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L'appello

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E se l'appello non fosse un semplice elenco? Se pronunciare un nome significasse far esistere un po' di più chi lo porta? Allora la risposta "presente!" conterrebbe il segreto per un'adesione coraggiosa alla vita. Questa è la scuola che Omero Romeo sogna. Quarantacinque anni, gli occhiali da sole sempre sul naso, Omero viene chiamato come supplente di Scienze in una classe che affronterà gli esami di maturità. Una classe-ghetto, in cui sono stati confinati i casi disperati della scuola. La sfida sembra impossibile per lui, che è diventato cieco e non sa se sarà mai più capace di insegnare, e forse persino di vivere. Non potendo vedere i volti degli alunni, inventa un nuovo modo di fare l'appello, convinto che per salvare il mondo occorra salvare ogni nome, anche se a portarlo sono una ragazza che nasconde una ferita inconfessabile, un rapper che vive in una casa famiglia, un nerd che entra in contatto con gli altri solo da dietro uno schermo, una figlia abbandonata, un aspirante pugile che sogna di diventare come Rocky... Nessuno li vedeva, eppure il professore che non ci vede ce la fa. A dieci anni dalla rivelazione di Bianca come il latte, rossa come il sangue, Alessandro D'Avenia torna a raccontare la scuola come solo chi ci vive dentro può fare. E nella vicenda di Omero e dei suoi ragazzi distilla l'essenza del rapporto tra maestro e discepolo, una relazione dinamica in cui entrambi insegnano e imparano, disponibili a mettersi in gioco e a guardare il mondo con occhi nuovi. È l'inizio di una rivoluzione? L'Appello è un romanzo dirompente che, attingendo a forme letterarie e linguaggi diversi – dalla rappresentazione scenica alla meditazione filosofica, dal diario all'allegoria politico-sociale e alla storia di formazione –, racconta di una classe che da accozzaglia di strumenti isolati diventa un'orchestra diretta da un maestro cieco. Proprio lui, costretto ad accogliere le voci stonate del mondo, scoprirà che sono tutte legate da un unico respiro.



Recensione della Redazione QLibri

 
L'appello 2020-11-15 10:34:56 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    15 Novembre, 2020
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Chiamare è riportare alla luce

“La vita va da quando decidono che nome darti a quando quello stesso nome è solo un graffio su una lapide. Nell’uno e nell’altro caso non hai l’iniziativa, quelle lettere sono tutto ciò che hai per venire alla luce e provare a rimanerci. Forse per questo gli antichi dicevano che il destino è nel nome: che ti piaccia o no, sei chiamato a rispondere all’appello.”

Il nuovo lavoro di Alessandro D’Avenia si ambienta tra i banchi di scuola, tra i turbolenti ragazzi di una quinta “classe sgangherata” da portare alla maturità e ha come protagonista un insegnante divenuto cieco all’improvviso da cinque anni. Come dall’incipit, nel nome è scritto il nostro destino, il professore si chiama Omero (“in greco ‘colui che non vede’...) Romeo, dove il cognome è l’anagramma del nome. Un nome straordinario per quello che da necessità diventa un vero e proprio “progetto” straordinario che rivoluziona il modo di fare scuola. Il professore torna dopo una pausa di cinque anni ad insegnare la sua passione : scienze naturali.
La scienza è la disciplina della vita per eccellenza e lui vuole che a scuola venga insegnata la vera vita e che non ci si limiti soltanto a trasmettere un astruso ed asettico sapere in cui i ragazzi di oggi non trovano senso, se non in parte. Per insegnare la vita bisogna partire da loro, dai ragazzi, uno per uno, chiamandoli all’appello, ogni mattina perché

“siamo fatti per nascere, non certo per morire. E un nome ben detto dà alla luce e dà alla luce ogni angolo dell’anima e del corpo (...) Questo è il potere di un nome proprio (...)”.

Ogni giorno si ripete quello che da semplice operazione di registrazione diventa un vero e proprio rituale che i ragazzi accoglieranno prima con un po’ di titubanza mista a curiosità e che poi pretenderanno anche dagli altri insegnanti della loro classe, con tutte le conseguenze che ne deriveranno. Il nuovo insegnante nonostante la cecità dimostra di vedere il loro ‘dentro’ molto meglio degli altri insegnanti che si limitano a vederli solo in superficie, senza neppure guardarli. Omero Romeo per conoscere bene i suoi alunni i primi giorni di scuola chiede loro qualcosa che li lascia un po’ perplessi : toccare i loro volti, conoscere le loro fattezze, la tensione dei muscoli facciali per ‘vedere’ le loro ansie, le loro preoccupazioni, la loro personalità.
Per chi è cieco (ma non solo per chi è cieco, potremmo dire), il tatto

“è il senso più importante. Quando ancora non vedevamo niente, noi toccavamo tutto ed eravamo toccati da tutto. Il destino dell’uomo è nelle sue mani. (...) Le mani danno forma al mondo in cui vorremmo vivere. È con l’uso che facciamo delle nostre mani che facciamo la vita.”

