L'arminuta Hot
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Il ritorno
Semplicemente bello, amaro, struggente, incisivo.
L'ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio brucia come sale su ferite aperte, parla di figli e di genitori, di incontri ed abbandoni.
Lei non possiede un nome di battesimo ma è detta da tutti i paesani “arminuta”, la ritornata.
Scaricata come una merce da chi ha sempre considerato genitori, passata dal calore della propria casa al gelo di un focolare sconosciuto, catapultata in un mondo aberrante per lei, tredicenne vissuta tra coccole, agi e serenità.
La nuova casa è popolata da persone diverse, che parlano solo dialetto, che lottano ogni giorno con un demone chiamato miseria, che si azzuffano per due rigatoni al sugo, che condividono pochi metri quadri tra odori nauseabondi e grigiore.
Quello narrato dall'autrice è un salto nel vuoto come solo può essere lo sradicamento di un'adolescente, un evento complesso da immaginare e da rendere a parole; eppure l'effetto prodotto dalle immagini dipinte è poderoso, tanto da provocare uno stillicidio doloroso dalla prima all'ultima pagina.
La voragine emotiva narrata è generata dall'intreccio dell'assenza improvvisa e immotivata di coloro che ti hanno cresciuto e amato e dall'apparire altrettanto veloce di due persone che scopri averti generato e ceduto e di fratelli e sorelle estranei.
E' complicato parlare di temi forti e scottanti di questo tenore, sottolineando gli stati d'animo di ogni personaggio e delineando le infinite sfumature legate ad uno sguardo, ad una lacrima, ad un gesto quotidiano.
Grande prova di scrittura dell'autrice abruzzese, dotata di una penna affilata e tagliente come una lama, una scrittura sintetica che riesce ad intrappolare su di un rigo emozioni, lacerazioni e sogni infranti.
Un tema pesantissimo, come il mondo che crolla sulle fragili spalle di un'adolescente, scopre altri nervi scoperti, come le dinamiche familiari ambientate negli anni Settanta in un contesto rurale e genuino. Altro merito dell'autrice è di aver fotografato un pezzetto di Italia, contestualizzando la storia nel suo natio Abruzzo, riportando alla nostra memoria immagini in bianco e nero di una nazione tra crescita e difficoltà, dove non tutti potevano permettersi una giornata in spiaggia ed un piatto di frutti di mare.
Un'Italia di braccianti e di operai che fatica a portare il pane a tavola, che appare arida e priva di sentimenti, ma sotto una scorza dura ci sono cuori che battono per le disgrazie ed i dispiaceri che la vita porta sempre con sé.
Tante le lacrime eppure tanta dignità nel corso di tutta la narrazione, evitando la ricerca di sensazionismo ma facendo assaporare genuinità e naturalezza, senza artifici.
Un romanzo senza vincitori, c'è chi ha scelto e chi ha subito, ma tutti insieme ingrossano le fila dei vinti.
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Meraviglioso!
Che bel romanzo, diretto schietto sincero incisivo toccante. Non c'è una parola di troppo. Una storia di abbandono ma anche di riappropriazione delle proprie radici. Di perdita ma anche di incontro e di rinascita in una forma forse meno elegante ma più vera. Ritrovare una sorella come Adriana non è cosa da poco.
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storie di abbandoni
"A volte basta poco e la vita cambia all'improvviso."
Sono solo 176 pagine ma ne "L'Arminuta" è racchiusa tutta la storia, fatta per lo più di abbandoni, della protagonista senza nome: una ragazza di tredici anni che un giorno viene rispedita dai suoi veri genitori, di cui fino a quel momento ignorava l'esistenza, sì, proprio come se si trattasse di un pacco postale.
È l'Arminuta stessa a raccontare quello che accade da quel momento in poi e nelle sue parole c'è tutto lo smarrimento che prova, il distacco nei confronti della numerosa famiglia con cui si ritrova a vivere e la difficoltà nel comprendere quello che è successo e soprattutto il perché.
Lei, sola, inerte, trova un sostegno in Adriana, la sorella minore con cui condividerà il letto e il mancato amore dei genitori.
Ho amato molto la scrittura di Donatella Di Pietrantonio: concreta, essenziale ed aspra, riflette perfettamente il contesto in cui è ambientata la storia e riesce a trasmettere tutte le sensazioni provate dall'Arminuta.
