L'amore rubato
Letteratura italiana
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«Sepolta dentro di me, non è bello?»
Dacia Maraini tocca le corde più profonde dell’animo umano con otto racconti di straziante intensità. Sono racconti di abusi, di stupri, di perversioni. Il libro fa riflettere sulla definizione di amore. Al termine di ogni racconto è normale chiedersi che cosa sia davvero l’amore perché quello che appare amore si tramuta in delirio. Il quadro che viene dipinto è fosco e l’aggettivo fosco è probabilmente troppo tenero. Le protagoniste femminili combattono una battaglia antica e sempre attuale contro uomini incapaci di ricambiare; l’amore viene confuso con il possesso, l’altra persona viene considerata un bisogno. L’amore, e qui si spiega il titolo della raccolta, viene letteralmente rubato, sradicato, cancellato, trasformato in odio. Chi patisce le conseguenze sono bambine inconsapevoli che non sanno e donne che si donano troppo. Lo strazio è crescente e ogni racconto lascia una ferita diversa. Sono ferite profonde perché le storie proposte dalla Maraini non sono campate per aria, non sono fantascienza. Sono purtroppo storie che si sentono ogni giorno nella vita reale, non solo in quella impressa nero su bianco sui fogli di un libro. Insomma, sono storie che toccano da vicino la sensibilità di chi vive questa società. Dunque, risulta impossibile restare indifferenti di fronte a quanto scritto dall’autrice e l’esperienza diventa travolgente. Al termine di un racconto è difficile ripartire subito con quello successivo perché l’animo è sconquassato da cotanta violenza.
Il grande merito della Maraini risiede nell’aver affrontato tematiche delicatissime con tatto ed eleganza stilistica. Non scrive questi racconti tanto per suggestionare il lettore, li cura nel dettaglio e li rende ancor più vivi e vibranti. La prosa è lineare, pulita e semplice. Lo scritto si lascia leggere con facilità. Le frasi sono molto moderne, sono brevi e non ci sono tante subordinate. Il ritmo è spedito e in tutti i racconti è un crescendo di pathos fino all’esecuzione. I racconti hanno anche un altro merito, quello di differenziarsi non soltanto per il contenuto ma anche per la struttura narrativa. Cambiano, infatti, i punti di vista e le voci narranti. In “Marina è caduta per le scale” il narratore è in terza persona. L’attenzione è posta dapprima sul dottor Gianni Lenti, il quale nel giro di un mese è costretto ad accogliere più di una volta al pronto soccorso la diciassettenne Marina Savina, una ragazzina coniugata che sembra «cieca e sorda». Lenti si insospettisce per queste cadute dalle scale così strane e ripetute e segnala la cosa agli assistenti sociali. L’assistente di turno, la timida Angela Toro (la contrapposizione tra l’aggettivo e il cognome è voluta dalla Maraini), va a visionare la casa in cui abita Marina ma viene persuasa dal marito di lei e lascia correre. Il dramma fiutato dal dottor Lenti è invece reale: Marina è succube e prigioniera, non soffre di alcuna crisi epilettica a differenza di quanto dichiara all’assistente sociale il marito. Si scopre che l’uomo ha perso la madre a sette anni, uccisa da suo padre davanti ai suoi occhi, e anche Marina è orfana fin dall’infanzia. Ecco quindi che la Maraini, come farà in ogni altro racconto, cerca di dare una spiegazione del legame tossico tra uomo e donna.