La lezione che il professor Romeo /D’Avenia vuole lasciare in questo libro è quasi rivoluzionaria, dal momento che da anni si propugna la necessità di mettere “l’alunno al centro” dell’insegnamento e di lasciare le incombenze dei programmi ministeriali in secondo piano. L’insegnante non deve “ridurre” la classe, numerosa o meno che sia, ma l’insegnante è chiamato ad “ampliare. Nei campi di lavoro si riducono le vite, a scuola le vite si ampliano: siete in tanti, ma voi ed io, insieme, faremo il possibile per arrivare fino in fondo, costi quel che costi”.

Una visione che fa del mestiere di insegnare una vera e propria missione tra mille difficoltà, anzitutto burocratiche e istituzionali e “il progetto Appello” trova favorevole risposta tra tutti gli alunni della scuola, ma anche una serie di atteggiamenti infusi di sospetto tra gli insegnanti arroccati sulla difensiva, resistenze da parte del Dirigente scolastico che teme di perdere il controllo della situazione. Tutto ciò è normale, spiega il professor Romeo, approfittando dei momenti di vita quotidiana per spiegare concetti scientifici:

“È normale trovare resistenza quando qualcosa mette in crisi un sistema: in fisica occorre vincere l’attrito prima di riuscire a mettere in moto qualcosa, figuratevi se quel qualcosa è la scuola come la si fa da più di un secolo a questa parte...”.

Un esperimento straordinario che per essere fattibile e concreto dovrebbe partire da questa considerazione che tutti gli insegnanti dovrebbero far propria : “ i ragazzi non studiano, perché l’autorità non è più riconosciuta sulla base del ruolo. L’unica autorità che i ragazzi riconoscono è quella di chi sa volere bene, oltre che a conoscere la materia”.

LA MIA OPINIONE. È stato il primo libro di D’Avenia che ho letto. Dopo aver ascoltato molte sue lezioni ed interviste su YouTube ero davvero incuriosita. È un libro che si legge velocemente, per nulla impegnativo, molto pop che arriva ad un vasto pubblico e sono sicura che piacerà a molte persone, soprattutto ai giovani e a chi probabilmente non esercita la professione di docente, in quanto chi insegna oggi in Italia con professionalità e passione è talvolta lasciato solo in un mare di confusione burocratica e obblighi e doveri extra non soltanto non retribuiti, ma anche non riconosciuti. Il mestiere di insegnante non si esaurisce certo in un’aula scolastica, cioè nel suo ‘habitat’ riconosciuto istituzionalmente, ma continua anche a casa e non mi riferisco solo all’immane lavoro che c’è dietro la didattica a distanza di cui sentiamo tanto parlare in questo delicato momento di emergenza sanitaria.
Quanto poi alla questione dell’autorità, la mia visione è più galimbertiana: sono cambiate le famiglie. E delle famiglie e dell’educazione ricevuta nel libro non si parla, in quanto le famiglie degli alunni del professor Romeo sono disastrate, si tratta di casi estremi. Ho trovato inoltre poco credibili la maturazione in così poco tempo -solo un mese- dei ragazzi (drogati, ospiti di case famiglia, ladruncoli, ragazze che hanno abortito...) e soprattutto la cultura che avevano alle spalle: citazioni perfette di Rimbaud, della Woolf, del dottor Zivago, una conoscenza indefettibile della fisica quantistica...non mi ha convinta fino in fondo. Certamente il libro è consolatorio, con happy ending, leggero e con belle riflessioni che tanto piacciono a chi fa “centoni” da copiare e incollare sui social network.
Perfetto da regalare, soprattutto per Natale e vi lascio con questo splendido pensiero che condivido in pieno:

“...non è vero che a Natale sono tutti più buoni. A Natale hanno semplicemente più fretta. Ma la fretta è proporzionale alla difficoltà di amare, perché per amare bisogna prendersi tutto il tempo che ci vuole”.