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A chi ama i libri introspettivi
L'ARMINUTA NON MI HA CONVINTA
L'autrice usa con maestria le parole, scrive molto bene e questo si intuisce subito leggendo le prime pagine di questa storia, ma il grosso difetto di questo libro è che il tema drammatico che ci viene proposto doveva essere trattato in maniera più cruda e reale.
Certo probabilmente è solo un gusto personale però a questa storia manca l'anima, ma ora mi spiego meglio.
Il libro tratta un tema delicato, l'Arminuta, è una ragazza che da piccola viene affidata ad alcuni parenti ricchi e a quasi quattordici anni viene "scaricata" ai genitori naturali, che però vivono in condizioni più umili.
Scopre di avere una sorella e tre fratelli e non riesce ad adattarsi alla nuova realtà sentendosi fuori posto.
Il libro è corto, si lascia leggere in un pomeriggio ma quello che mi ha convinto di meno è il fatto che la Di Pietrantonio non sia andata completamente a "indagare" nell'anima dell'Arminuta, delineando questo personaggio in maniera superficiale.
L'autrice decide di non approfondire i suoi personaggi, scelta a mio avviso poco felice, purtroppo ho trovato che l'Arminuta sia fredda e distante e resti solo una spettatrice senza diventare la protagonista della sua storia, quasi non sembra reale, non ha una vera e propria reazione.
Sembra un personaggio interessante, il fatto di essere stata abbandonata da entrambe le sue madri, quella biologica e quella adottiva, dovrebbe far scattare un'empatia immediata che però non nasce subito ma nemmeno verso la fine.
L'Arminuta vuole capire perché quando aveva solo sei mesi è stata affidata a una cugina e perché è stata restituita senza motivo così da un giorno all'altro e soprattutto chi delle due madri può considerare tale.
Perfino la parola "mamma" non ha significato per lei, è sicuramente in cerca di una sua identità che non riesce a trovare, anche se non fa nulla per cambiare le cose come dicevo ha un ruolo passivo.
Per i suoi genitori è come se non ci fosse questa identità, per loro lei è solo un peso.
Adriana, la sorella, è forse il personaggio più interessante ma che comunque rimane un po' in disparte ma il rapporto che si crea con l'Arminuta è sicuramente molto intenso e di complicità.
L'autrice usa sapientemente la sua capacità comunicativa, la sua scrittura è solida, asciutta ed essenziale però va a discapito di una storia che non riesce a convincere del tutto, che trasmette poco o nulla al lettore.
Il libro sembra essere solo di chi lo ha scritto, la Di Pietrantonio l'ha tenuto per sé e non l'ha mai lasciato andare e il lettore non riesce a immedesimarsi completamente in questa storia.
Ho trovato la prima parte molto più interessante, la descrizione di quella nuova realtà da come passi dalla ricchezza alla miseria, ma poi l'autrice cambia registro e ci fa vedere un lato meno realista e forse più forzato, che sia stato a favore di una maggiore vendibilità a livello editoriale? Però ne ha fatto le spese la storia che risulta "finta".
Un vero peccato.
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- sì
- no
Di chi sei figlia tu ?
L'arminuta, in dialetto "la ritornata" , per tutto il racconto non sapremo mai il nome della ragazza che un giorno ritorna dai veri genitori dopo che per 13 anni è stata cresciuta da un'altra famiglia che credeva la sua.
La mamma, che la ragazza ha scoperto non essere la sua vera mamma, soffre di una malattia di cui nessuno vuole parlare ma non può più prendersi cura di lei così viene restituita e accompagnata a destinazione da quello che ha sempre creduto essere suo padre che però non è suo padre, e lasciata come un pacco in un ambiente completamente diverso da quello a cui era abituata.
Lei, ragazza di città cresciuta tra discreti agi, si trova in campagna , a condividere una stanza con fratelli e sorelle di età diverse, maschi e femmine insieme, nemmeno un letto per dormire, il "padre" , quello vero, non ci aveva pensato e mai ci penserà e lei divide il letto con Adriana, la sorella minore, il volto adagiato al suo piede come unico contatto umano e conforto su un materasso logoro e con l'afrore di troppe notti di incontinenza.
Adriana si rivela un personaggio straordinario, che le fa da guida e sostegno nei passi travagliati della vita che la attende.