Anche in “La bambina Venezia” il narratore è in terza persona. Ottavio e Letizia riescono a concepire Venezia quando nessuno se l’aspettava più. La bambina si dimostra immediatamente precoce: Letizia desidera un futuro da studiosa, mentre Ottavio la indirizza al mondo della moda. Venezia viene sradicata dalla sua infanzia e viene trasformata in una piccola reginetta della moda. Diventa una macchina da soldi per la famiglia e diventa per il padre Ottavio un assoluto mito da idolatrare. Venezia, in poco tempo, riesce a mescolare l’innocenza alla perversione e si cala nel suo ruolo di modella. Il dramma, però, è presto servito. Venezia viene rapita e scompare nel nulla. La sua carriera termina e cessa anche l’esistenza di Ottavio e Letizia. Il padre viene paragonato a un Orlando furioso «che per amore venne in furore e matto / d’uom che sì saggio era stimato prima»; perde precocemente la vita e non scoprirà mai la terribile verità che era rimasta nascosta per tanti anni sulla scomparsa della figlia. L’insegnamento che emerge è atroce: la bellezza è una trappola ingorda, soprattutto per le ragazze.
“Lo stupratore premuroso” ha come protagonista Giorgia, che si trova in una piccola stazione in Spagna e deve raggiungere per tempo Siviglia per salutare il marito in partenza. Come un angelo salvifico si presenta un uomo, appartenente al corpo di polizia della stazione, che offre a Giorgia un passaggio in macchina, ma da salvatore l’uomo si tramuta in stupratore. Ha una visione dell’amore totalmente fallata; dichiara che l’amore dev’essere violenza perché le donne amano essere violentate. Dopo aver espresso il suo concetto di amore sul corpo di Giorgia, torna premuroso e accompagna effettivamente la ragazza a Siviglia. Ciò che sorprende è l’epilogo. La ragazza, infatti, denuncia in stazione l’aggressione ma la risposta che riceve, nonostante i lividi mostrati, l’occhio gonfio, il labbro spaccato, la ferita sulla fronte, è la seguente: «Questo non significa niente. Sa quante mitomani vengono qui a denunciare cose false?».
“Cronaca di una violenza di gruppo” è per l’appunto una cronaca, nella quale vengono registrati gli interventi dei diversi protagonisti della vicenda di fronte al commissario di polizia. L’aspetto abominevole della vicenda è l’accusa che viene mossa contro la ragazza violentata (Francesca), figlia del falegname del paese (Michele Gentili, per tutti Agonia: e anche questo soprannome non è casuale). Si giustifica l’azione del gruppo perché Francesca era solita portare gonne corte, era solita ridere di tutti, anche dei ragazzi che sono padroni del paese. Addirittura un ragazzo, Alessio, nella sua testimonianza dice che Francesca durante l’aggressione urla non tanto per il dolore che prova, quanto perché voleva essere pagata per quella prestazione sessuale. Il racconto si chiude con due articoli di giornale che riassumono a distanza di mesi l’evolversi delle vicende processuali. I ragazzini vengono scagionati perché dietro alle loro azioni c’erano due presunti adulti che non sono stati identificati ma che venivano dalla grande città. “Giustizia” è stata fatta, ha vinto l’innocenza, quella persa brutalmente da Francesca, l’unica vera carnefice.
“Ale e il bambino mai nato” tratta di un’altra tematica potente: l’aborto. Si parla dell’aborto reso necessario dopo un’aggressione subita e si parla di un aborto clandestino, successivo ai tempi previsti dalla legge. Gli aguzzini di Ale si incontrano sulle scale del palazzo in cui esercita il dottore: da una parte l’assalitore, un noto presentatore televisivo, dall’altra il ginecologo illegale. Alla fine, il dubbio di Ale è sempre il medesimo: denuncio entrambi oppure no, ne parlo con mamma e sorella oppure no. In ballo c’è la sua dignità.
