Isola di neve
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
L'isola, il violino, l'amore
Nel nuovo romanzo di Valentina D'Urbano, “Isola di Neve”si intrecciano due storie parallele: una ambientata fra l'estate e l'autunno del 1952, l'altra fra l'autunno del 2004 e l'inverno del 2005. Entrambi gli intrecci si svolgono su un'immaginaria isoletta italiana, forse collocata nel Tirreno centrale (da lì si può raggiungere in qualche ora Roma), chiamata Novembre, e sulla sua “gemella”, un'altra piccola isola dove era collocato un carcere di massima sicurezza, Santa Brigida.
La vicenda del 2004 ha per protagonista Manuel, un giovane di 28 anni che ha lasciato Roma dopo aver compiuto un atto di cui si pente e si vergogna moltissimo. Manuel è un alcolista , sente di aver compromesso per sempre la sua vita e si rifugia sull'isoletta dove hanno abitato per tutta la vita i suoi nonni, Libero e Livia, e dov'è nata sua madre, per nascondersi dal mondo e trovare un po' di pace. La notte però non può dormire: qualcuno suona il violino in un modo travolgente ed appassionato, sicuramente un professionista. Così conosce Edith, violinista dal talento straordinario, che gli racconta di una vicenda avvenuta sull'isola una cinquantina di anni prima e che ha come protagonista un famoso musicista originario di Dresda, proprio come lei, Andreas von Berger, rinchiuso per qualche mese nel carcere di Santa Brigida. Manuel ed Edith vogliono riuscire a ricostruire quella storia dimenticata: c'è di mezzo un preziosissimo violino perduto, una partitura da ritrovare e soprattutto, una struggente storia d'amore da sottrarre all'oblio del tempo.
Quale sarà il filo che collega Manuel ed Edith al violinista Andreas von Berger ed alla sua amata, Neve?
Nel corso delle 500 pagine del romanzo il lettore troverà la risposta a tutti gli enigmi che l'autrice ha sapientemente disseminato nella prima parte del libro. Personalmente però non mi è piaciuto il finale del testo: mi è sembrato troppo forzato ed abbastanza inverosimile, come se lo scopo della narrazione fosse unicamente quello di stupire il lettore con effetti speciali. L'ho trovato macchinoso e più adatto ad altri generi letterari.
Si tratta comunque di un romanzo piacevole e che presenta una buona dose di romanticismo; leggendolo non correremo certo il rischio di annoiarci. Viene stimolata in continuazione la nostra curiosità, lo stile dell'autrice è fluido ed espressivo, il libro si legge tutto d'un fiato. Sicuramente Valentina D'Urbano sa raccontare emozioni e sentimenti.
Avrei preferito però un romanzo meno costruito ed artificiale nella trama e più genuino e profondo.
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Io sono Tempesta
Un’isola con un carcere di massima sicurezza abbandonato. Una giovane violinista tedesca che vuole andare alla ricerca di un passato, con pochi indizi e tanto trasporto. Un giovane italiano che sta un po' scappando da se stesso. Un salto indietro nel tempo, sempre nell’isola, con protagonisti un violinista tedesco rinchiuso nel carcere ed una giovanissima isolana che vede nell’isola il solo proprio mondo, i propri limiti, il proprio recinto, perché nell’isola si sente un animale in gabbia. Personaggi secondari che non sono così minori, sia per il loro peso nella storia, sia per i loro tratti. Vite che incrociano. Nel loro tempo, ma anche trasversalmente nello spaccato di spazio-tempo che la storia ci offre. Questo libro è un’esplosione di emozioni, molte di esse correlate alla musica ed al suo potere, che riempie i confini, che trascende spazio e tempo. E’ un libro dedicato alla forza caratteriale di una giovane donna, Neve, che porta una tempesta nella vita del violinista tedesco. Lui riesce ad accendere una piccola scia di luce dentro l’abisso buio di lei. E nonostante l’isola sia un territorio che indurisce, riesce a raggiungere la parte più vera di Neve, che lo porterà sempre nel cuore e lo perdonerà ogni giorno.
