentiva finalmente percepita, approvata. Ma questa esperienza si rivelerà deludente e provvisoria.
Conoscere il professor T. e ritornare alla Collina saranno gli input per iniziare il suo doloroso e difficile cammino terapeutico, la sua anastilosi dell’animo.
“La pazzia non esiste, diceva,esistono le ferite dell’anima, esiste l’inconscio inascoltato”.
Indicazioni utili
Un trattato di antropologia dell'abbandono
[…] “ Caravaggio non aveva pari nel dipingere la luce.”
“ Non la luce Cloe. Caravaggio dipingeva l’ombra, il buio. Conosceva il luogo oscuro.
[…] La luce nei suoi dipinti, la luce su cui noi ci soffermiamo per indicarne il genio, è un bianco che si afferma per contrasto: se non ci fosse l’ombra, non lo vedremmo.”
In questo stralcio di dialogo è, per me, contenuta l’essenza di “ La Felicità degli altri” il nuovo Romanzo di Carmen Pellegrino, edito da La Nave di Teseo.
La felicità degli altri è, infatti, un romanzo in cui l’ombra è la protagonista concettuale, un elemento filosofico fondamentale che, richiamando “l’elogio dell’ombra” di Jorge Luis Borges, incanala tutti i temi dell’opera la quale trae ispirazione dal dolore come origine di tutto, trasformandosi di fatto in un trattato di antropologia dell’abbandono dove perdere e perdersi diventa una condizione primaria dell’essere umano.
La Storia è un grande mosaico di voci, di suoni e di colori che sembrano aleggiare in sottofondo all’asse centrale del romanzo in cui le ombre, il silenzio e le nostre indicibili solitudini sono gli elementi equilibratori che permetteranno alla protagonista Cloe di camminare sul filo che separa l’abisso e la rinascita in un viaggio introspettivo negli angoli più remoti e profondi della propria anima che porterà alla mutazione della stessa.
Carmen Pellegrino è una scrittrice straordinaria, colta e profonda, dotata di uno stile elegante ed erudito, la cui connotazione assume toni di antiche nostalgie che si riverberano sui luoghi e sulle persone, impregnandoli di magia, di calore e delicatezza. Molti, nel libro, gli elementi narrativi che richiamano alla classicità ed alla mitologia Greca, con accenni anche di natura teologica ed un omaggio al personaggio dantesco di Virgilio rincarnato nel mitico professore T docente del corso di Estetica dell’ombra dell’università di Venezia.
La grande letteratura ci apre gli occhi e ci insegna che la nostra felicità, seppur fugace, non risiede al di fuori della nostra semplice consapevolezza. Consapevoli del respiro, della brezza che ci tocca, di un fiore sbocciato, di nuvole che passano sopra la nostra testa, di una carezza tra i capelli di chi amiamo, della nostra voce, di un odore e di tanto altro.
Ciò vuol dire aprirsi al mondo, anche con il rischio di essere più vulnerabili, ma indubbiamente più vivi.
Five-Star Book