Narrativa italiana Romanzi L'amore molesto
 

L'amore molesto L'amore molesto

L'amore molesto

Letteratura italiana

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Sullo sfondo di una Napoli dalle atmosfere grevi e soffocanti il viaggio di Delia all'interno di se stessa e del suo passato, nel tentativo di capire i motivi che hanno portato la madre a una morte misteriosa. I ricordi si aprono in un confronto con la figura della madre mai capita fino in fondo, amata e odiata a un tempo. Passato e presente si intrecciano e si confondono mentre Delia si sorprende a scoprire nuovi aspetti della sua personalità e di quella di sua madre. E finalmente i vuoti si riempiono.



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L'amore molesto 2020-10-31 05:23:56 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    31 Ottobre, 2020
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L'infanzia è una fabbrica di menzogne

Il corpo di Amalia viene ritrovato sulla spiaggia di Spaccavento, privo di vita e di indumenti, a parte un sensuale reggiseno firmato, insolito per l'età e la modestia di chi lo indossa. Morte accidentale? Suicidio? Omicidio? Delia, figlia della defunta, prova a far luce su quanto accaduto. La sua indagine sulla morte della madre si trasforma ben presto in un viaggio nel passato che procede tra le nebbie di ricordi sbiaditi, di violenze domestiche che fanno ancora male, di inconsulti gesti infantili che possono segnare la vita di una famiglia. Uomini gelosi e violenti, fantomatiche tresche amorose, fame e lavoro duro, si mischiano all'allegria dei giochi, portando i figli ad immedesimarsi nei genitori fino a raggiungere un punto di non ritorno. Intorno c'è un'ambientazione soffocante, plumbea, una Napoli dei bassifondi in cui povertà, volgarità, laidezza la fanno da padroni in maniera forse un po' forzata, inseguendo facili e discutibili stereotipi. La scrittura è fredda, schematica, così come fredda appare la protagonista, incapace di amare la propria famiglia, di legarsi a qualcuno, di provare piacere sessuale. Elementi che rendono difficile entrare in empatia con Delia e appassionarsi ad una lettura poco coinvolgente, ad una storia in cui i personaggi sembrano incapaci di provare alcun sentimento che non sia la rabbia. Più si avanza nel racconto, più Delia fa ordine nella sua mente, in quello che è stato un brutto passato che, per una forma di comprensibile autoprotezione, ha omesso per anni di ricordare con lucidità, perché in fondo "l'infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all'imperfetto". Quando la nebbia dei ricordi si diraderà, guardandosi allo specchio Delia dovrà capire se l'immagine davanti ai suoi occhi sarà la sua o quella di Amalia. "Persino le stelle, così fitte d'estate, mi sembravano bagliori del mio smarrimento. Ero così decisa a diventare diversa da lei, che perdevo a una a una le ragioni per assomigliarle. Il sole cominciò a scaldarmi. Mi frugai nella borsetta ed estrassi la mia carta d'identità. Fissai la foto a lungo, studiandomi di riconoscere Amalia in quella immagine. Era una foto recente, fatta apposta per rinnovare il documento scaduto. Con un pennarello, mentre il sole mi scottava il collo, disegnai intorno ai miei lineamenti la pettinatura di mia madre. Mi allungai i capelli corti muovendo dalle orecchie e gonfiando due ampie bande che andavano a chiudersi in un'onda nerissima, levata sulla fronte. Mi abbozzai un ricciolo ribelle sull'occhio destro, trattenuto a stento tra l'attaccatura dei capelli e il sopracciglio. Mi guardai, mi sorrisi. Quell'acconciatura antiquata, in uso negli anni Quaranta ma già rara alla fine degli anni Cinquanta, mi donava. Amalia c'era stata. Io ero Amalia."

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L'amore molesto 2020-03-03 11:42:13 vivian84
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vivian84 Opinione inserita da vivian84    03 Marzo, 2020
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AMAR PERDONA.

Nonostante l’indiscusso successo, non ho ancora spiacevolmente compreso se i libri di Elena Ferrante siano semplici capolavori o banali racconti di vita vissuta attraverso una Napoli in degrado – soprattutto umano – tuttavia devo ammettere che la sua scrittura, così raffinata e pungente, mi seduce ogni volta trasportandomi ammaliata fino all’ultima riga.