“La sposa segreta” è quel racconto che nella vita non vorresti mai leggere perché è una tortura unica, un dramma famigliare degno delle antiche tragedie greche. Le sfortunate protagoniste sono tre donne: la mamma Carmelina e le bambine Giusi e Rosaria. Gli abusi esercitati dal secondo marito di Carmelina su Giusi e Rosaria sono subdoli e angoscianti. L’astuto pianista trasforma le figliastre in complici sfruttando quella fiducia assoluta che i bambini hanno per gli adulti, soprattutto per i famigliari. Crea una rete di dolori, ricatti, seduzioni e complicità, lasciando all’oscuro Carmelina. Tradisce dapprima la moglie andando con la decenne Giusi, poi tradisce Giusi con sua sorella Rosaria. Giusi e Rosaria diventano le sue spose segrete; sono due bambine iniziate troppo presto al sesso e diventate nemiche di loro stesse. Il dramma termina con i sensi di colpa: quelli pesantissimi delle figlie (Giusi muore per overdose, Rosaria si dà al fumo e all’alcol), quelli di Carmelina che non si capacita di non aver capito cosa stava accadendo in casa sua, presa dal lavoro e da una carriera professionale in ascesa, e quelli deplorevoli del patrigno pianista, che si colpevolizza soltanto per aver fatto ingelosire Giusi che ha mandato in frantumi il suo mondo perverso.
“La notte della gelosia” parla di Gesuino, un cultore del suo fisico al quale ogni sorriso sembra costare una sfibrante fatica. A parlarci di Gesuino è in prima persona colei la quale si innamora del ragazzo e rischierà di perdere la vita a causa sua. I segnali della morbosità di Gesuino sono evidenti fin da subito: «Quando una persona mi interessa, divento in effetti una spia, ma senza malizia»; «Forse sono davvero un lupo. Ti mangerò prima o poi. Mi piace pensare che farai parte del mio corpo. Sepolta dentro di me, non è bello? In fondo il cristiano che ingoia l’ostia cosa fa se non seppellire Dio dentro di sé?». La ragazza, acciecata dal sentimento, attribuisce la violenza alla possessività di Gesuino, dettata, al suo ingenuo intendere, dal troppo amore; si sente quasi onnipotente: «Io ce la farò, io lo guarirò, io lo farò rinsavire». Ovviamente, non riuscirà a cambiarlo ma avrà il coraggio di denunciare il problema a due suoi amici e soltanto in questo modo salverà la sua vita.
Nell’ottavo racconto la voce narrante è quella del padre di Anna, uccisa brutalmente dal suo amante, Tito Porcelli (anche in questo racconto il nome non è casuale), conosciuto da tutti come il Moro (noto cantante impegnato in tournée internazionali). Seguire lo spegnimento e l’uccisione di una figlia, dal punto di vista di un padre è dura da digerire. L’uomo parla con il senno del poi, si tempesta di domande: perché non ha dato retta al suo istinto iniziale, perché non è intervenuto, perché non ha capito prima; si chiede anche se si può imporre a una persona la salvezza se non la vuole, anzi se vi si oppone con tutte le forze. Ha creduto alle menzogne di sua figlia, che negava l’evidenza; le ha creduto per non accettare una realtà che purtroppo si stava materializzando sotto i suoi occhi. Erano stupide menzogne tra un padre e una figlia che si amavano e pensavano di salvaguardarsi raccontandosi delle bugie. Privato del bene più prezioso al mondo, sua figlia, da un uomo ricco, famoso, viscido, prepotente e violento, il padre si rende protagonista di una cosa non da tutti: prova pietà per il Moro e per quella che è stata la sua condizione infantile (abbandonato dal padre quando era piccolo e con una madre morta suicida; picchiato di santa ragione al collegio), ma non riesce a perdonarlo e non riesce nemmeno a perdonare se stesso per non essere stato capace di difendere sua figlia Anna.
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Terribile!
Dacia Maraini ci lascia 8 racconti, alcuni dei quali scritti in prima persona, tutti con il denominatore comune della violenza sulle donne.
