Narrativa italiana Romanzi La città di Miriam
 

La città di Miriam La città di Miriam

La città di Miriam

Letteratura italiana

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Conosciuto soprattutto come scrittore e poeta del "mondo dei confini", dell'elegia contadina e di una prosa lirica musicale e intima, con "La città di Miriam" - Premio Fiera Letteraria 1972, e terzo capitolo della trilogia sul personaggio di Stefano Marcovich - Fulvio Tomizza per la prima volta esce dalle atmosfere dello "scrittore di frontiera", calando il suo protagonista, profugo dall'Istria, nella Trieste "città autunnale", "città delle cupole dei platani", ospite presso la famiglia dei Cohen, la cui figlia Miriam diventerà sua moglie.



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La città di Miriam 2014-05-18 04:03:18 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    18 Mag, 2014
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Fra amore e tradimenti

“Credo di sapere tutto sulle donne, cosa pretendono, di che cosa si accontentano, dove vogliono arrivare, compreso il limite cje loro stesse non pensavano di abbattere. Perché, inversamente a loro, io non perdo il controllo, e ho più appreso dalle recenti disavventure che dai passati successi. Mi sciamano davanti senza mai giungere a toccarmi direttamente, come gli odori e i suoni durante l’ovattamento.”

Corre l’anno 1972 quando Fulvio Tomizza pubblica La città di Miriam, terzo romanzo, dopo La quinta stagione e L’albero dei sogni, in cui è protagonista Stefano Marcovich, giovane profugo istriano di origini contadine, e che rappresenta, sotto molti aspetti, l’autore stesso. I riferimenti personali, infatti, hanno riscontri frequenti con la vicenda narrata.
In particolare, come nel libro, Tomizza nel 1954, quando la Zona B del Territorio Libero di Trieste, compresa Materada dove risiede, passa alla Jugoslavia, lui emigra, viene in Italia e si trasferisce a Trieste. È lì che conosce Laura Levi, di cui si innamora e che poi sposerà ed è sempre a Trieste, che finirà per eleggere a sua dimora, che inizia a occuparsi di scrittura. Infine, precisi e puntuali i riferimenti, i tradimenti coniugali presenti nel libro non sono frutto di pura invenzione, perché Tomizza, benché amasse la consorte, si dedicava a non infrequenti scappatelle.
E se è vero che nel lavoro di qualsiasi scrittore ispirazioni e svolgimenti sono frutto di esperienze personali, la circostanza è ancor più probante nel caso dell’autore istriano.
Anche in questo libro è presente quel senso di non appartenenza che accompagnò Tomizza per tutta la vita, poiché l’Italia altro non era che un paese che lo ospitava, con cui condivideva la lingua e anche una parte della cultura, ma lui restò sempre profondamente istriano, legato a quella terra aspra e selvaggia eternamente di frontiera.
Ma La città di Miriam non è solo un romanzo sull’impossibilità di sentirsi membro naturale e a tutti gli effetti di una nuova patria, è anche, soprattutto, un’opera sull’amore coniugale, su quei tradimenti di cui Miriam è vittima incolpevole, la dolce serena Miriam, un’affascinante figura femminile tratteggiata con sincero affetto e anche devozione.
Non è rara l’ironia che pervade il romanzo, come quando il protagonista cerca delle giustificazioni, puerili e improbabili, per i suoi tradimenti e devo dire che, considerata la vena autobiografica, pur non avendo potuto conoscere Tomizza, sono portato a immaginarlo come un uomo in bilico fra felicità e infelicità, fra soddisfazione e insoddisfazione, insomma un essere umano, strappato a forza dalle sue origini, trapiantato in un mondo vicino territorialmente, ma lontano dai suoi usi e costumi, uno straniero a tutti gli effetti, anche a se stesso.
Di gradevole lettura (lo stile di Tomizza alterna sempre una narrazione fluida, a volte cruda, con parentesi di di dolcezze poetiche), La città di Miriam è un romanzo che merita di essere letto, capace com’è di venire incontro a molte delle aspettative di un normale lettore, che di certo, nel prendere le difese di Miriam, non si sentirà tuttavia capace di biasimare con durezza Stefano.

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