L'ultima famiglia felice
Letteratura italiana
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Recensione della Redazione QLibri
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Linee parallele
Matteo Stella è un padre di famiglia permissivo, votato al dialogo e alla comprensione. Ha educato i figli in un clima sereno, senza mai alzare la voce o peggio ancora le mani.
Vede i suoi amati come linee parallele, ognuna la sua vita ed il proprio carattere, ma alla fine, in barba ad ogni logica geometrica, è convinto che queste linee siano destinate ad incontrarsi, fosse anche all’infinito.
Per lui è normale fare da scudo, gestire insoddisfazioni, insicurezze ed ogni malumore. Non si accorge però che il granitico muro eretto con tanto sforzo e costituito da innumerevoli mattonelle armoniche sta cominciando a presentare preoccupanti crepe.
In poche ore l’idillio fatto di solidarietà e rispetto reciproco sembra non stare più in piedi; la ribellione del figlio minore Stefano incrina sempre di più il rapporto a quattro di cui fanno parte anche Anna, la moglie pubblicitaria ben poco presente, e Eleonora, ragazza sveglia alle soglie della maggiore età ed alle prese coi primi amori.
Il sacrificio di Matteo perpetuato attraverso il confronto e mai mediante l’ostentazione dell'autorità non è servito, quella felicità effimera alla fine si è volatilizzata, più debole di una farfalla esposta al gelo dell’inverno.
Convinto di vivere in un nucleo sano, lontano dai perbenismi di facciata, dall'essere estranei a una middle class in cui la felicità è regolata dal potere d’acquisto, Matteo si ritrova disilluso ed incapace di accettare l’amara realtà.
Il suo problema sta nel rifuggire la battaglia, nell’alzare difese senza affrontare con decisione le avversità. Quel pizzico di severità indispensabile gli è sconosciuto, e mentre i figli scivolano via come acqua tra le dita sembra deteriorarsi anche il rapporto con la moglie, già indebolito anni prima da un episodio spiacevole.
La mitezza di Matteo non riesce a trasformarsi in qualcosa di più utile, è vittima e carnefice di se stesso, vuole farsi carico di tutto complice l’assenza della compagna, finendo col perdersi tra le varie esigenze, lasciando ad aleggiare solo l’insoddisfazione.
Simone Giorgi centra l’involuzione di un rapporto in deteriorarsi con incredibile capacità analitica. Lo fa portando a galla le colpe di un uomo convinto di agire a fin di bene, ed invece costretto a perdere di vista il proprio ruolo di educatore, mentore, amico, complice, maestro, proprio per via delle proprie certezze.
In tal senso i dubbi diventano macigni e l’autore elegge gli Stella come simbolo distorto dell’attuale valore famigliare, in cui si dialoga senza aver nulla da dire, in cui si ride perché è importante dare un’immagine positiva, ma in realtà chiacchiere e dentature perfette celano indifferenza nel migliore dei casi, invidia e livore nel peggiore.
Una visione estrema e pessimista, ovviamente da non leggersi come interpretazione universale.
Giorgi demolisce alcune facciate attinenti alcune famiglie, scovando dietro di esse il vuoto.
Solidarietà, affetto, compattezza, comprensione e amore fagocitati, sviliti da un mero, egoistico e primitivo bisogno di sopravvivenza, in cui il branco difende e permette di sussistere, ma all'interno dello stesso vigono leggi spietate impossibili da regolare solo con l’indulgenza.
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Bisogno di autorità e valori.
Matteo Stella è un padre di famiglia che fa del dialogo e della comprensione la sua colonna portante. Egli non è semplicemente un uomo mite, semplice, ragionevole ed affettuoso, egli VUOLE essere tutto ciò. La sua realtà è infatti velata da quel velo di apparenza necessario ed indispensabile a far si che il mondo esterno – ed anche lui stesso – concepisca la sua famiglia quale perfetta. Il suo metodo educativo è a suo giudizio infallibile perché strutturato sul rispetto delle inclinazioni altrui; ciascuno deve poter esprimere liberamente le proprie emozioni, il proprio carattere, i vari malumori nella consapevolezza di poter immancabilmente fare affidamento sul suo saper mediare, sul suo non alzare mai le mani, in forza della teoria delle rette parallele, principio in base al quale, a prescindere da ogni logica geometrica, queste linee sono destinate ad incontrarsi.
