L'ultima partita a carte
Letteratura italiana
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La Voce
Il sergente Rigoni non delude mai. Si potrebbe dire: ma come, un altro libro sull’ultima guerra? Cos’altro può aggiungere a quanto ha già raccontato in altre opere? Aggiunge il punto di vista di un ragazzo di quei tempi di fronte al fascismo e alla guerra. Per molti di noi Rigoni è un vecchio signore che vedevamo di tanto in tanto in qualche intervista televisiva, a rievocare il vecchio Novecento. Ci capita così di dimenticare che aveva appena ventun anni quando partì per la Russia, giovane ma già ricco di esperienza, nato com’era in un epoca e in un ambiente naturale che faceva diventare adulti in fretta. E fin qui, niente di straordinario: erano tantissimi i giovani mandati allo sbaraglio al fronte. In fondo l’Emilio Lussu di “Un anno sull’altipiano” era poco più grande di lui. Ma il punto è che Rigoni riesce davvero a farci sentire, sessant’anni dopo, la sua condizione di ragazzo di fronte ad un gioco più grande di lui, con tutte le sue ingenuità, il suo candore, cosa che traspare molto meno leggendo il bravissimo Lussu.
Il tratto distintivo di Rigoni, a mio avviso, è il fatto di essere un letterato atipico, specie nel contesto di una letteratura “barocca” come quella italiana. Non certo perché gli manchi una vasta cultura (Ariosto e Dante nel suo zaino di soldato al fronte, per intenderci… e noi che non abbiamo mai il tempo di leggere, poverini), ma perché di quella cultura non fa sfoggio, ma strumento che gli fornisce la parole giuste per dire ciò che ha nel cuore. Non conosco un altro scrittore italiano capace di aprirsi così, senza falsa modestia ma anche senza timore di confessare la sua ingenuità. Mario Rigoni Stern non sarà stato il più raffinato dei nostri prosatori del Novecento, ma è la voce più umana, quella che ha dimostrato quali altezze può raggiungere un uomo di lettere quando mette il suo sapere e il suo talento al servizio del lettore, offrendo la sua testimonianza di ciò che è stato.
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La storia scritta da chi l'ha vissuta
“Quando arrivai al Discorso della Montagna tutto mi apparve chiaro, mi sembrava di capire senza alcuna ombra. Era la fame che mi aveva portato na questa chiarezza di pensiero? Capii che gli uomini liberi non erano quelli che ci custodivano, tanto meno quelli che combattevano per la Germania di Hitler. Che noi lì rinchiusi eravamo uomini liberi.”
Questo piccolo volume (sono 107 pagine) ha una sua precisa valenza, non solo nell’ambito della produzione letteraria di Mario Rigoni Stern, ma anche per comprendere che cosa effettivamente avvenne nella seconda guerra mondiale, quale doloroso e infinito calvario dovettero compiere gli italiani per le follie di un regime già morente ancor prima dello scoppio del conflitto.
E’ la storia vista e scritta da chi l’ha vissuta, una testimonianza che nella narrazione prende corpo, partendo da singoli episodi, per giungere, grazie alle riflessioni equilibrate effettuate a distanza di tempo, a una visione globale di rara efficacia.
E’ il lavoro di un umile, di un protagonista suo malgrado che cerca di capire, che vuole che non si dimentichi.
Ci sono dei passi illuminanti, metafore migliori di qualsiasi trattato o saggio storico, come questo, un breve discorsetto durante il commiato dallo zio di Torino:
“zio,-gli dissi,- vedrai che finirà presto. Quando noi arriveremo in Russia sarà già tutto finito. Mi guardò in silenzio. Sussurrò: - ragazzo, tu parti perché sei un soldato. Ti auguro solo di tornare. Queste ultime parole scesero pesanti e riprendemmo la partita. Loro, quelli cui andavo a combattere, avevano il settebello, gli ori, gli assi, noi le scartine. Le nostre figure erano già giocate.”
Dai preparativi, con la vile aggressione alla Francia, alla campagna di Albania, a quella di Russia, alla dura prigionia nei lager tedeschi, è un susseguirsi di passi dolorosi, di un progressivo sordo rancore che s’impossessa dello scrittore, che comprende quanto il ventennio fosse stato solo un palcoscenico di menzogne, di false verità, e come l’onore e la patria, così frequenti nei discorsi fascisti, fossero parole buttate lì, tanto per riempire le orecchie di ignari cittadini, ora vittime di un inutile sacrificio.
Da leggere, per riflettere, per diffidare di chi parla di grandezze, di chi si ciba di retorica, di chi ambisce a essere un uomo della provvidenza.