L'ultimo arrivato
Letteratura italiana
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Opinioni inserite: 5
Giuanin pipeta
Altro bellissimo romanzo all'altezza di Io resto qui. Balzano spiega alla fine del racconto il suo modo di scrivere: parla con la gente, raccoglie testimonianze, storie vere e poi le rielabora, le impasta, le mescola e ne esce un racconto bellissimo, vero e coinvolgente.Un po' come ha fatto Fabio Geda per il suo libro Nel mare ci sono i coccodrilli. La voce di Ninetto è meravigliosa, è così bella che dispiace vederlo crescere. Tutte le pagine di lui adulto, uscito dal carcere, le avrei stracciate dalla prima all'ultima, eliminato i salti temporali e avrei fatto terminare il libro alla voce fresca del bambino. Il fatto che le ultima pagine siano scritte dal nonno toglie qualcosa, ma non molto, il libro è proprio bello.
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In cerca di fortuna
In un’epoca di grandi migrazioni, dall’Africa alle nostre coste, non poteva mancare un libro che parlasse di un fenomeno analogo, proprio degli anni cinquanta quando masse di mano d’opera si trasferirono dal nostro meridione al nord in cerca di lavoro, e fra questi abbastanza di frequente c’erano dei minori in compagnia di un parente o di un paesano. L’emigrazione infantile pertanto costituisce un’altra caratteristica di questo flusso sud-nord, coinvolgendo migliaia di ragazzini che spinti dalla miseria e sorretti dalla speranza lasciavano i genitori e la piccola realtà in cui fino ad allora avevano vissuto per approdare alle metropoli dell’Italia settentrionale.
In questo contesto Marco Balzano ci racconta la storia di Ninetto Giacalone, conosciuto da tutti come “pelleossa” per la notevole magrezza dovuta agli stenti patiti, ma ciò nonostante sostanzialmente sano, a differenza della madre che, vittima di un ictus cerebrale, non è mai riuscita a tornare alla normalità ed è condannata a vivere, anche per decisione del marito, in un ospizio. Di questo incidente di salute vittima indiretta è stato anche Ninetto, costretto ad abbandonare la scuola per lavorare nei campi e infine partito per Milano insieme con il paesano Giuvà, un bonaccione che non si tira mai indietro quando c’è da faticare. A causa della sua minore età gli inizi sono difficili, con lavori precari fino alla grande occasione, cioè l’assunzione all’Alfa Romeo. Ovviamente la storia non si ferma qui, ma prosegue con tanti eventi, fra cui uno che segnerà in modo indelebile la sua esistenza, ma ritengo non siano necessarie altre notizie in merito, lasciando al lettore il piacere di scoprirle.
Devo dire che, dopo aver letto Resto qui, mi attendevo di più, soprattutto speravo che l’autore non cadesse in certi stereotipi dell’immigrazione meridionale al nord, ma si vede che è difficile raccontare qualcosa di nuovo in proposito, così che il romanzo, fra l’altro commovente anche oltre misura, si presenta come un prodotto ben confezionato, ma incapace di lasciare una traccia significativa in chi legge. Se la trama appare più gratificante dei contenuti, perché maggiori approfondimenti avrebbero non poco giovato all’opera, di pregevole resta lo stile, snello, immediato, una caratteristica dell’autore che ho riscontrato anche in Resto qui. L’ultimo arrivato è stato premiato con il Campiello e non a caso, perché è un’opera per certi versi furba e accattivante, che tuttavia riesce superiore, come qualità, a quella media, invero modesta, dei libri editi attualmente.
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il valore della cultura
Una piacevolissima scoperta. Preso a caso al supermercato, si è rivelato un libro scorrevole, piacevole, emozionante, dolce, intenso, denso di sentimenti. In primo piano la profondità delle persone che hanno vissuto drammi personali e familiari, la debolezza e la forza dell'essere umano, il valore della cultura, l'importanza di trasmettere la propria storia alle generazioni successive quale insegnamento di vita e per non dimenticare gli sforzi di chi ci ha preceduto. Unica cosa mi ha dato un po' fastidio l'uso - in tutto il romanzo - del pronome "gli" riferito al genere femminile, ma forse è per calare anche la "parlata" nel contesto sociale di tutta la vicenda.