“L’amore Molesto” è l’opera prima di questa autrice, conosciuta ed osannata dai più grazie al successo de “L’amica geniale”; un intenso romanzo psicologico che ricostruisce una vicenda familiare accaduta nel passato, dalla quale emerge la storia di una madre e di una figlia in un crescendo di privazioni, ossessioni ed immagini oniriche dal sapore vagamente felliniano.

Come il cadavere della madre Amalia riaffiora da quel lembo di mare nei pressi della località Spaccavento, la figlia Delia si immerge riluttante ed attratta nelle oscure viscere di quella stessa Napoli segregata nei ricordi d’infanzia confusi dagli strati polverosi del tempo, come antichi fossili sotterrati in un punto imprecisato e messi al riparo da mani invadenti e curiose.
Le stesse mani che usano violenza e che profanano l’intimità e la grazia femminile per il solo fatto di esistere (salvo poi dipingerla su tela), per essere colpevole di troppa piacevole bellezza in abiti traboccanti di perfida e succinta malizia; Delia rivive l’amarcord di quegli anni nello spoglio appartamento dove la madre conduceva la sua modesta esistenza, fra vestiti riaggiustati e mutande rattoppate, le quali destavano le continue e morbose attenzioni di quell’uomo che, nonostante l’avanzare dell’età, è per Amalia una croce da portarsi appresso, pesante e scomoda come la verità.

L’amara verità che viene a galla in un ammuffito scantinato di un negozio di dolciumi ormai in disuso da tempo, dove Delia può finalmente ricongiungere le fila del suo passato come un tempo sapeva fare Amalia creando abiti meravigliosi con la sua macchina da cucire.

Contrariamente a quanto l’incipit del romanzo possa auspicare, Delia non vuole indagare sulla morte della madre tuttavia, proprio a causa di questa sciagura, avverte finalmente la necessità di far luce su troppi punti oscuri, bui come quel seminterrato.

Senza particolare imbarazzo e senza giri di parole, Elena Ferrante narra una storia che, seppur con qualche incrinatura, conquista e coinvolge pian piano senza dar l’impressione di volerlo fare. Come le donne di cui racconta.

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L'amore molesto 2016-04-08 09:14:43 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    08 Aprile, 2016
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Miscuglio molesto

Il romanzo è un miscuglio di più elementi, alcuni dei quali francamente mediocri, ma uno su tutti spicca salvando in qualche modo tutto il resto: la figura di Amalia, che ha scelto di togliersi la vita, e le indagini introspettive della figlia Delia, che vive un lutto in apparenza composto ma talmente intriso di sensi di colpa e congetture da farle sfiorare la demenza.
Ed è in questo stato onirico di quasi demenza che procede la narrazione, sullo sfondo di una Napoli descritta a tinte fin troppo fosche (sembra che lo sport preferito dei partenopei sia inveire contro qualcuno a suon di oscenità).
Delia al funerale non versa lacrime ma sangue, concetto su cui nelle prime pagine ci si sofferma in maniera irritante, specificando i cambi di assorbente (per fortuna l'emorragia dura poche ore), al punto che la frase che apre un nuovo capitolo - “Ero forte, asciutta, veloce e decisa” - fa più che altro pensare ad uno spot pubblicitario.
Non è l'unica défaillance del libro: stranamente non si apre alcuna inchiesta sulle circostanze misteriose del suicidio, i congiunti non vengono interrogati e la casa della defunta resta accessibile a chiunque ne possieda le chiavi.
Emerge potente dalle pagine, con una quintalata di torbidi ricordi, un affetto viscerale, irrisolto, venato di desiderio fisico verso una figura materna enigmatica, o vista come tale, “modellata” per anni dalle botte del marito geloso, artista fallito: la solarità di Amalia dà sui nervi all'uomo, il suo sguardo stupito di fronte ai pugni lo insospettisce, ogni suo respiro gli sembra un anelito di vita che vorrebbe soffocare.
La gelosia morbosa del padre si trasmette fatalmente a Delia, che dal canto suo non perdona alla madre il ricordo infantile della paura dell’abbandono, il sospetto di una vita segreta da cui lei era esclusa, di un amante che si appropriava di tutte le carezze.
Viene da pensare che, inconsciamente, abbia sempre preferito allontanare il dolore considerando Amalia colpevole piuttosto che vittima innocente, o farsi anche lei carnefice, prendendone le distanze.
Questo dilemma psicoanalitico, che è il fulcro del romanzo, è anche la parte più interessante e avrebbe meritato una cornice più onesta, circostanze più verosimili.
Di molesto, alla fine, c’è soprattutto l’idea, certamente generata da una mente maschile, che una bambina di cinque anni possa trarre piacere dagli approcci sessuali di un sordido vecchio, e la sensazione di un odore sgradevole proveniente dalle pagine (dalla città asfittica, dai personaggi squinternati), a cui si aggiunge una certa insofferenza nei confronti della protagonista, sgraziata, apatica, asessuata: probabilmente il prodotto finale di più autori.



