L'oro del mondo
Letteratura italiana
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Per noi stessi
L’oro del mondo è un romanzo atipico nella produzione letteraria di Sebastiano Vassalli, un lungo racconto che a volte entusiasma e altre invece sconcerta, sospeso com’è fra ironia, satira, dissacrazione, il tutto accompagnato da una vena anche di struggente malinconia. Dovrebbe essere anche una parziale autobiografia, con particolare riguardo agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, in un’Italia distrutta, un paese in cui si muove come tante ombre un popolo di cenciosi, disposti a fare qualsiasi lavoro pur di trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Vassalli, abbandonato da un padre imbroglione e infame e da una madre che sogna un’eredità assistendo un capitano di marina invalido, è in pratica allevato dallo zio Alvaro, un candido che tuttavia ha compreso, a sue spese, come vada il mondo. Al riguardo è particolarmente significativo un dialogo con il nipote che si trova a pagina 150: ‹‹Perché viviamo?››, domandai. ‹‹Per noi stessi, – rispose lo zio Alvaro. – ‹‹Per la nostra memoria: e per che altro?›› Spiegò: ‹‹Per quelle poche pagliuzze di felicità che rimangono in fondo alla memoria, come l’oro sul fondo della bàtea…››. Può sembrare una filosofia spiccia, a buon mercato, ma il senso della vita è poi questo, né più, né meno, e qualunque cosa se ne dica, è proprio di tutti noi. É solo la memoria che ci fa capire di aver vissuto, una serie di ricordi spesso impalpabili, sovente per nulla piacevoli, ma che, nei pochi casi in cui abbiamo toccato, magari per un attimo, la felicità, sono la misura di quanto la vita meriti di essere vissuta. Ma non c’è solo questo orientamento filosofico, perché è pure presente e determinante un’impietosa descrizione di noi italiani, capaci in un giorno e anche meno di trasformarci tutti da fascisti in antifascisti, restando però sostanzialmente quel popolo arruffone, menefreghista e in cui ognuno guarda solo se stesso. Se la figura del padre di Vassalli, grande fascista prima e durante la guerra, e rimasto sostanzialmente tale anche dopo è esemplarmente negativa, non lo sono di meno altri personaggi che si agitano, scalpitano, sgomitano per conquistarsi un posto al sole. In tal modo quella che doveva essere una sia pur parziale autobiografia, diventa l’analisi del trascorso di un’intera nazione, vista nel dramma del passaggio dal fascismo alla democrazia, e caratterizzata, allora come oggi, da un endemico malcostume e da un diffuso trasformismo, il quadro di una collettività che sembra incapace di una evoluzione positiva. Oggi, come un tempo, si seguono i miraggi, si sogna un capo a cui affidare incondizionatamente il proprio destino, e il desiderio principale è quello della ricchezza facile, quello del denaro, dell’oro, come era cercato da dei poveri disperati negli anni tristi del dopoguerra, ore e ore di lavoro per delle pagliuzze che non ripagavano la fatica, ma che perpetuavano l’illusione.
Con la fine del conflitto sembrava tutto cambiato, ma, come la polvere, sollevata e non raccolta che poi si deposita nuovamente, senza aver fatto i conti con il passato nulla può cambiare; siamo sempre stati così e così saremo sempre, sembra dirci Vassalli, un amaro giudizio di cui nemmeno ci vergogniamo.
Da leggere, ovviamente.