La clessidra d'avorio
Letteratura italiana
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Un’infinita partita a scacchi
E’ l’anno 1592 e due uomini avviano una partita a scacchi. Così comincia La clessidra d’avorio e così termina, con la vittoria del bianco sul nero. Ma, finisce veramente questo scontro, con la diciassettesima mossa con la quale l’alfiere bianco posizionato nella casella e2 dà scacco matto?
No, non termina e continuerà fino a quando l’uomo, questo microcosmo continuerà a cercare la spiegazione della sua esistenza.
La narrazione, sviluppata su tre diversi piani temporali (a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, agli inizi del XIX secolo e in epoca attuale), è tutto un susseguirsi di avventure per porre le mani sulla clessidra d’avorio, oggetto misterioso proveniente dall’antico Egitto, l’unico in grado, assieme ad altri analoghi, a misurare il tempo esattamente per consentire all’alchimista di trasformare l’infima materia in prezioso oro, ma soprattutto per ottenere quell’Elisir di vita eterna, in grado di porre l’uomo al sicuro della sua predestinata caducità.
E’ un rincorrere continuo della conoscenza, dell’esperienza, uniche a consentire il progresso in un’evoluzione delle capacità intellettive che serva a penetrare il profondo e insoluto mistero della vita.
Il diario della ricerca della clessidra tenuto dal bolognese Giacomo Bandini, colui che dà scacco al re nero del grande Paracelso, si snoda in un percorso di conoscenza che lo conduce da Venezia al Cairo, indi di nuovo a Venezia e infine a Roma, dove termina. Si intercalano fra i giorni riportati dalle pagine le avventure di due nobili francesi, padre e figlio, che, in epoca napoleonica vanno alla ricerca di un amico scomparso, in un itinerario che come, per Giacomo Bandini, troverà la realizzazione dei loro scopi a Roma, fra mille peripezie, in una serie d’avventure che non solo avvincono, ma addirittura affascinano.
E verso la fine del libro si gettano le basi di un nuovo viaggio che compiranno, ai giorni nostri, un discendente del Bandini, dallo stesso nome, e un altro di uno dei due nobili francesi, il figlio, pure lui con identico nome e cognome.
Stranezze degli autori, coincidenze artificiose? Assolutamente no; sono i protagonisti di una storia infinita, di un’interminabile partita a scacchi fra il proprio io e il desiderio di dare una risposta definitiva al perché dell’esistenza.
Questo romanzo, scritto veramente in modo eccellente, perché non è facile intercalare nella narrazione epoche diverse senza far venir meno l’interesse, è in pratica una grande metafora, un’opera che a prima vista può essere scambiata per una spy story, o per un affondo nel mondo oscuro dell’esoterismo, ma se c’è una magia qui c’è solo quella di due autori che hanno saputo creare un meccanismo perfetto ad incastri per raccontarci del desiderio dell’uomo di andare oltre il possibile, alla ricerca inconscia dell’immortalità.