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L'amore molesto 2016-01-14 08:01:40 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    14 Gennaio, 2016
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Rapporto madre-figlia

Questo romanzo di Elena Ferrante è uno dei più belli dell’autrice, un romanzo onirico e simbolico che andrebbe analizzato non solo dal punto di vista letterario ma psicanalitico. E’ un romanzo pieno di immagini, e spesso il racconto assume la dimensione fantasiosa del sogno. Fin dall’inizio, con la prima riga: Mia madre annegò la notte del 23 maggio, giorno del mio compleanno, ci fa entrare nel vortice emotivo di rapporti famigliari in cui i congiunti si amano di un amore storto. Molesto è l’amore della madre per la figlia ma anche della figlia per la madre, o del marito per la moglie. Le molestie del vecchio sporcaccione non hanno lo stesso grado di malignità insita in questi rapporti e non fanno gli stessi danni.
L’amore più doloroso e difficile, più ambivalente è senza dubbio quello tra figlia e madre. E’ un amore minato dalla paura dell’abbandono, dalla sfiducia, dalla ambiguità della figura materna e infine dal senso di colpa della figlia sia per la morte della madre che per la vita della madre. Il senso di colpa esplora anche il sentimento di gelosia per la madre, un sentimento maschile simile e quasi più forte della gelosia ossessiva paterna. Delia è gelosa del padre che sente rivale, dell’amante (vero, presunto o possibile) della madre, delle persone che rivolgono la parola alla madre, dei sorrisi, dei pensieri di lei. L’amante della madre è una figura irreale, ingigantita e resa onnipotente dalla fantasia della bambina. La madre di Delia è una donna a due volti. Ha più di sessant’anni, età in cui una donna non si sente nemmeno donna. Eppure Delia ne dà al lettore una doppia immagine: vecchia e giovane, la donna con il ventre cascante e le mutande slabbrate e quella dalle gambe giovani, con il reggiseno sexi con cui è stata trovata, che ride con gli uomini, il cui corpo sembra gonfiarsi di una sensualità fuori controllo.
Delia descrive le sua ansie da abbandono: da bambina si chiude nello stanzino perché ha paura che la madre non torni, teme che incontri un uomo che gliela porti via. Da grande aspetta una sua telefonata per una giornata intera e ha paura che le succeda qualcosa nel viaggio come in effetti succede. L’amore della madre per la figlia non è sano, non è sicuro. La donna le manda messaggi contraddittori.
Ultimo ma non meno significativo, si suicida il giorno del compleanno di Delia. Quale regalo più crudele? Però, nonostante il suicidio e le telefonate strane alla figlia che come a cinque anni è a casa in pena attaccata al telefono, pensa a farle un regalo di compleanno: una valigia con vestiti della sua taglia e con biancheria femminile di lusso.
Il rapporto madre-figlia ricorda molto il rapporto madre-figlio di Purdy descritto nella versione di Geremia: un amore ossessivo in cui il figlio ammette di non poter amare altre donne che la madre. L’ambiguità materna si trasmette da madre a figlio come un’eredità e in un certo senso anche il regalo dei vestiti sembra andare in questa direzione. Sembra che la madre, sfuggente, debba essere incorporata da Delia dentro si sé per poterla avere con sé. Delia si allontana da se stessa per poter avvicinare lei e sentirsi Amalia.
Questa condizione di allontanamento da sé e di perdita di identità è accentuata dal senso di colpa, dalla bassa opinione che Delia ha di se stessa. L’unico modo per avere la madre con sé è introiettarla e intrappolarla dentro di sé al posto di sé. Il romanzo segue un percorso di riscatto e in parte di recupero ma soprattutto della figura materna. Il percorso seguito dal romanzo non è “sano” per la figlia che insegue la madre per la strada della nostalgia, del rimpianto, del senso di colpa. Fondamentalmente , la morte della madre mutila e manipola il tentativo di Delia di inseguire la verità sulla madre. Delia sente la necessità di salvarla più che di salvare se stessa. A un certo punto il lettore si trova al bivio ma da lì Delia allontana anche il lettore da sé, cerca di spingere la sua simpatia verso sua madre. Il conflitto non viene dunque risolto se non con il sacrificio di Delia .

