Narrativa italiana Romanzi L'isola dell'abbandono
 

L'isola dell'abbandono L'isola dell'abbandono

L'isola dell'abbandono

Letteratura italiana

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Pare che l’espressione "piantare in asso" si debba a Teseo che, una volta uscito dal labirinto grazie all'aiuto di Arianna, anziché riportarla con sé da Creta ad Atene, la lascia sull'isola di Naxos. In Naxos: in asso, appunto. Proprio sull'isola di Naxos, l'inquieta e misteriosa protagonista di questo romanzo sente all'improvviso l'urgenza di tornare. È lì che, dieci anni prima, in quella che doveva essere una vacanza, è stata brutalmente abbandonata da Stefano, il suo primo, disperato amore e sempre lì ha conosciuto Di, un uomo capace di metterla a contatto con parti di sé che non conosceva e con la sfida più estrema per una persona come lei, quella di rinunciare alla fuga. E restare. Ma come fa una straordinaria possibilità a rivelarsi un pericolo? E come fa un trauma a trasformarsi in un alibi? Che cosa è davvero finito, che cosa è cominciato su quell'isola? Solo adesso lei riesce a chiederselo, perché è appena diventata madre, tutto dentro di sé si è allo stesso tempo saldato e infragilito, e deve fare i conti con il padre di suo figlio e con la loro difficoltà a considerarsi una famiglia. Anche se non lo vorrebbe, così, è finalmente pronta per incontrare di nuovo tutto quello che si era abituata a dimenticare, a cominciare dal suo nome, dalla sua identità più profonda… Dialogando in modo esplicito e implicito con il mito sull'abbandono più famoso della storia dell’umanità e con i fumetti per bambini con cui la protagonista interpreta la realtà, Chiara Gamberale ci mette a tu per tu con il miracolo e con la violenza della vita, quando ci strappa dalle mani l'illusione di poterla controllare, perché qualcosa finisce, qualcuno muore o perché qualcosa comincia, qualcuno nasce. E ci consegna così un romanzo appassionato sulla responsabilità delle nostre scelte e sull'inesorabilità del destino, sui figli che avremmo potuto avere, su quelli che abbiamo avuto, che non avremo mai. Sulle occasioni perse e quelle che, magari senza accorgercene, abbiamo colto.



Recensione della Redazione QLibri

 
L'isola dell'abbandono 2019-02-25 16:15:27 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    25 Febbraio, 2019
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Naxos

«Ho capito che nessuno di noi, purtroppo, può evitare che i nostri figli si sentano derubati da quello che noi saremo o non saremo, gli daremo e non gli daremo… Però se noi, adesso che siamo solo all’inizio, non ci diciamo bugie, se facciamo lo sforzo di rimanere saldi e non permettiamo all’Uragano Figlio di portarsi via le nostre contraddizioni, le nostre impotenze, i nostri più veri, oscuri desideri, se non trasformeremo i nostri figli nella scusa per perdere definitivamente il contatto con quello che davvero siamo, anche se è scomodo, soprattutto se è scomodo, io penso che quando un giorno loro ci chiederanno: che cosa è successo, mamma?, come mai qui, nella mia testa, è tutto per aria? Perché la serratura del mio cuore è stata scassinata, papà?, bè: almeno una risposta da noi ce l’avranno, e non dovranno andare a cercarla da un analista, dall’amore, da una guida spirituale, dall’amore, dai fiori di Bach, dall’amore.» p .23

