Narrativa italiana Romanzi L'anno che a Roma fu due volte Natale
 

L'anno che a Roma fu due volte Natale L'anno che a Roma fu due volte Natale

L'anno che a Roma fu due volte Natale

Letteratura italiana

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Villaggio Tognazzi, Torvaianica, sul litorale romano. Alfreda, un’accumulatrice seriale con i primi segni di demenza senile, ha reso il suo villino un tugurio invivibile, dove vive per inerzia tra insetti e cianfrusaglie. Sopra di lei abita il figlio Marco, un giovane fattone, profondamente insicuro, la cui unica occupazione è accudire la madre. Lo spettro di un’azione da parte dell’Ufficio d’igiene rende necessario svuotare in fretta la casa, pena lo sfratto. Alcuni sgangherati amici, assidui frequentatori del bar Vanda, si attivano per sgomberarla, ma la proprietaria si oppone. Da qualche tempo Alfreda soffre di disturbi del sonno durante i quali le appare Sandra Mondaini, che ha conosciuto ai tempi d’oro del Villaggio Tognazzi, quando era il ritrovo estivo del jet set culturale italiano. Alfreda, nei suoi deliri notturni, immagina di parlare con l’attrice, sofferente per la “separazione” dal marito Raimondo Vianello, che riposa a Roma mentre lei è sepolta a Milano. Anche Alfreda non si è mai ricongiunta al marito, scomparso in mare durante una pesca notturna e mai più ritrovato. Alfreda decide di mettere fine a quella “ingiustizia” e pone al figlio una condizione per lo sgombero del villino: trafugare la salma di Raimondo dal Verano e portarla al cimitero di Lambrate, da Sandra. Dopo le prime resistenze, Marco getta le basi del piano, aiutato da Carlo, un vecchio pescatore, e da Er Donna, il travestito più ambito della Pontina.



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L'anno che a Roma fu due volte Natale 2021-06-04 19:36:05 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    04 Giugno, 2021
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Roberto Venturini

Ho letto questo libro perché candidato nella dozzina dello Strega (li sto leggendo tutti), ma non sapevo bene cosa aspettarmi.
Autore a me sconosciuto, titolo originale che, chissà perché, mi portava a credere ad un giallo/noir, ma poi, leggendo le prime pagine ho capito di sbagliarmi... con mia grande gioia.

Mi sono trovata di fronte due personaggi problematici: Alfreda, una donna obesa, accumulatrice compulsiva, con chiari segni di demenza senile e suo figlio Marco, un ragazzo dedito alle droghe e al sesso, ma completamente dipendente dall'amore materno.
Bravissimo Venturini nella descrizione della donna, ormai completamente alla deriva in seguito ad una perdita importante, che si muove in una casa fatiscente, ingombra di scatoloni, oggetti, vestiti, utensili sporchi, spazzatura, tutta roba da buttare e da cui non riesce più a separarsi, e con cui crede di poter riempire un vuoto interiore lacerante.
Una casa popolata da formiche che le camminano addosso, scarafaggi che si muovono indisturbati tra le pentole, muffa, insetti e tutto ciò che può attecchire su superfici ricoperte da residui di cibo e mai lavate...

Di contorno troviamo altri due personaggi, abbastanza reietti e disperati: un pescatore che si porta addosso un senso di colpa pesantissimo e un transessuale dal cuore spezzato, entrambi segnati da una perdita dolorosa.

Il tutto incastonato in un paesaggio di periferia dall'odore salmastro e pungente (siamo a Torvaianica), in un villaggio ("Villaggio Tognazzi") che in passato ha vantato un illustre inquilino del mondo del cinema, con un via vai di personaggi della cultura e dello spettacolo... e che ormai si avvia verso la decadenza.

Mi pregustavo già l'esplorazione di una situazione di disagio e degrado dovuto alla "perdita", attraverso un punto di vista ed una scrittura che mi sono parsi subito originali ed intelligenti... ma poi, nella seconda parte del romanzo, la narrazione ha preso una direzione completamente diversa, e molto lontana da quanto sperassi, sfociando in situazioni tragicomiche.
Grottesche.

Il fulcro del racconto si sposta radicalmente dai problemi esistenziali di madre e figlio al ratto della salma di un personaggio dello spettacolo, con tutta una serie di scene, sicuramente molto cinematografiche (e che richiamano la commedia italiana degli anni '70), ma che si allontanano completamente dallo scavo psicologico e sociale a cui già (erroneamente) ambivo.

Mi sono sentita come un soufflè che si sgonfia appena apri lo sportello del forno...

Peccato, perché la scrittura di Venturini mi è piaciuta parecchio, mi è piaciuto il suo tuffarsi nel ricordo di periodi luminosi, di pubblicità di quando io ero bambina, di richiami nostalgici di tempi passati...
Bello anche l'uso della lingua sapientemente intervallata da idiomi dialettali.

Insomma il libro ha una sua spiccata personalità, va esattamente dove doveva e voleva andare... quella sbagliata sono stata io e le mie aspettative.
Quindi bravo Venturini, comunque.

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