La vera famiglia dell'arminuta vive nella miseria che sfiora l'indigenza assoluta, quando viene messo qualcosa in tavola bisogna essere svelti ad accaparrarsi qualche pezzo pena restare a stomaco vuoto, persino continuare a studiare è un lusso , le parole sono poche come se la miseria avesse svuotato anche il cuore oltre che le tasche, ma i familiari dell'arminuta tutto sono tranne che poveri di cuore.
Però non c'è spazio per le smancerie, non ci sono abbracci, carezze, solo le botte quando qualcuno con il suo comportamento non segue i rituali imposti dalla miseria per campare di poco non avendo niente.
La giovane "arminuta" scopertasi figlia di due famiglie, affettivamente sembra non essere figlia di nessuno, si sente aliena nella nuova realtà ed è aliena anche per i fratelli maschi , Vittorio, il più grande, non la riesce neanche a riconoscere come sorella e le riserva più di un'attenzione che
si riserverebbe ad una donna più adulta ma non tua sorella, Sergio la considera quasi un'intrusa e solo Adriana la accoglie davvero .
Non ci sono mamma e papà solo "la madre" e "il padre" quasi a renderli figure impersonali , nella confusione dell'arminuta che non sa perchè quella che credeva sua madre l'ha "rimandata indietro" come un elettrodomestico guasto e che ora si chiede perchè a suo tempo la madre naturale la
affidò ad una cugina.
Troverà le risposte , le meschine motivazioni per cui la madre adottiva si è liberata della sua presenza ma continua ad aiutarla a distanza e anche il perchè la vera madre la affidò alla cugina.
Scoprirà che l'ignoranza non discrimina e fa la sua dimora tra i miseri e tra i più ricchi, in modo diverso ma ugualmente terribile.
Racconto breve, parole scarne, l'autrice non fa particolari approfondimenti psicologici, lascia che siano i fatti a spiegare tutto e far esplodere dentro il lettore il sentimento verso una storia toccante.
Molto bello.
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Orfana due volte
“Ripetevo la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo”
Indubbiamente un bel libro con una storia particolare e toccante: quella di una tredicenne che viene adottata da lattante e poi restituita alla famiglia di origine senza spiegazioni.
La protagonista, io narrante senza nome, viene indicata dalla gente del borgo con l’epiteto abruzzese di “arminuta”, ossia “la ritornata”, non senza velato disprezzo. E’ il dramma di una ragazzina che scopre non solo da un giorno all’altro di avere due madri, una adottiva e una biologica, ma che si trova abbandonata e scaraventata in un mondo che le appartiene solo per le origini, ma che in realtà le è sconosciuto, deve adattarvisi, deve entrare in una nuova logica, in una nuova visione del mondo e di sè.
Figlia unica coccolata e viziata, cresciuta per 13 anni nell’agiatezza, la protagonista si trova buttata nella casa dove è nata, dove la sua “vera” e numerosa famiglia, quella di sangue le è sconosciuta ed ostile.
Bisogna imparare ad essere sorella: sorella di Adriana, di Sergio, di Vincenzo e del piccolo Giuseppe. E non è semplice. Con Adriana nasce subito l’intesa e un forte legame (che continuerà in “Borgo sud”, altra opera della scrittrice), Sergio la disprezza e la tratta male, non riesce ad accettarla...ma il giovane Vincenzo nutre per lei un’attrazione che non le nasconde. Bisogna accettare una nuova vita, due genitori freddi, una comunità che la guarda con disprezzo quasi fosse una reietta, un borgo dove quasi nessuno parla l’italiano, ma il dialetto.
Sullo sfondo il mondo rurale di un Abruzzo senza tempo, i profumi, gli odori, i suoni di quella terra.
Secca, asciutta, la prosa della Dipietrantonio.
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Una splendida storia di legami
È una storia di legami, questa.
Una storia di legami che si stringono e di altri che si spezzano, anche violentemente, senza spiegazioni.
Di legami destinati a restare indissolubili, perché alcuni legami riguardano l'anima e l'essenza stessa delle persone.
Mamma, la madre, mia madre: è questa la chiave del romanzo.