A tutti gli insegnanti che lottano contro il tempo per far quadrare i conti ministeriali e ad esercitare la loro professione con cuore e umanità.





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L'appello 2022-06-07 17:07:55 GiuliaAsta89
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GiuliaAsta89 Opinione inserita da GiuliaAsta89    07 Giugno, 2022
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D'Avenia, seppur un filino retorico, sempre una pi

Ho terminato questa mattina la lettura dell'ultimo romanzo di Alessandro D'Avenia e devo confessare di trovarmi in preda a sentimenti contrastanti. Non posso negare che il libro mi sia piaciuto, ma allo stesso tempo, per tutta la durata della lettura, non ho potuto fare a meno di provare una leggera sensazione di fastidio. Mi sono chiesta più volte nel corso della giornata a cosa fosse dovuta e l'ho capito solo leggendo le recensioni postate dagli altri utenti: tutto molto bello, per carità, ma un filo posticcio. Non saprei come spiegarlo, ma le storie dei ragazzi mi sono sembrate quasi tutte eccessivamente stereotipate; allo stesso tempo, i discorsi tra gli alunni e l'insegnante sono infarciti di citazioni e di frasi fatte, che risultano forse un filo inverosimili in bocca a ragazzi "disastrati" così come descritti. Diciamo che la sensazione che ho provato è un po' quella che mi ha accompagnato durante la visione di Gomorra - La serie: bellissima, capolavoro, ma è inverosimile che dei criminali con la terza media riescano a pronunciare in ogni occasioni frasi ad effetto super fighe ed efficaci. Ecco, così forse rendo l'idea.
Ad ogni modo, questo lungo sproloquio sembra cozzare con la valutazione in termini numerici che ho assegnato al libro, ma in realtà è solo frutto della mia necessità di fare le pulci anche alle cose che mi sono piaciute (come Gomorra, appunto).
Quello che ho visto io in questo libro, infatti, è un'asprissima critica alla scuola di oggi ed alla modalità con cui tanti, troppi insegnanti si approcciano alla professione in modo svogliato e meccanico, fregandosene del fatto che nelle loro mani c'è il futuro del Paese. Al pari della famiglia, il loro ruolo è fondamentale nella formazione dei ragazzi, che proprio a scuola imparano a pensare ed a rapportarsi con idee diverse da quelle che vengono espresse nell'ambito del contesto familiare.
A questo proposito io mi ritengo fortunatissima, nel corso dei cinque anni di liceo ho avuto degli insegnanti ed un preside meravigliosi, che hanno investito tantissimo tempo tanto nei programmi scolastici, quanto nello sviluppo della nostra cultura generale, organizzando serate a teatro e rassegne cinematografiche, mettendoci tutta la passione e l'amore necessari allo svolgimento di quello che forse è uno dei mestieri più belli al mondo.

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Consiglio questo romanzo a tutti: alunni, genitori, insegnati e, naturalmente, agli amanti del prof. D'Avenia!
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L'appello 2021-05-04 07:09:05 barbara.g.76
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barbara.g.76 Opinione inserita da barbara.g.76    04 Mag, 2021
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I PROFESSORI CHE SERVONO

Omero Romeo, professore di scienze divenuto cieco in seguito ad una malattia, viene chiamato a prendere in carico una classe quinta liceo la cui insegnante di ruolo è improvvisamente mancata.
Si tratta di una classe problematica; dieci studenti complicati e con numerose fragilità alle spalle : madri sole, mancanza di lavoro, padri assenti, difficoltà economiche e dipendenze da droghe.
Già dalla prima lezione emerge chiaramente che il Professor Romeo è più interessato a conoscere i ragazzi piuttosto che la lezione stessa e che il suo obiettivo è guidarli verso la loro crescita personale. Attraverso l'appello quotidiano in cui ogni ragazzo pronuncia il suo nome e racconta qualcosa di sé e toccando il loro viso, il Professor Romeo conosce i suoi ragazzi` comprende le loro difficoltà e intravede i loro desideri e sogni.
Sono : Stella che non riesce ad elaborare il lutto paterno, Caterina che col volontariato vuole salvare il mondo, Cesare un trapper che vive in una casa famiglia, Achille un genio del computer che soffre d'asma, Oscar che per guadagnare soldi, fa combattimenti clandestini di pugilato, Ettore dilaniato dalla separazione dei genitori, Mattia ormai dipendente da droghe, Elisa che destesta il suo corpo, Aurora che come i clown cerca di prendere la vita con leggerezza, ma poi non ci riesce e si odia per questo e Elena che nasconde una maternità mancata.
.
Tutti questi ragazzi troveranno il loro riscatto, la loro forza, la loro vitalità grazie ad un Professore cieco che non vede, ma "ascolta i loro volti" senza giudicarli o avere pregiudizi.
Un romanzo profondissimo che non solo fa riflettere sul rapporto alunno-professore, ma sui rapporti in genere e insegna come si possano conoscere le persone senza poterle guardare.
Riflessivo e di grande insegnamento.
Grazie Alessandro D'Avenia!