Ecco perché per lui è normale fare da scudo, affrontare insoddisfazioni e insicurezze facendo da catalizzatore, senza mai lasciarsi andare, ma solo e soltanto assorbendo. Questo suo agire però ha dei gravi e feroci effetti collaterali. In primo luogo ne è talmente assorto da essere cieco alle conseguenze, il muro che ha eretto con tanto sforzo è ricco di crepe e giorno dopo giorno minaccia incessantemente di voler crollare, cosa che di fatto accade, grazie al moto di ribellione instaurato dal tredicenne Stefano, atto che fa da spirale trascinando nel vortice la sorella Eleonora e la ben poco presente – ed inappagata – moglie Anna. In secondo luogo questo suo agire senza mai affermare autorità ha creato solo una parvenza di felicità, Matteo ha insegnato ai suoi cari a fare a meno dell’ambiguità, a cullarsi del (e con il) frivolo per non doversi veramente parlare e non dover tirar fuori quelli che sono i problemi, le difficoltà quotidiane, ha fatto si che i suoi cari comunichino come sistemi operativi, ha insegnato loro a rimuovere le situazioni spiacevoli e non ad affrontarle, gli ha trasmesso l’idea del lasciar perdere perché tanto problema non c’è. Rimuovendo l’ambiguità ha privato dell’aria all’imprevisto, spazio in cui passano il non detto, le intenzioni: senza questo, non c’è vera comunicazione, non c’è speranza di verità.
Il risultato finale qual è? E’ quello di una famiglia che ha come unico momento di condivisione la cena, idealizzata come luogo di unione familiare e di fatto cerimoniale in cui gli stessi stanno insieme parlando di tutto e non parlando di niente perché non vale la pena di discutere con queste persone, che dovrebbero essere la “mia” famiglia, delle cose che mi stanno a cuore. Quelle è bene che me le tenga per me, in tale sede non vi è altro fine se non far passare il tempo primeggiando la noia. E Matteo, il patriarca? E’ effimero, invisibile, inconsistente, vacuo. Che ci sia o non ci sia per i tre commensali non fa differenza.
Iniziano altresì le riflessioni di Stella senior che non riesce proprio a capire come gira il mondo. Non comprende perché l’autorità della moglie venga percepita da Stefano e Eleonora quale giusta tanto che lei che si comporta da “stronza” sia ai loro occhi buona mentre la sua tolleranza, il suo cercare di aiutarli evitando i litigi venga eletto quale male, finendo, lui che dovrebbe rappresentare il bene, con l’essere lo “stronzo”. Perfino l’allenatore di calcio, rozzo, maleducato è migliore di lui. Perché? Perché? Perché? Dove ha sbagliato? Che non abbia davvero capito nulla della vita e della realtà? E perché non riesce a far niente per quel grido all’autorità che il più piccolo dei suoi discendenti tanto gli richiede con quelle palline scagliate contro il muro, con quelle risposte non pronunciate alle interrogazioni, con quel “qui papà non può entrare”?
Ne “L’ultima famiglia felice” Simone Giorgi ricostruisce con maestria quella che è la quotidianità di tante realtà familiari, demolisce certezze ed esteriorità per portare a galla un sistema fallace, carente, lacunoso. Quella descritta è, infatti, una verità in cui i valori sono abbandonati per le apparenze, dove si parla senza aver niente da dire, si ride per celare l’indifferenza, l’invidia, il malessere, il malcontento, il vuoto.
Un romanzo di spessore, capace di far riflettere il lettore, di disturbarlo mettendo in luce quelle zigrinature che i tanti preferiscono obliare, dimostrando quanto ancora l’uomo debba imparare dai propri errori.
Un testo estremo, forse, ma sicuramente da leggere. Stilisticamente fluente, che si ultima in un paio di giorni e che non lascia indifferenti.