Il percorso di difesa di Delia bambina e di comprensione per l’amore difettoso dei suoi non è portato avanti. C’è rancore di Delia per se stessa, la violenza che subisce da parte di Caserta nonno non suscita nessuna pietà in lei. Pensa di essersela meritata e cercata. Delia anche nel romanzo resta una figura smorta rispetto alla madre. Fisicamente la sua sessualità e la sua femminilità sono discutibili. Il suo corpo magro e muscoloso è descritto in alcuni momenti del racconto come maschile e in altri come femminile. Il racconto non riesce mai a smontare come invece dovrebbe (non per una riuscita letteraria ma di percorso psicologico) le radici del senso di colpa di Delia, di conseguenza il cammino di avvicinamento alla madre non passa per la consapevolezza del sé ma per la perdita dell’identità. Il sé lontano e indegno è sostituito da un ego lontano dal conoscersi, dall’accettarsi e dall’amarsi. Un ego che si sfama dello stesso amore insoddisfacente che la madre e il padre hanno vissuto nella loro vita in un perpetuarsi malato degli stessi errori. Delia ne è consapevole e interrompe la catena opponendo al meccanismo che intuisce perverso il suo rifiuto di avere figli. Non tenta però di percorrere la strada di smontare il senso di colpa legato alle pulsioni infantili incestuose. E’ curioso come il senso di colpa per pulsioni e emozioni resti prepotente e che spesso persone con simili traumi anziché smontare il meccanismo perverso del senso di colpa tendano a minare il senso morale che ha una funzione positiva e necessaria. Io credo che dipenda dalla profondità del senso di colpa e dal fatto che uno continui a guardarsi indietro con gli occhi di bambino e non di adulto condizionando però la vita da adulto. Delia non tenta di avvicinarsi ai suoi sul piano della realtà ma della fantasia e del sogno. Anche lei decide di restare avvolta dallo stesso sogno, dalla stessa nebbia da cui è forse affascinata.

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La versione di Geremia
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L'amore molesto 2014-05-14 03:43:11 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    14 Mag, 2014
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Festa della mamma

In modo del tutto casuale ho letto “L’amore molesto” (“a mia madre” è la dedica di Elena Ferrante) domenica 11 maggio, festa della mamma.
Le considerazioni che svolgerò sono effettuate con il massimo rispetto per un’autrice dallo stile personale e originale. E per un tema – quello delle molestie e della violenza sulle donne – che trova la mia partecipe e assoluta condanna.

Il romanzo, fondamentalmente, mi ha indotto angoscia. La storia viene raccontata in modo onirico e filtrato, mantenendo toni surreali e profilo oscuro.
Delia rovista nel proprio passato per cercare le ragioni del gesto estremo della madre Amalia. In questa ricerca oscilla tra sentimenti alterni (“Se tardava, l’ansia diventava così incontenibile che debordava in tremiti del corpo”), atmosfere sinistre (“Le case non conservano fantasmi ma trattengono gli effetti degli ultimi gesti di vita”) e visioni simboliche (“Amalia era lassù come una farfalla notturna, giovane, forse sui vent’anni, chiusa in una vestaglia verde, con un ventre gonfio da gravidanza avanzata”). Delia ora s’identifica, anche fisicamente, nella genitrice (“Progettavo di bucarmi anch’io l’unghia, per farle capire che era rischioso negarmi quello che non avevo”), ora confligge con lei, in uno stato di contraddizione inquieta: “Ed ero perplessa: non sapevo se quello che andavo scoprendo e raccontandomi, da quando lei non esisteva e non poteva ribattere, mi facesse più orrore o più piacere”.