L’Arminuta è una ragazza tredicenne che da un giorno all’altro si ritrova ad essere restituita (Arminuta=Ritornata) alla sua famiglia di origine da coloro che l’avevano cresciuta. Qui la protagonista fa la conoscenza con la povertà, l’anaffettività e con le asprezze della vita, ma conosce anche sua sorella, Adriana, un personaggio magnifico, irresistibile, che giganteggia per tutto il racconto.
Il rapporto che nasce e cresce tra l’Arminuta e Adriana tocca nel profondo per il suo sapore acerbo ma vivo, per la sua profonda sincerità, per la sua incrollabile solidità.
Il legame tra le due protagoniste costruisce un ponte tra questo splendido romanzo ed il lettore, un ponte sul quale ognuno che cominci a leggere questo libro sale con entusiasmo, affascinato da una storia appassionante. Un romando lungo il quale si pensa, si ride, si piange, si spera e si ama.
Ciò che colpisce nello scorrere delle pagine, è come la statura morale e la forza di due bambine riesca lentamente ad emergere da un mondo di bassezze, di sentimenti mai coltivati, di miseria economica e sociale, di tradimenti e abbandoni.
Non posso infine tralasciare la scrittura piacevolissima di Donatella Di Pietrantonio (di professione dentista!), molto agile, ma assolutamente concreta, che non si perde mai in inutili arzigogoli. E che regala dei lampi di vero genio, illuminando con poche e secche parole i momenti cruciali del racconto: “Sul cuscino mi aspetta ogni sera lo stesso grumo di fantasmi, oscuri terrori”.
L’Arminuta è uno di quei rari libri che, una volta letta l’ultima pagina stringi tra le mani per avere la certezza di possederlo veramente, per sentire che quella storia è entrata di diritto nel tuo immaginario personale e non ne uscirà più.
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“E tu di chi sei la figlia?”
Tredici anni, una sorella che non sa di avere. E dei fratelli che la salutano con un fischio o la ignorano. Non li conosce. Loro sono la sua famiglia per forza.
E’ l’agosto del 1975. Frequenterà la terza media.
Si lavano i piedi nella stessa bacinella, lei e la sorella, l’acqua si fa subito nera, dividono il letto, il sudore, l’odore di ammoniaca della sua urina calda. Nel buio denso di fiati cerca la pianta del suo piede da tenere sulla propria guancia. E’ la sua unica compagnia.
Eppure…Adriana. Un cenno di intesa. Solo un vago sguardo. O un tocco al volo sul braccio. Bastano a capire che è il momento di scappar via insieme. “Poi è venuta con una corsa breve e improvvisa, mi ha abbracciata. Avevo posato tutto sull’asfalto, l’ho stretta e baciata sulla fronte. Ci siamo mosse fianco a fianco senza dirci niente…”
Adriana che blocca il braccio della madre perché.. “non devi mena’ pure a essa.”
Adriana…che le dice ”quando scappi a me non ci pensi?” ci siamo stritolate in un abbraccio. E’ il Natale del 1976.
Vincenzo, in quell'attimo, occhi negli occhi dimenticando “chi eravamo”. E continuare a sentirlo, anche dopo, quando resta solo l’odore e i ricordi.
Sergio e i suoi cattivi scherzi.
Giuseppe che gattona e la guarda non riconoscendola. Ma solo all'inizio.
Quella madre, alla fine di se stessa, da salvare.
L’autrice è così brava a introdurci nella cucina spoglia e sporca, nella stanza da letto divisa con tutti gli sconosciuti fratelli, nel bagno già usato e chiazzato di acqua ovunque, nella continua ricerca di una spiegazione che tarderà ad arrivare e nel nuovo mondo di questa sorella che non ha un nome.
Arminuta si chiama, che nel dialetto abruzzese significa ritornata, restituita.
I brevi capitoli, anzi brevissimi, mi conducono a piccole dosi in una storia che sarebbe tristissima se non fosse un continuo riscoprire dolcissime e inaspettate attenzioni. Ovvia. Naturale.
Non l’ha mai chiamata. Non con quella parola strozzata, morta in gola. Mamma.
Mi commuovono i grandi slanci di amicizia e di affetto e di ricerca e di compagnia reciproca. Di comprensione.
E’un romanzo a tratti poetico con grandissimi slanci di passione, rabbia, disperazione, sentimenti che si rincorrono continuamente. Due sorelle, perché tali sono nella realtà, ma sorelle…perché lo diventano. Nella protezione, nell'aiuto, nell'intima condivisione, nella compagnia.
