La disubbidienza
Letteratura italiana
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Si può "disubbidire" a tutto, ma non alla femmina
Moravia resta Moravia.
In assoluto il mio autore italiano preferitò.
Sarà per la sua scrittura analitica e introspettiva.
Sarà per il suo amore verso Roma e i quartieri bene della capitale, in cui con sguardo scrutatore tira fuori nefandezze e ipocrisia.
Sarà per la sua capacità quasi soporifera di descrivere persone e ambienti e creare un mondo ovattato dove le persone possono anche farsi la guerra, ma sempre mantenendo un tono mite e distaccato.
Questo breve racconto è l'analisi lucida e spietata, su un giovincello di buona famiglia, con genitori distanti e troppo concentrati ad accumulare denari e bene, che vittima delle classiche crisi adolescenziali decide di "rinunciare" a vivere.
Una sorta di "nichilismo" che fa l'occhiolino al più classico Dostoevskij, ma che vede nel momento più alto del romanzo, piombare una femmina (descritta non come una bellezza Hollywoodiana) che riesce a risvegliare i sopiti sensi del nostro giovine eroe.
Moravia riesce come sempre a tratteggiare, anche fin troppo alcune volte, ogni dettaglio dell'azione, a centellinare le parole come fossero pallottole, per colpire e tener desta l'attenzione del lettore.
Per esempio, in questa breve opera, riesce a condensare in poche pagine una crisi di tutta un epoca, che riguarda un po tutte le epoche, con questa "distanza" tra genitori e figli, incomprensioni, gelosie, sopraffazioni, autoritarismo, ribellione......
Ho saputo che su lungotevere della Vittoria, a Roma, vi è la casa-museo, dello scrittore, ecco un buon posto dove andare una volta passata questa emergenza sanitaria mondiale!
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Una volontà di rinunzia e di abdicazione
Dopo Agostino (1943), Alberto Moravia torna a occuparsi dell’adolescenza ne “La disubbidienza” (1948).
Di fronte al giovane protagonista si spalanca il disagio del cambiamento in atto, che egli interpreta attraverso la disubbidienza (“La sua rabbia… Come se avesse avvertito l’inanità della violenza, essa si trasformò improvvisamente in una volontà di rinunzia e di abdicazione”), una reazione al tempo stesso spontanea e ragionata (“Forse, riprendendo a disubbidire su un piano più logico e più alto, egli non faceva che ritrovare un atteggiamento nativo e perduto”). Un processo che investe ogni dimensione vitale: la scuola; i genitori (“E voi perché mi avete fatto pregare tanti anni inginocchiato davanti il vostro denaro?”); il senso della proprietà e del possesso; il denaro, feticcio della società borghese. Infine la stessa vita (“Ora si era attaccato all’ultima parte del piano: la morte fisica”).
“Non mangiare: comprese ad un tratto che questa, fra tutte le disubbidienze, era la più grave, la più radicale, quella che maggiormente intaccava l’autorità familiare.”
All’autodistruzione si oppone tuttavia l’istinto di autoconservazione, un fiume sotterraneo che carsicamente affiora negli impulsi sessuali, indirizzati in un primo tempo verso la governante, poi verso l’infermiera che si occupa della sua malattia.
La scommessa della vita sembra legata alla capacità di normalizzare la trasformazione (“Gli pareva di aver trovato finalmente un modo nuovo e tutto suo di guardare alla realtà fatto di simpatia e di paziente attesa”).
Questo romanzo esalta le capacità analitiche di Moravia, che qui si avventano sia sul protagonista dell’età evolutiva, sia sui manufatti sociali che spesso strangolano l’individuo (“L’idea della morte come di un’operazione magica che gli avrebbe permesso di creare un mondo meno assurdo, più amabile e più intimo, in cui ogni cosa fosse giustificata dall’amore”).
Bruno Elpis
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L'adolescenza
"La disubbidienza" fa parte di quel ciclo di opere "tematiche" che caratterizzano l'opera di Moravia. Dopo aver letto "Il disprezzo" e "Gli indifferenti", posso dire che personalmente questo romanzo non è paragonabile agli altri due.
Pubblicato nel 1948, ci ritroviamo al cospetto di una famiglia borghese (la borghesia è una "categoria" a cui Moravia riesce difficilmente a rinunciare nelle sue opere...) composta da padre, madre e l'adolescente Luca.
