L'anno capovolto
Letteratura italiana
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Un capodanno corale
Loro. Chi? Loro. Loro, amiche e amici che si ritrovano insieme per festeggiare la fine di un anno e l’inizio di un nuovo lustro in una villa e in una serata dalle tante aspettative non sempre riuscite, spesso disattese. È proprio l’imprevedibilità quel che più segna queste pagine, pagine che narrano di pensieri, problemi, gioie e successi, pagine che ci parlano di un tempo che scorre di cui vorremmo essere padroni esattamente come del mondo circostante. E poi c’è lei: la clessidra. Che sia questa, forse, la vera protagonista? Strumento che scandisce il tempo, che segna la linea di demarcazione tra lo ieri e l’oggi, l’ora precedente e l’ora successiva, clessidra che può contenere anche “altro”.
Venti storie, venti volti, venti persone. Un romanzo corale dove ciascuno racconta la propria verità nella convinzione più semplice di poter tenere celati i propri segreti. È una festa di “illusioni” ed “illusi”, di maschere falsamente e brevemente indossate in quanto sono gli umori altrui a dettare gli effetti sugli umori propri.
La finzione è uno dei temi più presenti in “L’anno capovolto”, una finzione pirandelliana quanto umana, in cui la sottigliezza dell’io mette in inganno con l’altro perché alcune verità non possono essere dette ma possono essere scoperte. Esattamente come quelle colpe che ciascuno si porta con sé insieme ai tanti segreti dell’animo. La confessione diventa uno strumento per difendersi dal giudizio altrui, dall’accusa, ma anche da se stessi e dal dover fare i conti con quel che si è. Talvolta a regnare può essere una profonda sensazione di impotenza, di fallimento, di necessità, di brama di successo e denaro, chi si illude della perfezione di una vita imperfetta e di un cinismo che diventa strumento con cui far fronte alle difficoltà, di un disprezzo che falsamente dovrebbe sdrammatizzare ma in realtà è specchio di verità. L’arrivo della mezzanotte forse riuscirà a mettere tutte le voci narranti d’accordo, sul come, ci sarebbe molto da dire.
Il teatro costruito da Innocenti ha tanti buoni propositi di riflessione ma talvolta, il copione, non riesce a soddisfare le aspettative del pubblico spettatore. Tra queste pagine si percepiscono gli intenti ma si percepisce anche una dissonanza, una difformità che non rende la voce corale uniforme quanto individuale.
Le storie si susseguono rapide ma non risultano ben coese tra loro. Sono tante, forse troppe, creano frammentarietà. Nel far ciò si percepisce un senso di mancanza, come se un qualcosa sfuggisse. Le vicende non riescono ad arrivare nella loro interezza, non riescono a coinvolgere completamente perché sono percepite più come singoli racconti “raccolti” che come un flusso di tante voci volte a ricostruire un disegno unico. I personaggi sono disillusi, non hanno aspettative, non temono di ingannare l’altro ma sembrano procedere su binari paralleli non destinati a incontrarsi. Questa a differenza di tante altre storie narrate con la stessa impostazione ma finalizzate a ricostruire un disegno più grande e uniforme, come le estremità di un cerchio che si ricongiungono. Interessante il gioco tra finzione e realtà ma a tratti, l’opera, non esula dal ricordare il film “Perfetti sconosciuti” al punto da far un po’ perdere di interesse al lettore. Tra i lati positivi il fatto di poter rappresentare una forma di sceneggiatura che lo rende papabile per una eventuale trasposizione.
In conclusione, un romanzo con un buon potenziale non completamente sviluppato e che fatica a trattenere completamente il lettore.
Indicazioni utili
- sì
- no