L'amore che mi resta
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
L'amore non salva e non ripara, ma accoglie.
Forse dovrei smetterla di leggere libri che mi sconquassano...
Ed invece torno sempre qui, in queste letture che mi sbriciolano in mille pezzi.
Daria è figlia di una madre "per caso", una madre tiepida che non brilla certo per istinto materno.
O forse è semplicemente ferita e nasconde dell'irrisolto.
"A mamma importava poco di me. Madre per caso. Madre perché tutte, prima o poi, hanno figli. Madre purtroppo. Madre nonostante."
Lei, invece, all'età di 25 anni non vuole nient'altro se non un figlio...ma non riesce, non arriva.
È giovane, potrebbe ancora aspettare, provare, crederci...ma il suo desiderio si fa urlo, non riesce ad ignorarlo e quindi, con il marito Andrea, adottano Giada, di appena sei mesi.
("Quando sei venuta a prendermi era perché volevi una bambina o perché mi volevi bene?")
Giada, all'età di 25 anni (la stessa in cui Daria ha sentito forte il bisogno di maternità) ha però un'altra esigenza che le urla dentro: andare alla ricerca delle proprie origini.
Ma s'incaglia, s'inceppa e si arrende ai fantasmi che si nascondono dietro la parola "abbandono".
Chiede scusa e se ne va. Per sempre.
E il mondo di Daria finisce.
Si lascia travolgere, sommergere, inghiottire dal dolore, perché le sembra l'unico modo per restare in contatto con sua figlia, per non perderla davvero.
Quella figlia che l'aveva salvata e che credeva di aver salvato.
Questa è una storia di dolore e di perdita, di morte e della sua elaborazione, ma anche una storia sull'importanza delle origini come fattore fondamentale per poter avere e mantenere una propria identità, per trovare una collocazione nel mondo.
È una storia sull'amore che, per quanto immenso, non ricuce lo strappo di un abbandono.
L'amore non salva e non ripara...ma accetta, accoglie, soccorre.
Ma l'amore è anche necessario, ed è tutto quello che resta, dopo.
La scrittura è asciuttissima, frammentata: capitoli brevi, paragrafi brevi, brevi frasi.
A volte si riavvolge su se stessa, per sottolineare la tragicità di un momento, di un pensiero, di una parola.
Tutto ridotto all'osso, come se l'autrice non volesse mettere troppe parole fra te e il dolore, per fartelo arrivare prima, così...nudo, pulito, al netto di tutto il superfluo.
Per quanto mi riguarda è arrivato a destinazione in tutta la sua potenza.
Ed ora, raccolgo i pezzi e vado avanti...
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Il sempre dell'assenza
Libro forte, intenso, vibrante, che racconta del fragile equilibrio interiore che hanno i ragazzi adottati. La storia è raccontata dalla mamma adottiva a cui crolla il mondo addosso quando la figlia si suicida, perché la morte di un figlio è un qualcosa che rompe l’ordine naturale delle cose e perché da quel giorno, tanti perché e tanti se costellano ogni istante della vita della mamma. E’ un libro pieno di sfumatura, una per ognuno dei colori che sono disseminati nel racconto e nei ricordi. E’ un libro pieno d’amore, perché l’amore è l’unica cosa che resta, è un amore che non salva nessuno, ma c’è, ed è veramente tutto. E’ un libro delicato e nello stesso tempo è un uragano. Perché il vuoto che rimane è assenza ed è incolmabile, è vuoto tutto, senza alcun colore. E’ un libro che apre una finestra sulla sofferenza a volte silenziosa di tante persone, perché ognuno ha le proprie fratture e le proprie infelicità, ma occorre fare la pace il dentro di sé, qualsiasi cosa accada nella nostra vita, perché è la nostra vita, e viverla è un dovere ed una fonte quotidiana di piccole importanti possibilità di rinascita, senza mai dimenticare nulla, ma imparando a convivere con tutto. La scrittura di quest’autrice è meravigliosa, perché è frammentaria, a scatti, con rapidi flash, fa capire come si sente dentro questa mamma, a pezzi. E’ un modo di scrivere che crea un legame particolare con il lettore, è empatico ed adorabile. Sembra fatto su misura del fragile equilibrio di tutti i personaggi che vivono in queste pagine.
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Senza confini
Senza confini è l’amore, che “non salva nessuno” ma “è veramente tutto” ciò che abbiamo. Questo significa che la vita non soltanto è difficile, ma anche, sempre e comunque, più complicata di quanto riusciamo a immaginare.
Giada è morta suicida, anche se, apparentemente, aveva tutto ciò che serve per vivere, soprattutto l’amore. Giovane, bella, amata, con tutta la vita davanti. Ma tutto questo può essere troppo e troppo poco, perché anche la vita può essere un problema, un peso e, soprattutto, una complicazione troppo dolorosa.