A metà tra giornalismo e opera letteraria, le otto storie vengono presentate al lettore con una prosa pulita, limpida e terribile. I racconti sono belli ma non credo che l'autrice puntasse al successo letterario quanto alla denuncia di un fenomeno diffuso e agghiacciante. I racconti più terribili sono sicuramente quelli che riguardano i bambini ma anche l'ultimo, scritto in prima persona da un padre che non ha capito in tempo o forse non ha voluto capire, la violenza che stava subendo sua figlia tra le mura domestiche. Il non voler capire nonostante i campanelli d'allarme, nonostante in fondo al cuore avesse già capito alla prima occhiata, è situazione comune a molti racconti. Altro motivo ricorrente è l'inspiegabile complicità tra vittime e colpevole in una confusione emotiva e psicologica di ruoli per cui la vittima anzichè difendersi finisce per giustificare l'aggressore. Terribile anche la storia della violenza di gruppo sulla dodicenne, non solo per la violenza in sè ma per gli articoli di giornale riportati da cui si evince chiaramente come la società, il paese, la scuola si siano schierati compatti dalla parte dei più forti, i figli di papà, relegando all'angolo la ragazzina che ha subito la violenza, orfana di madre e con il padre troppo "semplice", colpevole di ridere troppo e di indossare a dodici anni sulle gambette magrissime gonne troppo corte.
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Consigliato
Dacia Maraini in questo breve libro ci racconta davvero l’amore rubato, diviso in 8 racconti tristi commoventi e purtroppo veri, sono fatti di cronaca realmente accaduti.
Quante donne sono già state uccise per “amore” o gelosia dall’inizio dell’anno ? Sicuramente troppe, uccise da persone che hanno amato, di cui sono fidate e con cui spesso hanno costruito una famiglia o magari hanno pensato di farlo.
Marina è un po’ distratta, cade sempre dalle scale e finisce al pronto soccorso , Venezia ha pagato il troppo amore del padre, Giorgia Francesca e Alessandra sono state stuprate, Angela si è salvata grazie a un momento di lucidità in cui ha capito che Gesuino poteva essere pericoloso, Anna purtroppo è morta lasciando a piangerla un padre che non riesce a darsi pace per non aver protetto abbastanza la sua bambina. Sono storie comuni ormai, storie che siamo abituati a sentire al telegiornale ma che spesso non riusciamo a capire, difficile spiegarsi come si possa vivere con un mostro che ti picchia e continuare a proteggerlo, sono cose che si capiscono solo vivendole, cose che da fuori non si possono giudicare .
Non avevo mai letto nulla di quest’autrice e devo dire che questo libro l’ho trovato davvero interessante, un tema attuale e delicato trattato con grande maestria e uno stile quasi giornalistico,non ci impone le sue emozioni, lascia che il lettore s’indigni o si commuova e viva liberamente le proprie. L’ho letto in un pomeriggio un po’ per la brevità e un po’ per la curiosità di leggere una nuova storia sperando nel lieto fine.
Lo consiglio a tutti ma soprattutto a chi pensa che la violenza sulle donne esista perché esse stesse lo permettono, per chi pensa che sono colpevoli di non riuscire a salvarsi , per chi giudica senza conoscere e con questi pensieri le uccide, le picchia e le stupra una volta di più.
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L'amore rubato
Nel suo ultimo lavoro Dacia Maraini torna ad indagare sulla condizione femminile, tema a cui ha dedicato tanta parte della sua produzione letteraria.
Sono narrate otto storie tratte da casi di cronaca; quella cronaca che ogni giorno ci parla di violenze e abusi, tanto da parlare di “femminicidio”, utilizzando un neologismo coniato dall'Onu.
Quello rappresentato è un amore rubato, infangato, orrendamente sottratto con odio, inganno e brutalità.
Le mani colpevoli e assassine sono spesso quelle di chi ti sta accanto, di chi ti dovrebbe avvolgere e proteggere con un caldo abbraccio.
Cosa si spezza nel cuore e nella mente di un uomo per portarlo ad abusare di una donna, talora compagna, figlia, amica, sorella?
E' una domanda che indigna e che ci trova sempre impreparati, ma che bisogna continuare a porsi.
Per chi conosce l'autrice, sa con che tenacia ed impegno si volge a trattare questi temi sociali scottanti, affidando alla letteratura il ruolo di denuncia e di testimone per comprendere il mondo ed interrogarsi su quale strada stia prendendo.