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Consigliato a chi, come me, crede sempre che la Scuola è fatta di persone.
Persone che trasmettano l'amore per l'insegnamento.
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L'appello 2021-01-17 17:31:57 Davide Meloni
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Davide Meloni Opinione inserita da Davide Meloni    17 Gennaio, 2021
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Quel luogo in cui la vita fiorisce

Leggendo l’ultimo libro di Alessandro D’Avenia ci si rende conto già dalle prime pagine che non si tratta solo di un romanzo. “L’appello” – questo il titolo dell’opera, uno dei libri più venduti in Italia nel 2020 – è innanzitutto la riflessione di un insegnante sulla scuola e su come essa abbia in gran parte smarrito la capacità di introdurre i giovani alla ricerca del senso delle cose, del mondo, della propria esistenza e sia diventata un luogo in cui gli studenti vengono trattati come animali da circo, addestrati a ripetere quello che dicono gli adulti.
La storia è quella di Omero Romeo, insegnante di scienze, diventato cieco da alcuni anni, che dopo un lungo periodo di buio interiore più ancora che esteriore, decide di riprovarci, di tornare in cattedra e ricominciare a vivere, di mettercela tutta per «trasformare quel buio in luce, come fanno gli scienziati e gli artisti».
Gli viene così affidata una quinta superiore, ragazzi problematici, con un’esistenza in subbuglio, tutti sul punto di perdersi definitivamente. Dopo un iniziale imbarazzo e un po’ di diffidenza, è con loro che Omero inaugurerà uno stile originale di fare scuola, che ruota attorno al rito dell’appello. Quello che normalmente è il momento più formale e burocratico della giornata, in cui i nomi degli studenti vengono pronunciati a voce alta per verificarne la presenza – perlomeno fisica – in classe, diventa invece il fulcro della lezione: dopo la spiegazione del professore ogni studente è chiamato in causa per dire come un particolare aspetto della realtà oggetto della lezione reagisca con la propria vita e con i drammi, i dubbi, le speranza di cui è fatta. L’esperimento pian piano comincia a suscitare entusiasmo in alcuni, diffidenza e aperta ostilità in altri, a partire dal preside e da tanti colleghi di Omero che non tollerano che un certo assetto ormai sclerotizzato venga in qualche modo messo in discussione.
Il libro è una denuncia, neanche tanto velata, a una scuola che, nonostante la buona volontà di molti insegnanti, si è ridotta ad essere l’ombra di quello che dovrebbe essere: un luogo dove anche le cose più belle vengono inghiottite da un apparato burocratico capace di trasformare tutto in noia sconfinata: «Tutti devono lottare per fare in modo che la scuola così com’è crolli, e ne nasca una nuova. Un luogo in cui le vite fioriscono invece di spegnersi».
Per ripartire occorre uno sguardo nuovo sull’unicità di ciascun nome, di ciascuna storia, una passione per la felicità di ogni ragazzo e ragazza, un instancabile tentativo di generare uomini e donne veramente liberi.

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L'appello 2021-01-07 15:48:03 AriMonda
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AriMonda Opinione inserita da AriMonda    07 Gennaio, 2021
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Salvare un nome

“L’appello”, il nuovo romanzo di D’Avenia, è ambientato tra i banchi di scuola, un mondo che l’autore conosce bene e dove si muove con la maestria di chi ha vissuto sulla propria pelle le ore trascorse tra il suonare di una campanella e un’altra.

La trama vede intrecciarsi le vicende di un professore diventato cieco, Omero, con le vite di dieci studenti scapestrati di una classe quinta del liceo scientifico. Il professore torna dietro la cattedra dopo cinque anni di pausa, a causa della malattia sopraggiunta, e si ritrova a dover affrontare le difficoltà dell’insegnamento caricate dal peso di una perdita che lo fa sentire insicuro ed impaurito.