Quando all’uscita del locale ha conosciuto quello strano soggetto che sin dal principio l’ha approcciata con rudezza e con un soprannome, Occhi, perché quel verde era indescrivibile e alla fin fine nemmeno il resto era poi da buttar via, ella già sapeva che tutto sarebbe finito con quel fare l’amore così naturale e spontaneo che soltanto certi incontri hanno il potere di avere. Stefano era così, è sempre stato così. Nonostante i suoi tradimenti, i suoi alti e bassi, i suoi giorni fissi su PERICOLO BLU dove ogni pretesto era buono, il suo cadere in ogni tipo di droga dalla cocaina alla ketamina passando anche e non di meno per l’eroina, nonostante quella relazione che era chiaramente diventata una terra pericolosa, un Far West dove tutto era lecito per giustificare quel dolore, quel vuoto, quella super eccitazione, per lei nessuno poteva sostituirsi a quel primo grande e devastante amore con cui aveva realizzato i suoi primi libri, con cui aveva disegnato i suoi primi eroi per bambini. Anche adesso che aspetta un figlio da Damiano Massimini, quello stesso psicologo con quindici anni più di lei, la sua barba che pare fatta di polvere che lo fa sembrare più anziano rispetto a quegli occhi chiari, vigili e attenti che sono quelli di un ragazzino che prese in cura proprio quel primo amore, non può far a meno di pensarvi. E poi, poi c’è Di che è stato l’unico a toccare realmente le sue corde più intime, tanto da farla restare invece che, come suo solito, fuggire. C’è Naxos, “un’isola strana, dove le storie cominciano, passano, ma non si chiudono mai, perché c’è sempre qualcuno che si inventa un finale diverso e così tutto ricomincia da capo, come in un eterno presente” (pag. 212). C’è l’esser diventata madre con tutto quel che ne compete, l’esser fragile e al contempo indistruttibile. Chi sono io? Chi ero? Perché sono qui? Perché è così difficile considerarsi una famiglia? Cosa ha davvero significato quell’isola e perché un’assenza può essere più forte e dirompente di una presenza, perché le possibilità possono farci così tanta paura da sembrarci irrimediabilmente pericolose e lesive?
Partendo dal mito dell’abbandono di Teseo e Arianna e con un’eroina molto particolare il cui cuore è suddiviso tra tre uomini, che ha paura, paura di perdere il filo, di perdere le sue certezze, Chiara Gamberale torna in libreria con un libro intriso di molteplici tematiche e di spunti di riflessione. Tutto ha inizio con una seduta in un gruppo di psicanalisi e continua con l’intento di scrivere una lettera al figlio per spiegare quei perché, per dare quelle risposte a cui si somma, ancora, un’autoanalisi che passa dal presente al passato per tornare alla dimensione di Naxos e riuscire ad affrontare quelle fatali trasformazioni che la vita, con la sua durezza, la sua crudeltà, la sua inarrestabilità, semplicemente ci mette davanti. Travolgendoci, destabilizzandoci. Perché qualcuno nasce, altri muoiono, altri si separano da noi per molteplici circostanze, altri restano. Ed è difficile mantenere il controllo quando la nostra esistenza ci sfugge, è inafferrabile. È difficile sapere chi siamo quando tutto quello che sempre ci ha caratterizzato va in frantumi come un vetro di cristallo.
Come fare allora per affrontare tutto questo? Come uscirne indenni? Come rinascere? Prima di tutto occorre conoscersi, sapere chi siamo e solo una volta che tale consapevolezza è sopraggiunta, soltanto quando siamo consapevoli dei nostri limiti e delle nostre colpe, soltanto quando ci assumiamo le responsabilità dei nostri errori senza scaricarli su terzi, allora possiamo dire di avere una possibilità di riuscire. Allora possiamo essere certi di poter amare davvero senza essere schiavi di quella persona impossibile con cui ci facciamo scudo, ci proteggiamo, che diventa lo specchio della nostra insicurezza, dei nostri sbagli, della nostra mancanza.
Questo e molto altro è “L’isola dell’abbandono”, un testo dove siamo chiamati ad interrogarci sui nostri timori, sulle nostre debolezze, sui nostri successi e insuccessi. Ancora, in questo, vengono affrontate problematiche quali la paura di restare di fronte alla possibilità di fuggire, la difficoltà di assumersi le proprie responsabilità, la paura di sbagliare, l’evoluzione, la maturazione dell’essere umano. Perché tutti abbiamo dubbi, tutti abbiamo preoccupazioni, ma possiamo sempre migliorarci, crescere, di affrontare le nuove difficoltà e esperienze della vita. E questo è quello che Chiara e la sua protagonista fanno. Imparando a prendersi cura di loro stesse, imparando a prendersi cura dei loro bambini, imparando semplicemente ad amare con semplicità e genuinità.
Un contenuto forte a cui si associano deliziose illustrazioni (quali il coniglietto Pilù: che fa su e giù) e uno stile narrativo che o si ama o si odia. La prima parte, in particolare è molto descrittiva, prolissa e talvolta confusionaria perché la scrittrice catapulta il lettore interamente nella mente caotica di questa neo madre, ma superata questa il messaggio del testo arriva nella sua totalità e non lascia indifferenti.