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Andreas, Neve, Edith, Manuel.
Novembre è una piccola isola idilliacamente situata nel Mar Tirreno la cui tattica posizione la colloca a ridosso della Sicilia ma a una distanza che rende accessibile anche i contatti con la Sardegna. Sono quasi quindici anni che Manuel non vi sbarca e certamente mai avrebbe pensato di farvi ritorno proprio ora che l’alcool, da un semplice palliativo, è diventato un motivo per rifuggire alla realtà, è divenuto un problema. Sta scappando da Roma il ventottenne, sta scappando da sua madre, da Greta la sua ormai ex fidanzata per un grave errore che ha commesso nei suoi confronti, ma soprattutto sta scappando da sé stesso. Non trovando appiglio nemmeno dalla figura paterna, il giovane decide di recarsi sull’isola in cui un tempo erano vissuti i nonni ed è qui che conosce Edith, è qui che questa “crucca” ventiquattrenne proveniente da Dresda gli rivela che nel ’52 era stato detenuto all’interno del carcere di Santa Brigida, sorella minore di Novembre, un violinista, un uomo biondo, dal corpo slanciato e dalla musica maledetta, un uomo che da quelle mura ha conosciuto una donna che gli ha rapito il cuore e attorno alla quale si cela il mistero del violino e degli spartiti scomparsi. Nonostante le reticenze iniziali, Fortis decide di aiutare la tedesca e così il lettore si risveglia nel 1952, conosce Neve, conosce Libero, conosce Livia, conosce Santo e conosce Santa Brigida in quello che è un perfetto alternarsi di ieri e oggi, presente e passato. Perché mentre conosciamo Edith e Manuel, mentre seguiamo la loro ricerca e ne restiamo affascinati essendone pagina dopo pagina incuriositi, conosciamo anche loro, Neve e Andreas von Berger, conosciamo la loro vita, i loro segreti, i loro pensieri. Neve, soprannome determinato dal suo candore mixato a questi capelli color oro chiarissimi, ha appena diciassette anni quando incontra il ventottenne carcerato, ha un corpo minuto, spigoloso, magrissimo, è di una bellezza unica nonostante non si curi, una curiosità che non ha freni e essendo l’ultima di sette sorelle è anche colei che è stata destinata al lavoro del padre pescatore che non manca – a causa del suo vizio del bere – di farle sentire le mazzate per quel carattere indomabile. È proprio questa curiosità irrefrenabile ad avvicinarla ad Andrea e a reggere le fila dell’ultimo lavoro di Valentina D’Urbano.
Con un linguaggio fluente anche se non particolarmente ricercato, l’autrice ci dona infatti un romanzo dalla trama ricca e solida, dai personaggi ben delineati – tanto i principali quanto i secondari –, dall’intreccio narrativo compatto e privo di sbavature e al contempo intriso di spunti di riflessione. Perché oltre a un mistero che solletica le corde del conoscitore e un romanticismo genuino e puro che fa doppiamente battere il cuore e divorare il testo, la scrittrice ci parla anche di tematiche quotidiane e attuali quali il contingente ricorso all’alcol per moda o più semplicemente per scappare dai problemi, il desiderio di accettazione per quel che siamo in una società dove l’unica cosa che conta è l’apparenza, la difficoltà di darci una seconda possibilità, il senso del giusto e dello sbagliato e il saper accettare i nostri errori e farsene carico anche se la punizione non sarà indolore.
«Se ami davvero qualcosa, la ami a tal punto da farti del male» p. 171
In conclusione, un elaborato godibilissimo, di facile lettura (confesso di aver esaurito tutte le sue 500 pagine in una giornata), con una costruzione che non delude le aspettative e che si confà ad un pubblico eterogeneo.
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Il gioco del destino
Una piccola isola vicino una sua sorella più piccola, un mistero da scoprire e risolvere. Vite che si intrecciano tra passato e presente. Due persone che, per caso, si incontrano grazie ad un gioco del destino.
