La fabbrica del panico
Letteratura italiana
Editore
Stefano Valenti (1964), valtellinese, vive a Milano. Ultimati gli studi artistici, si è dedicato alla traduzione editoriale. La fabbrica del panico è il suo primo romanzo.
Recensione della Redazione QLibri
Il diritto di vivere
L'esordio letterario di Stefano Valenti è stato premiato dalla giuria del Campiello 2014 come miglior Opera Prima.
E' un romanzo doloroso che tratta un tema forte, come quello delle morti causate dalla contaminazione da amianto in fabbrica.
Partendo da una valutazione del contenuto pare subito fuori luogo utilizzare la definizione di “romanzo” o parlare in questo caso di “pura narrativa”.
E' indubbio l'intento dell'autore di denunciare, come hanno fatto in precedenza altre voci negli ultimi decenni.
La peculiarità con cui Valenti affronta il suo racconto sta nella pacatezza dei toni, niente grida né commiserazione tra le pagine, ma un'analisi degli uomini e delle famiglie, uniche vittime di interessi economici ed egoistici aberranti.
Immagini nitide di un lavoro infernale e bestiale, di una vita logorante scandita da turni massacranti in ambienti di morte, tra sostanze ben conosciute come altamente nocive.
Lavorare in fabbrica per portare a casa il denaro necessario a sostenere se stessi e la famiglia, il corpo che muta giorno dopo giorno corroso fin nella linfa dalla fatica prima e dal veleno poi.
Uomini con un sogno nel cassetto; non può essere la fornace della fonderia il sogno, bensì divenire un pittore, catturare i colori del mondo e lasciare al prossimo un pizzico di sé, oppure avere la possibilità di veder crescere e realizzare un figlio o un nipote.
I protagonisti del racconto hanno perso sogni e speranze ed i familiari insieme a loro; uomini e donne strappati dai profumi e dai colori della vita a causa del lavoro.
Fabbrica, fabbriche, luoghi di morte e di sfruttamento omicida dal momento che chi sa non si adopera per salvare la vita a tutti coloro che vi prestano servizio.
La voce di Valenti è asciutta mai melliflua e retorica, eppure carica di quell'intensità ed intimità di chi narra fatti vissuti sulla propria pelle, di chi ha perso un padre a causa del demone amianto, di chi si è trovato a vivere un dolore che col tempo si è radicato dentro covando rabbia e angoscia.
Un figlio che rimane ed un padre che se ne va; sul pavimento rimane solamente ingiustizia, sofferenza e ferite indelebili.
Stefano possiede una buona mano narrativa, portato all'introspezione sa trasmettere al lettore pathos e toccarne le corde emotive; ha contribuito a scrivere una pagina di storia italiana che deve rimanere monito per tutti, perché gli errori e gli orrori restano e non si cancellano con un colpo di spugna.