«Lei dà un bacio sulla fronte anche a lui. Poi prende Emanuele in braccio, fa finta di mordergli un piedino, l’altro. Gli sussurra in un orecchio: “Ciao amore. Sono tornata”. Lui le afferra un dito con una mano. Con gli occhi cerca Damiano, lo trova. E si calma. Misteriosamente, come misteriosamente si era turbato.
Ma se sapessimo di che cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno dell’amore. »

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L'isola dell'abbandono 2019-09-08 17:07:51 valfed33
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valfed33 Opinione inserita da valfed33    08 Settembre, 2019
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La vita è più semplice

Il tema trattato è quello dello smarrimento. Lo smarrimento esistenziale simboleggiato dal mito di Arianna , abbandonata a Nasso da Teseo.Smarrimento che è alimentato dalla nostra personalità e dalla nostra formazione per un verso , dalle nostre esperienze per altro verso. Le persone che incontriamo a volte non sono che proiezioni della nostra fragilità e dei nostri bisogni. È giusto parlarne perché il tema rappresenta sovente una tappa del nostro percorso di crescita individuale.Quello che non capisco di questo libro è l’insistenza a rappresentare come necessità ineluttabile il fatto di costringersi ad una esistenza di complicazioni inutili e dannose quando la vita è semplice e generosa di occasioni che ci rendono felici come nel caso della protagonista che ,non si capisce perché, quando arriva al raggiungimento della serenità e dell’amore ecco che ripiomba verso un passato che la condiziona ad un futuro che definisco mediocre, scontatamente complicato e che viene poi rappresentato come il normale punto di equilibrio psicologico, umano, sentimentale del personaggio. L’essere umano cerca il meglio non cerca il peggio ma neanche si forza alle minestre riscaldate! L’autrice sa fare di più ...e le consiglierei anche di usare maggiore originalità nell’intitolare i suoi libri evitando paragoni con lavori di altri colleghi che hanno avuto successo.Anche lo stile narrativo in alcuni punti non fluisce bene.
Giudizio finale: diciamo che stimola il senso critico sul tema... ma se ve lo perdete non succede niente!

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L'isola dell'abbandono 2019-07-25 10:17:15 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    25 Luglio, 2019
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Ci si può perdere nel labirinto della vita.