La vicenda reale emerge in controluce su affondi psicologici e mnestici, attraverso apparizioni e incontri quasi metafisici: ed è la triste partitura ove il genere maschile (rappresentato da un padre pittore e geloso e un fratello, lo zio Filippo, complice di violenze) interpreta la molestia nella forma palese dell’anziano amante di Amalia, Caserta, mentre in modalità sotterranea - in una cantina – agisce un personaggio altrettanto vile. Ricordi e sensazioni riemergono dopo uno squallido incontro sessuale con Polledro, l’uomo del negozio Vossi, antico compagno di giochi d’infanzia e figlio di Caserta.

L’opera è opprimente perché probabilmente l’autrice vuole sortire proprio questo effetto: il ricordo di Delia riaffiora in un processo di autocoscienza tanto incalzante quanto farraginoso, nel concatenarsi di allusioni fosche e cupe che lasciano intuire quale sia la fonte primigenia dell’oppressione (“le oscenità in dialetto… riuscivano a far combaciare nella mia testa suono e senso in modo da materializzare un sesso molesto per il suo realismo aggressivo, gaudente e vischioso”). Il lettore rimane sospeso nella speranza che il rischio incombente venga disinnescato da una rivelazione salvifica. Quando giunge la smentita, è troppo tardi. Anche chi legge si sente macchiato, è stremato dall’ansia, annichilito da un romanzo disseminato di indumenti vecchi, rammendati e sporchi, e si dibatte prostrato tra le ombre di una minaccia concreta: che la povertà più insidiosa non sia quella materiale… per lo meno, non soltanto quella…

Bruno Elpis

___________________________

Domenica ho riletto anche “Supplica a mia madre” di Pasolini…

(Tu sei sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…)

… “La madre” di Giuseppe Ungaretti…

(E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro)

… il canto XXXIII del “Paradiso”:

(Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'eterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'eterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.
…)

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Poesie come "Supplica a mia madre" di Pasolini e "La madre" di Ungaretti; il canto XXXIII del Paradiso di Dante.
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L'amore molesto 2014-01-07 08:07:30 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    07 Gennaio, 2014
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Arrivederci Amalia,ciao

Mamma si chiama Amalia, se ne e' andata oggi. 
Amalia ha sessantatre anni ed e' morta annegata, sulla spiaggia in cui quando ero piccola affittavano una casetta per le vacanze. 
Amalia viveva a Napoli, io a Roma.
Amalia ha smesso di non essere felice, nascosta sotto quei folti capelli neri.
Io che ero Delia resto qui, col peso delle bugie che grava piu' dei pugni sulla pelle di mamma.

Elena Ferrante e' l'elettricita' che grava sull'ultimo spasimo di un singulto di dolore. 
Con la sua scrittura fulmina l'anima che si contorce come una serpe dalla testa mozzata, uno sbattere a terra nervoso che puzza di carne bruciata.
L'AMORE MOLESTO e' un libro sulle pene dell'esistenza , una narrazione raffinata dell'incomprensione, del dolore, di un insano rapporto di protezione e di accusa , di rancore e di amore tra una madre e una figlia.
Seppur l'autrice sia molto  brava a celare l'evoluzione del racconto, e' un romanzo in cui si avanza con cautela  perche' un presagio infausto si avverte ad ogni riga di questa penna viva, psicologica, sottile e tremendamente concreta. 
Osservo mio malgrado un tailleur degli anni Quaranta tagliato su un ottimo tessuto, che dura decenni, modificato da  abili mani di sarta. E' come se esistesse davvero, appeso a una gruccia di ferro, in una bottega in disuso laggiu' al rione.

L'occhio distratto si fissa sul tavolo, su una piccola cunetta di liquido trasparente.
Potrebbe essere una goccia di acqua di mare, potrebbe essere una lacrima caduta lì. 
Sono uguali, entrambe si sono prese Amalia.

Buona lettura.

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