Il progetto Appello è un metodo che il professore inventa per necessità, quella di poter conoscere i suoi studenti attraverso i sensi che ancora funzionano, ma soprattutto attraverso l’attenzione e la cura per la persona, che oggi sempre di più viene a mancare all’interno della scuola. Un progetto che diventa una vera e propria rivoluzione, perché fa sperimentare agli studenti la consapevolezza di essere importanti, di avere un’anima e una storia, mentre prima erano solo corpi fisici che dovevano attestare la loro presenza materiale seduti ai loro banchi.

Ho trovato l’idea del romanzo interessante e sicuramente emerge la curiosità, la cura e la passione del professore che sta dietro allo scrittore. Il mestiere dell’insegnante spesso e volentieri si appiattisce di fronte ai programmi ministeriali e dell’istituto, si bruciano esperienze e conversazioni per la fretta di ultimare il libro di testo e per avere un numero di voti sufficiente per la valutazione della fine del trimestre, e la persona, l’alunno, con il suo nome e la sua storia, finisce per essere un mero sfondo. Dietro alla storia di Omero Romeo vi è la storia di tanti insegnanti che non si rassegnano e che continuano a mettere lo studente al centro del sistema scuola e non viceversa.

La storia narrata, invece, l’ho trovata pregna di un sentimentalismo esagerato e sbandierato; ricca di citazioni e di riferimenti letterari, filosofici e scientifici che spesso e volentieri non reggevano con la trama e inserite per aumentare l’effetto drammatico (o melodrammatico) del momento.
Si tratta di un romanzo leggero, che si legge velocemente e tutto sommato piacevole, sicuramente commerciale e adatto ad un certo pubblico (soprattutto adolescenziale), ricco di ideali e di speranze, ma poco credibile e verosimile, dalla scelta dell’onomastica dei personaggi (chiaramente metaforica) alla costruzione delle storie degli studenti, tutti con famiglie e storie disastrate, pieni fino al collo di problemi che raramente si presentano in maniera così compatta e massiva in una sola classe.

La sensazione finale che il libro mi ha lasciato, una volta chiuso, è stata contraddittoria e forse va bene così. Il romanzo mi ha lasciata con un po’ di amaro in bocca, perché è difficile leggere un libro che parla di scuola, quando nella scuola uno ci lavora, e trovare credibile la storia raccontata, ma passando oltre la retorica infarcita di pensieri costruiti per emozionare e scaldare il cuore (per pochi secondi), ho trovato nell’entusiasmo del professore e nell’interesse, nella cura e nel dolore che egli prova di fronte alle cadute e ai fallimenti dei propri studenti, una sensazione non nuova, ma che dovrebbe animare e “tormentare” gli insegnanti di tutte le scuole.

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L'appello 2020-12-05 16:23:39 68
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68 Opinione inserita da 68    05 Dicembre, 2020
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Scuola di vita

