L'ombra delle colline
Letteratura italiana
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Alla ricerca di se stesso
L’ombra delle colline potrebbe sembrare, di primo acchito, un romanzo che parla delle inquietudini e della disillusione di un giovane che ha vissuto, quando era ancora poco più di un bambino, la dura e crudele lotta partigiana. Nel viaggio che, attraverso l’Italia riporta Stefano, a guerra ormai finita da tempo, al natio Piemonte in fondo per ritrovare se stesso, si innesta la memoria di quel periodo da adolescente che lo ha così condizionato, soprattutto per un episodio, ricorrente nei suoi incubi notturni, in cui quasi per gioco uccide un tedesco con la rivoltella sottratta al padre, colonnello dell’esercito che ha vissuto l’8 settembre 1943 come il giorno del crollo di ogni certezza. Nel viaggio è accompagnato dalla sua ragazza, Laura, Lu, con cui è instaurato uno strano rapporto, poiché lui è naturalmente portato a non fidarsi.
Come credo sia possibile capire per ogni lettore abituato a fare riflessioni pagina dopo pagina, questo viaggio è certamente geografico, ma soprattutto intimo, è una ricerca di se stesso, è il tentativo di metabolizzare il passato per poter continuare una vita senza l’oppressione di colpe vere o presunte. Il tema non è certo facile da svolgere, perché presuppone una capacità di analisi introspettiva di particolare difficoltà, tanto più che si tratta di esporla in modo da renderla comprensibile ai più. Lo stile è asciutto e questo aiuta non poco; tuttavia, pur riconoscendo ad Arpino indubbie qualità, il tentativo è solo in parte riuscito. Grande merito, invece, gli deve essere attribuito per la descrizione di quel senso di spaesamento che prese gli italiani l’indomani dell’8 settembre, con il crollo di ataviche certezze così ben esposto nel caso del padre colonnello e con le difficoltà di una scelta consapevole fra andare in montagna e combattere i tedeschi, o aderire alla Repubblica Sociale Italiana, tanto è vero che Stefano, mentendo sulla sua età, prima indossa la camicia nera, poi passa ai partigiani soprattutto perché fra questi c’è l’amico d’infanzia Francesco.
Ci troviamo quindi di fronte a un’opera di particolare e rilevante impegno che si presta a diverse interpretazioni, ma quella principale, vale a dire la perdita del senso del tempo, fatto di tanti quadri non combacianti, slegati fra loro, propri di chi è stato catapultato dall’adolescenza alla drammatica realtà di una guerra civile, è solo in parte comprensibile e accettabile nella sua esposizione. Ciò non toglie che L’ombra delle colline sia meritevole di essere letto e proprio per questo mi sento di consigliarlo.
Indicazioni utili
Dimmi come sarebbe...
Romanzo mirabilmente introspettivo che si percepisce autobiografico soprattutto dal punto di vista delle sensazioni, fra ricordi emersi e rimossi.
Leitmotiv è un senso di disillusione che sconfina nel mal di vivere per quel che riguarda il presente (gli anni del boom economico in Italia), mentre i conti con le speranze disattese e le aspettative della prima giovinezza non tornano.
La trama si dipana attraverso due filoni: quello di un uomo irrisolto e inadatto al mondo, per quanto professionalmente realizzato, e quello dello stesso protagonista non ancora adolescente, sullo sfondo delle colline piemontesi dove sta la casa del nonno materno, impregnata di atmosfere gattopardiane.
Sono, quelli del passato, gli anni della guerra, dell'umiliazione di una nazione in ginocchio e dalla parte sbagliata dopo la caduta del Fascismo, della ricerca di riscatto attraverso la Resistenza.
C'è il rapporto col padre, colonnello meridionale integerrimo e spezzato dagli eventi, quello con la sua donna, non meno tormentato e fallimentare, malgrado l'adorazione incondizionata di lei, e quello con l'amico d'infanzia, compagno tra le file dei partigiani, figura salvifica, che con le parole schiette di uno “che non ha studiato” riuscirà ad aprire uno spiraglio di speranza, prendendo pacatamente atto di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato:
“Noi: spenti come fiammiferi, anche se ci guardiamo bene dal riconoscerlo, anche se romperemmo il muso a chi osasse dircelo... Non abbiamo saputo far giustizia, e ormai nessuno ce la può regalare. Quindi: pace ai popoli”.
Lo stile di Arpino è magnetico e la scrittura intreccia con maestria la voce densa, vagamente sensuale e a tratti ermetica dell'adulto con quella fresca e ingenua del ragazzino.
Le pagine più alte sono affreschi impeccabili di luoghi e personaggi, quelle più intense sembrano scritte con occhi lucidi, cariche come sono di un'emozione filtrata che diventa quasi poesia:
“La bambina, la bambina, parlane!, parla di lei... Non stare zitto così... Dimmi come sarebbe se fosse estate, se fosse qui...”.