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Premio Campiello 2015
“L’ultimo arrivato” di Marco Balzano è Ninetto (“Prima di chiamarmi pelleossa, mi chiamavano strillone”), che racconta la sua storia di immigrato a Milano.
Cresciuto nella povertà (“Eravamo sempre sporchi di strada”) e nel disagio familiare (“Mamma mia stava ogni giorno più stordita”), Ninetto adora Vincenzo, il suo insegnante delle scuole elementari, che gli comunica l’amore per la poesia grazie a Pascoli e l’interesse per l’ideologia grazie a Rousseau.
Senza che lui ne comprenda appieno le ragioni, il padre affida Ninetto a un compaesano, che lo conduce nella Milano del miracolo economico (“Quando la miseria ti sembra un cavallone che ti vuole ingoiare è meglio che fai fagotto e te ne parti, punto e basta”), ove il bimbo intraprende diverse attività lavorative (“Ormai sei grande, tieni tredici anni compiuti!... una frase che se la dici oggi chiamano il Telefono Azzurro”).
Un matrimonio d’amore sarà l’occasione per ritornare provvisoriamente al paesello (“Il viaggio lungo, mio padre trasandato, il matrimonio come due ladri, mamma mia abbandonata…”), ma la vita attende il giovane a Milano.
Poi Ninetto, per gelosia, commette una sciocchezza imperdonabile (“Poi non ho più pianto fino a quando sono entrato in carcere”)…
Il romanzo è commovente (“Il dolore tiene insieme più di ogni altra cosa”) sia perché attraversa efficacemente le dinamiche psicologiche del protagonista e i fenomeni sociali - l’emigrazione, il caporalato – che i corsi e ricorsi storici tragicamente ripropongono, sia perché Marco Balzano, milanese e docente di scuola media, riesce a identificarsi pienamente nel suo personaggio siciliano e ingenuamente innamorato della cultura (“Questo signor Camus autore de Lo straniero… Come ha fatto a raccontare la mia storia raccontandone una sua”).
Giudizio finale: retrospettivo, ma implicitamente attuale, vibrante
Bruno Elpis
P.S. A questo link potete leggere l’intervista che ho realizzato con l’autore http://www.brunoelpis.it/le-interviste/1288-intervista-a-marco-balzano-vincitore-del-premio-campiello-2105
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Ninetto e la sua difficile esistenza
Un libro che narra della vita difficile di Ninetto, bambino di 9 anni che si trasferisce dalla Sicilia a Milano nel 1959. Non viene tralasciato niente di quelle che sono le sensazioni più intime del protagonista,come l'angoscia per aver lasciato gli studi e il suo adorato maestro Vincenzo, la povertà estrema della sua famiglia, le condizioni pietose in cui è costetto a vivere appena arrivato a Milano. Allo stesso tempo vengono esaltate però la semplicità e la notevole forza di volontà e di adattamento di Ninetto , i tanti lavori svolti prima di entrare all'Alfa di Arese, i primi approcci con Maddalena che poi diventerà sua moglie e poi l'autore alterna momenti del presente e del passato, con un'ombra che graverà per sempre nella vita di Ninetto a causa di un episodio che ne segnerà il resto dei suoi giorni.
Concludo estrapolando un passaggio, in cui si parla di amicizia ,che mi ha colpito(p85):
...""amici ne avevo pochi, anzi pochissimi, e mi confermavano sempre più che mio padre Rosario aveva ragione"gli amici non esistono, esistono solo persone con cui passare un po' di tempo quando non vuoi pensare alle scassature di minchia"...amici veri mi sa che si può essere solo da picciriddi , quando si è puliti dentro e non si fanno calcoli di interesse né altre oscenità""
Molto intenso, bello