L'anniversario
Letteratura italiana
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Quale salvezza?
…una finzione protratta per quarantuno anni, giorno dopo giorno…
Un lessico famigliare ripetuto, gesti che fanno male, monosillabi di infelicita’, silenzi parlanti, giorni trascorsi in un ristretto spazio non condiviso, lo sguardo sulla propria sofferenza, su quello che resta di se’ nella consapevolezza tardiva di una vita da viversi altrove.
Le parole addolorate di un figlio quarantunenne in un romanzo sulla famiglia che ritorna all’ origine, a quei genitori abbandonatati da dieci anni, un racconto dell’ inverosimile, quel legame ancestrale che sopravvive al proprio senso insensato.
Nella stesura del romanzo il potere dell’ invenzione supera il ricordo separandosi dal reale per accedere al vero, scindendo i genitori l’ uno dall’ altro per viverli singolarmente, la scrittura un modo per leggersi dentro, trasferire emozioni inarrivabili, sentimenti difficili da allocare, grazie alle parole giuste, scavando nei ricordi, in un dialogo personale e con quella parte degli altri incisa dentro di se’.
Il breve romanzo di Bajani penetra con grazia, eleganza e una certa dose di imbarazzo i segreti inconfessabili di una famiglia come tante, vestita di normalità, una vita apparecchiata per conservarsi, al suo interno errori, mancanze, violenze, una coazione a ripetere, ruoli stabiliti cui attenersi.
Tra le pagine dettagli, riflessioni, ricordi, un giudizio personale schietto, il tacito dolore di un figlio nel difficile compito di rivelare l’ incomprensibile.
I propri genitori, figure antitetiche e complementari, una simbiosi costruita sulla fragile negazione dell’ una e sull’ ingombrante presenza dell’ altro, un rapporto di forze squilibrato ma necessario per sopravvivere.
Della madre poco da dire, una vita piccolo borghese, studi classici, nessuna traccia prima del matrimonio, un corpo inesistente, una donna timida e schiva che ha fatto di tutto per non apparire, una presenza-assenza che ha sacrificato se stessa per preservare l’ idea di un amore.
Per contro un padre-padrone violento, maniacale, manipolatore, che si legittima delegittimando gli altri, un passato irrisolto, che esige scuse dalle sue vittime, figlio di un patriarcato che rasenta il totalitarismo, voce unica e braccio della legge.
All’ interno di questa idea di famiglia distorta e manipolatoria i due genitori sopravvivono ai propri fraintendimenti, il niente dell’ uno nell’ ingombrante presenza dell’ altro, il non essere già’ qualcosa, un patto vicendevole mai espresso, il loro segreto, un corpo che si sottrae e uno che avanza, negandosi per legittimare una presenza, perdonando per farsi perdonare, la consapevole e irrazionale protezione dell’ altro dal male che fa a tutta la famiglia.
Dopo il trasferimento da Roma, negli anni ‘ 70 epicentro della vita socio-politica italiana, alla provincia piemontese, c’è chi vive in uno spazio intermedio tra il succedersi delle cose e il prenderne atto, uno stato di distrazione per salvarsi, la negazione di se’ per non essere visti e colpiti.
C’è chi fa uso della violenza per farsi amare, trasformando la vita dell’ altro in un deserto, un luogo che solo una madre è in grado di abitare, rinunciando a tutto e a tutti, una donna che non ha paura del marito.
C’è un figlio che non ha avuto la forza di denunciare, di andarsene definitivamente, avvelenato e costretto all’ anestesia del presente, tra parole ripetute e insignificanti, gesti che pesano come macigni, lo sguardo sull’ inguardabile, chiedendosi origine e significato di tutto questo, occhi che guardano altrove, a un amore, a un’ idea di famiglia sostitutiva, a qualcuno che sappia ascoltare e dare consigli.
E ci sarà un distacco, inevitabile, definitivo, per riuscire a vivere, respirare, assaporare la libertà , grato a chi gli ha permesso di comprendere che
…uno dei modi per esprimere la violenza era la distruzione ma l’ altro, più importante e per così dire virtuoso, era la precisione…
L’ Anniversario affronta un tema ben noto, la famiglia come convenzione sociale, sede di violenze fisiche e psicologiche, così lontana dall’ idea di focolare domestico in cui crescere, amare, essere amati. Lo fa a posteriori, quando tutto ormai è perduto, paura e timore hanno capillarizzato le vittime designate riducendole al terrore e alla masochistica indifferenza.
Nel mezzo una vita a propria immagine e somiglianza da parte di chi, a sua volta, si ritiene una vittima, forse lo è stata, e continua a imperversare sulla propria famiglia, ignorandone l’ essenza primaria.
Il dolore può cronicizzare, ci si può convivere, a lungo e con mille artifici, ma giunge il momento in cui va definitivamente estirpato, prima che si faccia insopportabile.
Indicazioni utili
contesto familiare e sofferenza
Ho acquistato il libro a scatola chiusa, in quanto avevo già molto apprezzato l'Autore, specie in "se consideri le colpe". La prosa anche qui è sublime, t'incanta questa scrittura melodiosa, dolce, penetrante.
Il romanzo, breve, è un intenso racconto delle vicende e dinamiche familiari ricostruite a posteriori dall'io narrante che decide, adulto, di prendere le distanze dai genitori, di fatto abbandonandoli.
La leggerezza che prova, nel lasciarseli alle spalle, è pari alla pesantezza che ha pervaso la sua vita fin lì, pesantezza derivante dal contesto familiare in cui si è (suo malgrado) trovato a vivere.
È un romanzo totalmente introspettivo, psicologico, descrivendo il faticoso percorso del protagonista volto a liberarsi, emanciparsi dalla famiglia di origine, luogo violento, asfissiante, disfunzionale, che ha segnato profondamente la sua personalità. Non è una lettura scorrevole, a tratti l'ho trovata anche pesante, ma ciò è comunque bilanciato dal numero ridotto di pagine. Consente una riflessione importante. A volte si sentono commenti di incredulità di fronte a figli che decidono di troncare i rapporti con i loro genitori, che decidono di non prendersi a carico la loro vecchiaia, che decidono di andare a vivere altrove, molto lontano dai luoghi (bui) dell'infanzia. Non siamo nessuno per giudicare le scelte degli altri, non sappiamo come e dove le persone sono cresciute, come e dove hanno vissuto, quanto hanno patito. La famiglia, lungi dall'essere quel luogo che il sentire comune si ostina a dipingere come il nido, come il posto dove siamo cullati in una bolla di accoglienza, di calore, di amore, diviene a volte in realtà la fonte primaria di disagio e di sofferenza; bambini senza strumenti per capire e per difendersi da pesanti dinamiche relazionali vissute in famiglia; bambini che subiscono violenze, anche sottili, che poi da adulti sviluppano vulnerabilità se non vere e proprie patologie. Questo dunque: serve forza, ma è comunque possibile agire, liberarsi dai sensi di colpa per quello che la società ritiene abietto e pensare, secondo una logica di sano, sanissimo egoismo, a difendere sé, per iniziare a vivere pienamente, liberi dal passato che ingabbiava in sofferenze. E celebrare poi l'anniversario di questa rinascita.