Manuel che scappa da qualcosa che ha compiuto, che lo insegue instillando in lui un mare di sensi di colpa. Edith, tedesca, che si rifugia nell’isola di Novembre per riportare alla luce qualcuno scomparso cinquant’anni prima per riportarla “a casa”, nel posto nel quale deve stare.
Il lettore, sin dalle prime pagine, viene catapultato all’interno del romanzo, le parole scorrono veloci, ben ritmate e la penna della D’Urbano si conferma essere accattivante già dall’introduzione del libro. Il suo stile semplice ed incisivo fa sì che chi legge venga catturato. Non ci sono lunghi paragrafi, descrizioni dettagliate che tendono a rallentare la lettura, eppure le immagini scorrono veloci in testa, grazie all’abilità dell’autrice di rendere tutto realistico.
I personaggi, nei libri della D’Urbano, non sono mai soltanto bianchi o neri, ma si compongono di tantissime sfumature diverse riempiendoli di colori, ed è una delle cose che apprezzo di più.
Tra i personaggi compaiono in modo indiretto: la madre, il padre e la ex di Manuel. Sono un po’ difficili da inquadrare visto che il protagonista spesso non vuole perdersi nei ricordi, ma soprattutto l’ex, per come è stata raccontata da Manuel, l’ho trovata un personaggio stereotipato: la solita femme fatale pronta a tutto per se stessa.
Parallelamente a loro, il lettore si ritrova nel 1952, seguendo le vicissitudini di Neve che, forte di carattere per la corazza che ha deciso di costruirsi, per il lavoro che deve necessariamente fare come se fosse un maschio, sogna di andarsene da Novembre in modo quasi inconscio, sogna Roma, così diversa nella sua testa da Novembre, dove tutti sono invece retrogradi. Viene così attratta dal prigioniero di Santa Brigida, un uomo che non incontra esteticamente la sua idea di criminale e, grazie a giochi del destino, Neve si ritroverà ad ascoltare la sua musica che ha il potere di allontanarla, di farla sentire davvero a casa, e a parlare con il detenuto, conoscendo così una persona diversa da quella che immaginava, un persona che “sta in pensiero” per lei sapendo che ha la possibilità di essere picchiata dal padre.
Arrivata quasi al 30% della lettura, ho pensato che lo stile della D’Urbano, nel tempo, è cambiato molto. È più descrittivo nelle azioni e meno introspettivo del suo titolo di esordio “Il rumore dei tuoi passi” e un po’ mi mancano le sue introspezioni che riuscivano a scavarmi dentro facendo sì che non volessi mai smettere di leggere.
Sebbene siano indispensabili i vari salti temporali tra passato e presente, a volte li ho trovati fastidiosi, soprattutto quando con la testa ero dentro il 1952 e, nel capitolo successivo dovevo fare mente locale di essere tornata al 2004.
La storia di Neve mi ha preso molto, catapultandomi in quelle due isole, sentendo quasi l’odore di salsedine.
Anche se il romanzo è composto di 500 pagine, il testo scorre talmente bene che si legge senza fatica, senza annoiarsi nemmeno un attimo.
I personaggi secondari sono ben sfaccettati, soprattutto Libero e Livia. Greta, invece, la trovo alquanto piatta, quasi un cliché di cui avremmo potuto fare a meno. L’ho trovata molto finta, sin troppo.
Trovo che “Isola di Neve” non sia all’altezza del libro di esordio della D’Urbano, ma penso che quello abbia un posto d’onore tra i miei libri preferiti e non ci sarà mai alcun romanzo che possa eguagliarlo.
Più mi avvicinavo alla conclusione del romanzo e più avevo un certo timore a finirlo. Non i volevo allontanare dai personaggi di “Isola di Neve”: Neve, Andreas, Libero, Manuel ed Edith.
E capisci che un romanzo ti è piaciuto, che ti ha preso tanto, proprio quando ti rendi conto che non vuoi salutare le “persone” che hai conosciuto, che ti hanno fatto compagnia per più giorni.
Ne consiglio sicuramente la lettura, come tutti i libri di Valentina D’Urbano anche questo ti si incastra dentro.