L’autrice prende lo spunto da un racconto mitologico, quello di Teseo figlio del re di Atene che uccide nel labirinto il Minotauro con l’aiuto dell’innamoratissima Arianna, che poi abbandona sull’isola di Naxos. L’azione del romanzo ha il suo fulcro nel 2008: un’altra Arianna, la nostra protagonista, arriva a Naxos e s’innamora perdutamente di Stefano, un tizio con problemi psichiatrici che fa uso di droghe anche pesanti e che, dopo una tormentata relazione, l’abbandona e fugge con una certa Cora. Tenterà di ricontattarla in seguito, disperato, ma Arianna lo manderà a quel paese (uso un eufemismo), pentendosi però perché Stefano morirà in un incidente. Arianna troverà,sempre a Naxos, un surfista, Di, e andrà a vivere con lui, ma, a un certo punto, sentirà il bisogno di rientrare a Roma dove risiede il suo psichiatra di fiducia, Damiano, diventandone l’amante. Metterà alla luce un figlio, Emanuele (sono passati intanto una decina d’anni), e l’irrequieta Arianna sentirà l’inderogabile desiderio di tornare a Naxos: pianta figlioletto e amante (la cui moglie,Elena, si è già fatta elegantemente da parte) e va in cerca della sua vecchia fiamma, il bel surfista Di, che intanto si è sposato ed ha messo al mondo tre figli. Delusa e perplessa, la nostra Arianna rientrerà a Roma e, riabbracciando il piccolo Emanuele, troverà forse un porto sicuro in cui dare un senso alla sua vita. Questa è a grandi linee la storia. E veniamo alla protagonista, Arianna, donna quanto mai fragile e tormentata. E’ in cura dallo strizzacervelli di cui poi diventerà l’amante, frequenta associazioni per genitori soli, cerca disperatamente un appiglio per dare un senso alla sua vita. L’isola di Naxos, dove rivive il mito di Arianna abbandonata da Teseo, le sembra un porto sicuro: l’ambiente sembra che la faccia stare bene, le persone che incontra la ascoltano, nasce l’amore che l’avvolge e la rassicura. Ma non basta: l’isola (da Naxos deriva “piantare in asso”) impone la sua mitologica maledizione, gli amori si frantumano, le fragilità riemergono, il desiderio di fuggire da tutto e da tutti si scontra con il fascino dell’isola che sembra invitarla a restare, dimenticare, abbandonarsi solo ai ricordi ed alle speranze. Bisogna anche aggiungere che Arianna, come si suol dire, le sue magagne se le va a cercare, incapace com’è di mantenere un legame solido e costante nel tempo con gli uomini che incontra. Cerca qualcosa che non sa trovare, arrovellandosi nei suoi dubbi e nelle sue incertezze: solo nella sua attività lavorativa (crea e pubblica disegni e favole per bambini, con un coniglietto, Pilù, come protagonista) sembra trovare serenità e appagamento. Ma per il resto ( i rapporti con il prossimo, gli affetti, i desideri) non riesce a dare un senso alla sua vita. Forse non si rende conto che il senso della vita, come saggiamente affermava il famoso oncologo Umberto Veronesi, è la vita stessa. Ma Arianna non se ne rende conto, e continua nella sua ricerca affannosa, che inesorabilmente la porta ad una sola conclusione: l’abbandono. Abbandona chi forse le vuole veramente bene, è abbandonata e tradita da chi è tormentato da una psiche malata, abbandona sé stessa a riflessioni che aggrovigliano sempre di più il filo già aggrovigliato di una vita inconcludente e apparentemente senza sbocchi.
Lo stile narrativo segue le orme di Arianna: concitato, martellante, a volte di difficile comprensione, soprattutto nei lunghi colloqui con gli uomini della sua vita, puntini di sospensione, battute, domande senza risposta, snervanti tentativi di capire e di capirsi. Il lettore può anche perdersi, perdendo il filo della narrazione. Non mancano le trovate brillanti, come quella di sottolineare lo squillo insistente di un telefono scrivendo trenta volte “… squilla, squilla, squilla…” per quattro righe. Ben peggio (fumettistico) sarebbe stato un “ drin, drin, drin” ripetuto trenta volte.
Che aggiungere ? Forse, e sottolineo forse, la soluzione dei suoi problemi Arianna la troverà nel figlioletto Emanuele. Il finale del romanzo ci fa intendere che sarà lui e solo lui a colmare il bisogno d’amore della protagonista

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L'isola dell'abbandono 2019-05-31 05:07:30 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    31 Mag, 2019
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Labirinti dove per uscire dobbiamo mollare il filo

Il filo di Arianna unisce un’Arianna contemporanea all’Arianna della mitologia: entrambe abbandonate a Naxos, entrambe destinate a un nuovo amore.