Come già in “Buio”, la Maraini narratrice presta la sua penna alle storie con rigore e nettezza quasi giornalistica, perchè le vicende esposte parlano da sole, gridando di dolore o sprofondando in un silenzio agghiacciante.
Quel silenzio frutto della paura e della ritorsione, dettato dalla condizione di soggezione instaurata tra vittima e carnefice.
Il silenzio dilaga tra queste pagine, come un mostro sfuggente contro cui è ancora tremendamente difficile combattere.
Ecco che l'autrice torna a dare voce alla cronaca per lanciare il suo messaggio, affinchè il muro del silenzio sia abbattuto non solo con l'utilizzo delle leggi ma anche con la diffusione di un nuova cultura, che sappia regolare i rapporti uomo-donna ripristinando la dignità ed il rispetto.
La Maraini sta dalla parte di chi preferisce parlare di tali temi scomodi, rischiando anche di risultare ripetitiva, ma visto l'aumento esponenziale dei reati di violenza sulle donne, è d'obbligo riflettere sulle cause e sulle possibili soluzioni.
Insomma, se questo è il mondo in cui viviamo, è meglio urlare tutta la nostra riprovazione, smettendo di pensare che possa solo toccare gli altri.
La violenza tra le mura domestiche e non solo, è divenuta una piaga sociale di vaste proporzioni, perciò ben vengano opere come queste, in cui non c'è spazio per la fantasia e lo svago, ma solo per la riflessione.
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"L'amore rubato" - Il commento di Bruno Elpis
L’amore rubato” è una raccolta di racconti, nei quali l’autrice (vincitrice nel 1990 del Campiello con “La lunga vita di Marianna Ucrìa” e nel 1999 del premio Strega con “Buio”) torna su uno degli argomenti che maggiormente le stanno a cuore: la violenza sulle donne. E lo fa ponendosi un interrogativo ben preciso.
Perché molte donne non si ribellano? Perché se ne stanno zitte a subire un predominio arrogante e feroce?
La causa di tale comportamento omissivo e complice ha una doppia matrice: culturale e psicologica.
“… Spesso fra carnefice e vittima si stabilisce un rapporto di complicità, anche se involontaria. La vittima vuole proteggere il suo aguzzino per liberarsi dai sensi di colpa.”
Eccole allora, le donne martirizzate da soprusi e atrocità. Sembra di vederle: ferite, colpite, sfigurate da ematomi e lividi nei ritratti che Dacia dedica a loro, con partecipazione sofferta e cosciente.
E sono Marina, in “Marina è caduta per le scale”, ove il titolo riproduce la giustificazione di copertura al pronto soccorso.
“La bambina Venezia”, vittima dell’amore soffocante e ‘sbagliato’ di un padre e della società dell’apparire, prima che di un orco.
Giorgia, caduta nelle grinfie dello “Stupratore premuroso” per sperimentare poi i meccanismi che spesso difendono più il delinquente che la vittima.
La fragile Franci della “Cronaca di una violenza di gruppo”, che non otterrà giustizia per le assurde reazioni di difesa, tutte a favore del più forte.
“Ale e il bambino mai nato”, ove la protagonista vive il dramma di una maternità indesiderata perché causata da una violenza originaria, alla quale seguono altre violenze e una reazione.
Giusy e Rosaria, entrambe destinate a recitare con il patrigno il ruolo de “La sposa segreta” di fronte alla madre Carmelina, anche lei vittima ignara e donna perdente.
Angela, che soccombe a Gesuino durante “La notte della gelosia”.
Anna, che non sopravvive, in “Anna e il Moro”, nel doloroso racconto di un padre che ha il rimorso di non essere intervenuto, di non aver capito …
Dacia Maraini, con la sua prosa schietta ed efficace, ripropone eventi che purtroppo leggiamo nella cronaca di tutti i giorni. Trasmette il suo messaggio di denuncia e svolge la sua critica attraverso la sequenza di storie destinate a coinvolgere il lettore in una nuova consapevolezza di fronte agli orrori della nostra società.
Bruno Elpis