Chi dice che il mestiere di madre è uguale per tutti sbaglia. Per alcuni è ulteriormente più difficile e faticoso. Ma ci sono gesti, a volte solo sguardi, che restano, anche se ce ne accorgiamo solo dopo.
Ci sono sorelle che sono anche madri.
Avere due madri o nessuna, e non avere un nome. Il nome è tutto, ti fa sentire al mondo e accettata. Ed è ancora più importante che ti chiamino col nome che tu hai scelto per te, per sentirti, per riconoscerti.
“Lo sanno tutti. Lo sapevano tutti e io no.”
“Poi si è spogliata anche lei e ha lasciato i vestiti sulla sabbia tiepida, insieme alla sua paura. Si è affidata alla mia mano e siamo entrate, con la biancheria intima addosso. … mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Nella complicità ci siamo salvate.”
La sorella di tutti i giorni. Mi guarda. La guardo.
Il finale da solo vale tutto il romanzo. La sua poesia da sola vale tutto il racconto. Che è potente e bellissimo.
Buone prossime letture a tutti.
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Il dolore che si supera
Chi non ha avuto almeno un trauma nel corso della propria vita?
Donatella Di Pietrantonio riesce, attraverso la sua scrittura, ad esprimere appieno il dramma di una bambina, quasi adolescente, che si scontra con l’asprezza di una vita, troppo difficile per chi ancora deve capire come funziona a il mondo.
Il dolore dell’abbandono ci perseguita durante la lettura di questo libro e non possiamo fare a meno di non immedesimarci e farci coinvolgere dalla protagonista, che, riesce ad affrontare una peripezia di eventi quasi indicibile. Una bambina che come un arbusto appena nato, si piega, ma non si spezza. Una bambina che cresce in fretta a causa della vita.
La scrittrice narra delle sue terre d’origine, l’Abruzzo, in quegli anni 70 che vedevano sempre più accrescere il divario fra nord e sud, fra centro urbano e periferia.
Un libro amaro, ma che tiene incollati alla lettura; un libro che fa riflettere e ci pone di fronte alle grandi questioni della vita.
Un libro da leggere.
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Una storia graffiante
Ultimamente, così per caso, mi è capitato di leggere più di un libro che parlasse in qualche modo di adozione e abbandono. Prima "Il linguaggio segreto dei fiori" di Vanessa Diffenbaug (credo si scriva così), poi "Le luci nelle case degli altri" di Chiara Gamberale e infine "L'Arminuta". Dunque il tema rischiava di sembrarmi banale, ma, nonostante gli altri due libri siano più descrittivi, l'arminuta é il più bello dei tre. L'ho letto sotto vivo e insistente consiglio di un'amica che lo dichiarava la sua migliore lettura dell'estate. In effetti le mie aspettative sono state soddisfatte. Il merito di questo libro é una scrittura scarna e graffiante. L'autrice non ci dice mai più del necessario, non si sofferma mai a descrivere nemmeno i sentimenti ma ce li lascia intravedere, non racconta tutto, lascia immaginare. A volte ho pensato che la storia fosse troppo breve, avrei voluto saperne di più. Alcuni personaggi sono appena accennati, persino la protagonista spicca molto meno rispetto all'unico personaggio ben delineato che è la sorella Adriana, per la quale io da lettrice ho provato grande affetto. La madre adottiva Adalgisa é quella che secondo me richiedeva maggiore spiegazione e descrizione, resta invece un personaggio distante e scialbo, diverso da come lo si immagina all'inizio, che finisce per sembrare rude e cattivo più della distaccata madre naturale in cui invece si posso leggere i segni e le ferite del dolore che la rendono così. La decisione di Adalgisa di ridare indietro la ragazzina, per quanto venga spiegata alla fine del libro, rimane superficiale, non sembra una scelta dolorosa, anzi, é del tutto priva di affetto. Questo distacco però, pur lasciando un po' deluso il lettore che aveva immaginato qualcosa di diverso e più complesso, rende benissimo lo smarrimento e la sofferenza della protagonista. Tutto è alla fine ben delineato attraverso delle pennellate nette e decise che caricano di significato tutta la storia. Sicuramente non è paragonabile all'Amica geniale di Elena Ferrante, che racconta storie altrettanto graffianti ma si sofferma molto di più sulla psiche dei personaggi, con descrizioni efficaci e potenti. Tuttavia la potenza di questo romanzo é il riuscire a esprimere tutto in poche pagine. D'altronde il premio Campiello é più che meritato. All'inizio la lettura era scorrevole ma credevo non mi avrebbe lasciato molto, ma alla fine del libro mi sono ritrovata quasi in lacrime. Allora, non me ne sono resa conto subito, ma vuol dire che la storia ha funzionato!