L'adolescenza è una fase molto importante della vita ed ognuno di noi la vive in maniera molto personale. Quella di Luca diventa una vera e propria fase di ribellione. Abituato ad assecondare sempre il desiderio degli altri, dopo un episodio che segna particolarmente la sua vita, si ritrova a dover dare una svolta alla sua esistenza.
Per lui la rinuncia, la negazione e di conseguenza la disubbidienza diventano una condizione di vita necessaria. Da adolescente modello, con buoni voti a scuola, sempre disponibile nei confronti dei genitori e molto affezionato alle cose materiali, decide di cambiare tutto.
Ma non lo fa in maniera subito manifesta ed evidente, no, la sua disubbidienza è qualcosa che va al di là, che lo segna interiormente e ne porta poi le conseguenze esteriormente.
"Spesso si domandava perché mai si comportasse in quel modo; e si accorgeva di non poter trovare altro motivo che un puntiglio oscuro, arido, ingrato, del tutto negativo e però quasi insostenibile. "Perché faccio questo?" si domandava. Tra questi contrasti, intanto, il tempo passava."
Un Moravia per me insolito, meno piacevole rispetto agli altri ma pur sempre molto riflessivo. Inoltre ho notato un barlume di speranza che finalmente riesco a leggere in lui.
Leggere Moravia non è mai una perdita di tempo, ma sicuramente gli altri sono di un livello superiore.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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La disubbidienza
Luca, un sedicenne "gracile, soggetto a furie improvvise durante le quali il corpo stremato par bruciare le poche forze chi gli restano in parossismi di rivolta e odio", appare sempre più insofferente alle decisioni dei genitori.
Inizia una lunga lotta di ribellione, di rivolta, di disubbidienza non solo ai desideri dei genitori, ma anche disobbedienza alle regole della società e infine, la disubbidienza estrema, la disubbidienza alla vita.
Il romanzo assume così i tratti di un racconto della ribellione adolescenziale al mondo, una ribellione preparata in ogni sua fase e organizzata a puntino. Dopo la disubbidienza all'infanzia, con l'addio a tutti i ricordi, Luca abbandona ogni legame con la scuola, con i compagni di classe, riducendo al limite i contatti con i genitori. Culmine di questo addio alla società è l'abbandono ai soldi. Ma il percorso deve compiere ancora un passo e, ultima cosa che gli rimane, Luca vuole disubbidire alla vita. Ma il suo non è un desiderio suicida, anzi disdegna ciò, lui prosegue solo il cammino di odio nei confronti di ciò i genitori e la società gli impongono di fare e proseguirà fino allo stremo delle forze.
La conclusione è però speranzosa; dopo un crescendo drammatico, con la spettacolare descrizione del delirio, Luca si risveglia e, grazie ad una anziana infermiera, sembra rinascere scoprendo e comprendendo l'amore e ritrovando il gusto della vita.
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La resurrezione
Se ne "Gli indifferenti" Moravia metteva in crisi il mondo borghese, ne "La disubbidienza" la crisi si concede un margine più ampio, prendendosela con tutto il mondo esterno. La crisi (La Disubbidienza) non segnerà una definitiva rassegnazione, incomprensione e abbruttimento, come troviamo a tonnellate nella letteratura europea del periodo, ma segna una nuova rinascita -o meglio- un ritorno all'atto di vita naturale dell'essere vivente umano, più irrazionale, più istantaneo e, se vogliamo, più puro. E' un romanzo, se vogliamo, interno: pur essendo stato comparato ad "Agostino", anch'esso narrante vicende adolescenziali, gli eventi non toccano se non la realtà psichica di Luca (il protagonista) mentre Agostino, evidentemente, è toccato e mutato da una realtà (quindi esterna) che non riusciva a fronteggiare a causa dell'inesperienza. Sono presenti sia il sesso che la borghesia e la rivoluzione: la borghesia è l'istinto di annientamento, ciò che spinge Luca a voler troncare l'esistenza, il sesso diventerà la vita e lo tratterrà in terra; inoltre, segnerà il trapasso da infanzia a età adulta. La rivoluzione è, appunto, questo passaggio: la sintesi psicologica del sesso da distruzione a costruzione.