L'Iguana
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
L'iguana e la farfalla
Il romanzo della Ortese è strano, onirico e allegorico. Quale sia la chiave di lettura è difficile dirlo, forse bisognerebbe conoscere meglio l’autrice. Sembrerebbe una allegoria sul destino dell’uomo e sul rapporto uomo-Dio. L’uomo dopo la caduta del peccato originale è metà buono e metà no. E' cacciato dal Paradiso.
«Il marchese» diss’ella dopo un momento, ma con una voce così fina che sembrava incrinata, sembrava stesse per spezzarsi «va in paradiso, oggi, dopo mangiato. Va sulla nave, e là, dopo molta acqua, c’è il cielo con la Vergine santissima, e tutte le costellazioni. Là io non posso andare. La Vergine non vuole».
La donnina-iguana ha qualcosa di malvagio che si traduce nell’aspetto strano: verde e dal muso serpentesco ma allo stesso tempo appare anche innocente e degna di compassione. E' quasi inconsapevole del suo stato, tutta presa dal desiderio di essere amata dal marchese di cui ora è indegna. La sua situazione l’addolora profondamente e non è in grado di comprenderla a fondo. L’isola stessa e la casa polverosa riflettono la decadenza della servetta. Il nome stesso Perdita. Anzi sembra avere due nomi, Perdita e Estrellita come anche il marchese ha due nomi e forse due facce o due nature e il conte anche se ha un solo nome ha due ruoli: vittima e carnefice.
L'iguana è come il ritratto di Dorian Gray dell'umanità. Il suo aspetto ne riflette i vizi ma l'anima resta innocente come quella di una bambina. In effetti, sono i visitatori, le persone che girano attorno all'isola, con desideri adulti di soldi, di possesso che hanno il marchio della colpa. L'iguana ne ha solo l'immagine. E' una specie di vittima innocente, adatta a suscitare la pietà del conte.
Il conte sembra una figura cristologica: ingenuo, compassionevole, con animo candido di bambino, un cuore puro. Eppure lo troviamo in tribunale con un duplice ruolo. E sappiamo che è stato commesso un crimine orrendo: Dio è morto. E' stato ucciso.
«Capire! In base a che cosa, Daddo? Lascia che le Costellazioni trascinino il Corpo Santo! Dio è morto! è morto! è morto!». Queste parole, seguite da uno scoppio improvviso di pianto, e quindi da un selvaggio suonare di campane, non sapevi se a osanna o a morto, lasciarono indifferente il conte. Egli era mutato, in quanto sentiva che, nella vita, il lato terribile era proprio la compassione, in quanto così il male velava i suoi crimini, il bene lasciava luogo a profonda debolezza. Egli non aveva più altro scopo, nella nube ch'era stata la sua vita, se non il risorgimento di Dio, la sua liberazione dal sepolcro, e la restaurazione del Diritto.
Ma il delitto, quello che sembrava nella parte più onirica e delirante del romanzo un delitto, diventa un suicidio, il suicidio un atto di amore per l’iguana che nelle ultime pagine acquista le fattezze umane di una serva. Il romanzo è molto bello, bello nell'oscillare tra bene e male dei personaggi ma con una prevalenza del bene. Dio è una farfalla bianca: bellissima l’immagine. Prima di essere farfalla quindi è stato bruco, quindi anche lui, come l’iguana ha o almeno ha avuto un aspetto misero.
“Sentì che il suo viaggiare era stato immobilità, e ora, nella immobilità, cominciava il vero viaggiare. Sentì poi che questi viaggi sono sogni, e le iguane ammonimenti. Che non ci sono iguane, ma solo travestimenti, ideati dall’uomo allo scopo di opprimere il suo simile e mantenuti da una terribile società. Questa società egli aveva espresso, ma ora ne usciva. Di ciò era contento”.
Una cosa appare certa alla fine del romanzo: il conte con la sua morte ha dato una speranza all'iguana e una nuova dignità. La sua morte è stata decisamente un sacrificio che ha portato qualcosa di assolutamente buono. Il conte è una figura cristologica.