L’Arianna de L’isola dell’abbandono di Chiara Gamberale è un’illustratrice vittima della sua fantasia drammatica e della sindrome dell’abbandono. Ha creato l’elefantino Naso, un pelouche che ogni volta viene smarrito, ma ogni volta torna sempre dalla sua bambina (“Talmente paralizzata all’idea di venire abbandonata da scegliere un amico capace di fare solo quello: abbandonarla”) e il coniglio Pilù (“Una specie di coniglio bipolare”), così simile al narcisista e distruttivo Stefano, individuo egocentrico, bizzoso e drogato che riesce a farsi odiare dal lettore con tutte le forze.
Ma non risulta neppure simpatica l’Arianna contemporanea, che passa da Stefano, al surfista Dì, al terapeuta Damiano e si affaccia pericolosamente alla maternità del povero Emanuele (“Abbiamo paura di non essere amati. E allora ci rifugiamo nel nostro trauma, nella nostra ossessione”).
L’empatia del lettore si concentra allora sull’Arianna della mitologia… che sa accontentarsi di Dioniso, dopo essere stata “piantata in Naxos” da Teseo.

Nella mitologia e nell’immagine del labirinto (“Ci sono labirinti dove, per uscire, dobbiamo mollare il filo che avevamo in mano, invece di tenerlo stretto”) vi sono proprio i migliori spunti del romanzo che miete questo giudizio finale:
mitologico, labirintico, grecale.

Bruno Elpis

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L'isola dell'abbandono 2019-05-03 16:31:56 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    03 Mag, 2019
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Fili smarriti e persino aggrovigliati

Di Chiara Gamberale, negli anni scorsi, avevo già letto altri due romanzi, “L'amore quando c'era” e “Le luci nelle case degli altri”, apprezzando in particolar modo quest'ultimo titolo.
Ora questo suo nuovo lavoro, in verità, mi lascia abbastanza perplessa. Non ho ritrovato ciò che mi era piaciuto in passato del suo modo di raccontare. Eppure l'idea di fondo, l'abbandono da parte di chi si ama, era buona con quel richiamo all'antico mito di Arianna che viene lasciata da Teseo sull'isola di Nasso dopo la partenza da Creta, dove lei lo aveva aiutato a fuggire dal famoso labirinto del Minotauro partendo infine insieme a lui senza pensarci due volte.
E di essere piantata in asso dal proprio compagno capita, nello stesso identico modo brutale e vigliacco, anche alla novella Arianna al centro di queste pagine, una donna insicura e inquieta, vittima con tutta evidenza di una storia d'amore malata. Non a caso, l'abbandono non può che ripetersi a Nasso, bella e luminosa isola sotto il sole dell'estate, dove tutto può accadere, persino gli incontri più impensabili. E se l'irritante Teseo fugge, ecco sopraggiungere all'improvviso il Dioniso mandato dalla provvidenza e con il quale la svolta nella vita avrebbe potuto esserci senz'altro. Ma, a questo punto, il buon vecchio mito, che vedeva la povera fanciulla abbandonata convolare a giuste nozze addirittura con un dio e ritrovare la perduta felicità, s'inceppa ed è lì che i fili vengono smarriti e, forse, s'aggrovigliano tumultuosamente. Così come le parole, i pensieri, le elucubrazioni della protagonista che spesso sono un fiume in piena.
La prosa, soprattutto nella prima parte, risulta molto caotica, ingarbugliata, tremendamente pesante, cosa che fa arrancare nella lettura; sebbene altre parti scivolino meglio, addirittura suscitando curiosità, nel complesso il giudizio su questo libro non è positivo. Non posso che concordare con chi mi ha preceduto a leggerlo e recensirlo e arrendermi a una valutazione purtroppo striminzita, restando in fiduciosa attesa del prossimo romanzo della Gamberale...