“Cioè.”
Punto e a capo.
Una sintesi adeguata per esprimere dubbio, disorientamento, incertezza. Complessità. Lo stile di Michela Marzano riflette la complessità della storia narrata e della vita, quindi il ritmo è discontinuo, diseguale, talvolta disarmonico, sempre efficace.
Abbandono.
Non soltanto rinuncia e allontanamento, ma molto, molto di più, di peggio: una parola che da sola richiude un universo di sofferenza, di lacerazione, di frantumi che non trovano una collocazione, un senso, un disegno.
Adozione.
Un atto giuridico che attribuisce la posizione di figlio legittimo a chi, biologicamente, non lo è. Sembra semplice. Non lo è. Perché l’amore è tutto, ma da solo non basta a riparare l’universo in frantumi: c’è qualcosa che manca, c’è un vuoto che tutto l’affetto unito alle migliori intenzioni del mondo non possono riempire. Non è facile entrare nell’immaginario di chi è stato abbandonato dal genitore biologico, nei tentativi di colmare una mancanza che toglie senso al resto, a un minuscolo buco nero che risucchia il presente e il futuro, allo sbaglio che non si può rimediare. Perché, purtroppo, "è la vita che è sbagliata".
Lutto.
Perdere un figlio è forse il dolore peggiore. Se il figlio si è ucciso, il dolore è insuperabile, perché oltre alla perdita c’è il senso di colpa, perché il dolore è tutto ciò che rimane del figlio che non c’è più, perché i ricordi sono soltanto ricordi. Ma se il dolore non si supera e l’amore è tutto e non ha confini ed è perfetto ma non colma il vuoto, che cosa si può fare?
Questo romanzo tenta una risposta. Da leggere.
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L'amore che non conosce confini.
Michela Marzano, pubblica con la casa editrice Einaudi, L’amore che mi resta. Una storia in cui il dolore e la sofferenza traspaiono da ogni poro e in ogni pagina. La famiglia Laurenti è composta da Daria, la madre che tiene saldamente le redini della casa, e da Andrea, marito e padre, insegnante universitario con una fissa per le parole che “pur essendo importanti” non vanno sprecate; che in virtù di questo che per lui è un assioma determinante si aspetta sempre dai figli discorsi grammaticamente corretti. Ritratto perfetto di borghesia intellettuale. Da giovani si resero conto di non poter avere figli, e allora adottarono una bellissima bambina di sei mesi, da un ospedale romano. Le leggi di allora non prevedevano che la bambina adottata sapesse il nome della madre naturale, prassi, poi, attualmente modificata in senso inverso. Daria, non più giovanissima, riesce, successivamente, a concepire un bambino tutto suo. Quando Giacomo nasce, i due genitori si sentono in dovere di dire la verità a Giada circa la sua adozione, precisando fortemente che non ci sono ne ci saranno mai distinzioni di sorta. Tra i due non vi è discordanza d’amore. Giada cresce felice, prende Giacomo sotto le sue ali benevole, e la famiglia cresce in quella che all’apparenza sembra felicità. Fino al venticinquesimo compleanno di Giada, in cui lei si suicida lasciando un tragico biglietto per spiegare il suo insano gesto:
“Vi chiedo scusa. Mi dispiace, papà, non ce la faccio ad andare avanti. Dite a Giacomo che lui sa quello che voglio dire. Dite a Paolo che in fondo non c’entra niente. Dite a mamma che lei è perfetta.”.
Daria cade in una depressione senza scampo, e tramite una sua amica comincia a frequentare un’associazione di auto-mutuo-aiuto, dove si parla proprio della disperazione per i figli morti. Ma non è la strada giusta per uscire da uno stato che va peggiorando di giorno in giorno. Allora va in analisi, dove per giungere alla elaborazione del lutto deve ricordare gli episodi più salienti del pezzo di vita vissuta con Giada. Ricorda, allora, l’ansia costante di lei, la sua paura, immotivata, di abbandono e le sue conseguenti crisi di panico. E poi le sue stranezze, le sue cupezze, i suoi estraniamenti. Comprende, così, l’infelicità della giovane e il suo desiderio intrinseco di conoscenza della madre naturale. Ed è così che Daria intraprende un doloroso cammino, che la porta ad avvicinarsi al figlio Giacomo, per aiutarlo a superare il blocco che gli impedisce di dare esami universitari, pur studiando come un ossesso. Per troppo tempo la famiglia è rimasta in preda ad un oblio, ad una nebbia paralizzante, ad un dolore troppo forte per essere espresso.
Un libro composto da pezzi di scrittura, da flashback, nel tentativo di dare una visione completa di ogni singolo componente della famiglia. Un libro profondo e una lettura intimistica e dolorosa. Un romanzo commovente sulla maternità.