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L'amica geniale -Elena Ferrante
Riportata
Questo romanzo di Donatella di Pietrantonio è stato un caso letterario, poi vincitore del Premio Campiello 2017. E’ ritenuto quasi unanimamente un piccolo capolavoro ma, anche se a malincuore, devo dissentire. Il romanzo è scritto bene, la storia è toccante, la lettura interessante, ma l’impressione è che tutto rimanga in superficie; manca l’approfondimento psicologico, la caratterizzazione dei personaggi è solo accennata, non va mai veramente a fondo. La di Pietrantonio mette davanti al lettore un tema importantissimo come la maternità (ma anche l’affido dei bambini) senza riuscire però a scuoterlo, a far sì che si ponga delle domande o almeno che sia partecipe. In due parole questo romanzo manca di passione, non mi ha emozionata e dopo qualche giorno di sedimentazione della lettura mi sono accorta che non mi è rimasto nulla. Credo che tutto questo sia dovuto tanto alla scrittura scarna, tagliente, senza fronzoli ma forse troppo povera che alla brevità del romanzo stesso, un po’ più di pagine non avrebbe guastato. A scusante della scrittura si può dire che il racconto è fatto dall’ arminuta stessa che è una bambina di 13 anni e quindi l’autrice si è dovuta calare nel linguaggio proprio di quell’età anche se, ripeto, rimane molto distaccato; interessante invece è la mescolanza di dialetto e italiano che da verve alla prosa risultando comunque leggibilissimo. La storia inizia con una bambina che viene rimandata alla sua famiglia naturale da quelli che credeva essere i suoi veri genitori; in un attimo la sua esistenza viene stravolta: passa da una vita agiata e piena di attenzioni a quella povera sia di denaro che di sentimenti della nuova donna che lei non riuscirà mai a chiamare mamma. Al posto della sua cameretta con i poster trova uno stanzone dove tutti dormono insieme, i genitori e gli altri fratelli, tre grandi, un bambino piccolo e una femmina, la piccola Adriana. E’ proprio lei che illumina con la sua figura questo libro, lei che dal primo momento la riconosce come parte di sé, la prende per mano e l’aiuta a vivere e a difendersi in quel mondo così ostile e sconosciuto. Il fratello più grande, Vincenzo, non la riconosce invece come suo sangue e se ne innamora come donna, in realtà innamorandosi di quello che a lui manca, di quello che lui non avrebbe mai potuto essere. Molto suggestiva è la giornata che i tre passano al mare. L’azione si svolge negli anni ‘70 in Abruzzo (il dialetto è quello, arminuta significa ritornata) tra un paese di montagna e la “città di mare” dove viveva prima; ma perché i genitori l’hanno rimandata indietro? E perché la prima madre, pur non volendo più né vederla né parlarle, l’aiuta con doni e denaro? E’ forse malata? Tutte queste domande avranno naturalmente una risposta, una triste, vigliacca risposta. A mio avviso la figura della madre “adottiva” è veramente spregevole, cosa che viene confermata nel troppo affrettato finale. Alla fine si dimostra una “donnetta” differentemente dalla madre naturale che, nella miseria, ha dovuto fare a suo tempo una scelta dolorosissima pensando che fosse per il bene. I genitori naturali sanno che la loro è una bambina speciale, la trattano con rispetto e hanno il loro modo rude di dimostrarle amore, quasi non credono che sia figlia loro tanto è diversa –“..sulla porta mia madre aveva avuto un ripensamento e si era voltata indietro. “alla scuola non ci so andata, ma stupida io non ci sono professore’ l’ho capito pure da sola che essa tiene il cervello per lo studio” Mi toccava la testa parlando… “ Vedo come posso arrangiarmi e la faccio continuare”…”-.
Non sapremo mai il nome de l’Arminuta: un nome implica che si è un individuo, lei invece per tutti i suoi genitori è stata solamente un fardello.