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L'isola dell'abbandono 2019-03-08 15:30:12 Ginevrosità
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Ginevrosità Opinione inserita da Ginevrosità    08 Marzo, 2019
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Un foglio di formato A4

Finito di leggere ieri sera. Solitamente mi tengo lontana, durante l’anno, dalla letteratura pop (e con pop intendo di massa, di consumo, da spiaggia. Attenzione: la mia definizione non vuole essere un’offesa né all’autrice, né ai suoi lettori affezionati) perché spesso non è quello che cerco. In questo caso però ho sentito che ne parlavano bene al programma “La Bomba” su Radio Deejay; ed io mi sono fatta conquistare dal fatto che una radio fra le più ascoltate avesse dato finalmente spazio al commentare un romanzo, appunto quello della Gamberale. Nel programma la Littizzeto intervistava l’autrice, cogliendo l’occasione per manifestare il suo pensiero sul tema “amori travagliati e malsani che ci fanno ovviamente soffrire ma in cui perseveriamo”; ne esce fuori una simpatica scenetta nella quale l’autrice ammette che verrebbe voglia di prendere a badilate il Lui della storia così come la Lei.
Bene. Il giorno dopo “L’isola dell’abbandono” l’ho comprato: se ti viene voglia di prendere a badilate il personaggio di un romanzo, significa che la trama è coinvolgente e che le personalità sono così ben sviluppate da risultare poliedriche e reali.
A me sinceramente e purtroppo non viene voglia di prendere a badilate nessuno.
La storyline è una matassa sconclusionata in cui Occhi (nomignolo della protagonista), donna incapace di prendere la decisione di dare un taglio alla relazione con Stefano, soggetto con disturbi della personalità (bipolarità) e dipendenza da droga pesante, viene abbandonata da quest’ultimo, il suo uomo, sull’isola di Naxos proprio come Arianna nel mito greco viene abbandonata da Teseo. Qui, conosce Di, un surfista che invece le da tutto l’amore di cui apparentemente lei ha bisogno: un uomo che la rispetta. Nel frattempo, grazie a sbalzi temporali gestiti in modo poco chiaro, sappiamo che Occhi diventa l’amante dello psichiatra di Stefano, per poi leggere in chiusura con il solito finale buonista.
Ora, a me questo tipo di letteratura sta benone. Però perché presentarla in radio come “Il romanzo della Gamberale che sviscera il tema della maternità, e dell’ostinazione ad amare ciò che ci ossessiona, della paura che si prova davanti alla possibilità di essere finalmente felici…” ? Sono temi difficili da trattare ed in my humble opinion sono anche troppi, per uno stile così “di cronaca” che pare di leggere un articolo di giornale che si limita ad esporre i fatti accaduti, per delle personalità profonde quanto un foglio bianco da stampante.
Ho visto qualche barlume quando le letto l’interpretazione artistica che Occhi ha della sua vita, lei è un’illustratrice fumettista che prende spunto dalle difficoltà e le tramuta sketch interessanti dai protagonisti animali. Stefano diventa un coniglietto in balìa dell’umomometro, uno strumento in grado di misurare il suo umore altalenante: blu nei momenti di negatività, rosso nella positività.
Interessante è anche la digressione sul tema dell’abbandono trattato in un mini racconto in cui una bambina si affeziona visceralmente ad un elefantino dalla proboscide gialla (stesso colore della cucina che Occhi aveva scelto con Stefano, starebbe a simboleggiare la loro vita quotidiana serena), che però puntualmente perde di vista.
Morale della favola, se il romanzo fosse stato narrato tramite certe allegorie che sono comparse sporadicamente all’interno del libro, anche mantenendo lo stesso stile elementare, sarebbe stato davvero bello.

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