Un professore di scienze non vedente, novello Omero, un istituto tecnico alla periferia, una classe di dieci studenti con vissuti problematici rapiti e forgiati nella propria essenza, un corpo didattico demotivato guidato da un preside retrogrado e autoritario, l’ inizio di una rivoluzione pedagogica e istituzionale anticonvenzionale che origina dalla definizione di se’, dal desiderio di amare e essere amati, semplicemente di essere.
Questo il nuovo romanzo di Alessandro d’ Avenia, un autore e un pedagogo che sa muoversi con maestria in una terra da lui frequentata e ben conosciuta, quell’universo scolastico e adolescenziale così complesso e complicato, irrisolto e fragile, che pone domande e attende risposte.
La scuola dell’oggi pare essere naufragata, abbandonata a se’ stessa, al buon cuore di pochi insegnanti appassionati, a iniziative personali bocciate o ignorate, in una visione che antepone la persona allo studente ribaltando il senso dell’ appello, rinnovato ogni giorno, un nome proprio con caratteristiche uniche e definenti, una storia da raccontare, non semplice presenza tra i banchi, ribadendo l’insensatezza di un luogo che istruisce senza educare, che pretende e non ascolta, che generalizza senza individuare.
Temi importanti, indispensabili per delineare il futuro occupandosi del presente dopo una lettura attenta del passato. Un amore indiscusso per l’insegnamento che esprima essenze e senso critico oltre ogni semplice nozionismo fine a se’ stesso, un amore incondizionato per la cultura, uno sguardo alla volta celeste, laddove sogni e desideri scrutano l’ infinito.
Singole storie, collaborazione, ascolto, silenzio, condivisione, empatia, un occhio universale, interdisciplinare, scardinando un sistema di pubblica distruzione che insegue programmi e competenze sterili e stereotipati, tralasciando l’ individuo e la sua unicità, incapace di emozionare e appassionare, di coltivare i sentimenti, di accompagnare una crescita umana e personale cuore di essenze e non di semplici competenze.
La scuola magister vitae, luogo di incontro e confronto, anche di scontro, tappa fondamentale nel processo di crescita e di consapevolezza, base forgiante per affrontare la vita, credere in se’ e scovare le proprie inclinazioni, divenire cittadini del mondo.
Un testo di denuncia, di rassegnato ottimismo, una parabola impregnata di indiscutibili verità, sotto gli occhi di tutti.
Citazioni letterarie, poesia, filosofia, matematica, scienze, un cerchio perfetto tracciato da un insegnante che vede senza poter vedere attraverso gli occhi degli altri e da alunni che ne assorbono e trasmettono l’ esempio, rapiti da carisma e saggezza olistica.
Un testo da apprezzare per questi significati, evitando di addentrarci in analisi che poco hanno da offrirci in un senso puramente letterario. Forse che i protagonisti siano vittime del proprio ruolo, semplici strumenti di altro, di un’ utopica presenza che tutto investe e include, di un insegnante con poteri divinatori che insegue e pretende l’ impossibile, che vede e crede dove gli altri non arrivano per negligenza, insipienza e noncuranza, un messaggio corale e messianico per ricostruire la scuola e quindi una società migliore?
Difficile dirlo, di certo il potere delle idee e delle parole resta fondamentale, l’uso che se ne fa anche, e qui abbondano, ma un romanzo dovrebbe esprimere altro, nascere e sviluppare una trama partendo da contenuti intrinseci, sviscerare e sorprendere, essere credibile, esplodere all’interno di se’, prendere vita, oltre i confini pedagogici e la denuncia di quello che obiettivamente non va e dovrebbe essere o limitarsi a una lezione onnisciente e a ripetute citazioni colte .
Sintetizzando, bene il divulgatore, ottimo l’insegnante, non altrettanto lo scrittore, del tutto lecito da un romanzo infarcito di buone citazioni letterarie aspettarsi qualcosa di diverso e migliore.

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L'appello 2020-11-16 13:09:50 Sofia Sotta
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Opinione inserita da Sofia Sotta    16 Novembre, 2020

Un Appello per rinascere

Un Appello, con la A maiuscola. Ecco che cosa fa il professore Omero Romeo quando entra in una classe quinta un po' sgrangerata. Si tratta di una classe mal assortita, la classica sezione con la fama di "svogliati", "incapaci". Omero accetta una sfida molto difficile: non solo deve portare i ragazzi all'esame di maturità, ma deve anche fare i conti con la sua cecità. A causa di una malattia che ha fatto chiudere il sipario sulla luce, Omero ha deciso di rinunciare a un lavoro che ha amato. Si rimette in gioco dopo un po' di tempo e ancora non sa se ne sarà in grado. Non dico "non sa se ne sarà all'altezza" perché si dimostra fin da subito una persona capace e combattiva, solo timorosa di rimanere schiacciato dal peso di questa grande novità. Si sa, quando dobbiamo misurarci con qualcosa di grande la paura di non riuscirci è tanta.

Quando i nomi dei ragazzi vengono chiamati ad alta voce loro non si limitano a rispondere "presente", ma aprono le porte al loro vissuto, ai loro pensieri, ai loro dolori. Il professore ascolta tutti con attenzione, non giudica, è un imparziale. Non potendo vedere con gli occhi sceglie di vedere con il cuore e qui vi rimando alla celebre citazione presa da Il piccolo principe. I ragazzi hanno spazio per esprimersi, non vengono interrotti né costretti a parlare.

L'empatia di d'Avenia viene proiettara su Omero e sui ragazzi che, nonostante la giovane età, si scomprono a loro volta capaci di ascoltare senza giudicare. Il lettore viene guidato nelle sensazioni di Cesare, Stella, Mattia e tutti gli altri ed è incredibilmente facile lasciarsi trasportare dalle loro parole.

In questo romanzo ho ritrovato lo stile fluido e coinvolgente che tanto mi aveva fatto amore Bianca come il latte, rossa come il sangue e Cose che nessuno sa. Non posso dire che d'Avenia sia una garanzia, non ho letto tutti i suoi libri, ma questo conferma la sua bravura e il meritato posto nello scaffale della mia libreria.

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