Io no Io no

Io no

Letteratura italiana

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Con un'abile costruzione letteraria a piani paralleli, costruita attraverso più voci narranti, vengono narrate le inquietudini di un ragazzo (prima) e di un uomo (poi) alla ricerca di se stesso. Il protagonista principale è un "ribelle" (al padre, al fratello, alla vita, al mondo). L'oggetto, in fin dei conti, è la fuga in giro per il mondo da se stesso dopo un tragico evento che turba il delicato equilibrio che il protagonista aveva trovato. Forse è proprio l'arrestarsi da questa fuga che permette al protagonista di farsi raggiungere da quel se stesso che ha sempre tentato di fuggire per scegliere di diventare "grande".



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Io no 2014-11-30 20:28:51 Vincenzo1972
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    30 Novembre, 2014
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Io no.. ma anche sì, un pò mi rivedo..

Molto, molto gradevole questo breve romanzo di Licalzi. Il primo in ordine cronologico della sua bibliografia e credo anche quello meglio riuscito.
Niente di nuovo, in fondo: si parte con la classica storia di amore incrociato tra due coppie, molto incrociato visto che un lui è il fratello dell'altro lui, una lei è la moglie di un lui nonchè primo grande amore dell'altro lui (oltre che sua cognata) e la seconda lei s'innamora di un lui pur essendo amante dell'altro lui (fratello del primo).
Insomma, per farla breve, tra tutte le possibili combinazioni in cui i quattro protagonisti possono incrociarsi mancano solo quelle omosessuali.
La prima parte del libro, quindi, risulta veramente molto piacevole, scorrevole e divertente; tra l'altro, l'idea di descrivere una stessa situazione, per esempio la cena al ristorante tra i quattro protagonisti, esponendola dal punto di vista di ciascuno di essi evita che il racconto scada nella monotonia.

Laura: "Vaffanculo"
"Perchè le nostre conversazioni finiscono sempre con te che mi mandi affanculo?", chiedo io persino un pò seriamente.
"Me lo tiri per i capelli, e poi tra cognati è così, o ci si manda affanculo o... "
Abbassa gli occhi.
"O cosa?"
"Niente".
Li rialza, mi guarda con tono di sfida, e mentre sta per uscire dalla cucina conclude: "... E comunque tranquillo che non è il nostro caso".
Allora si vede che il nostro caso è quello di mandarci affanculo, meglio così.

A metà libro, però, la storia prende una piega drammatica, così inaspettata che pare forzata; sembra quasi sia stata decisa a posteriori, magari per aumentare il numero delle pagine che altrimenti sarebbero state troppo poche per un romanzo.
Anche perchè trasforma in tragedia quella che sembrava una commedia brillante. Tuttavia questa seconda parte del libro pur non essendo di grande spessore, forse per una certa superficialità nel tentativo di descrivere il dolore sofferto con i suoi risvolti psicologici, e pur trattando in modo forse un pò troppo sbrigativo un tema trito e ritrito come il viaggio alla ricerca dell'io perduto (o forse, in questo caso, mai trovato) riesce nonostante tutto a coinvolgere, a commuovere.
Soprattutto l'epilogo, il finale... potrebbe persino riuscire a strappare qualche lacrima, non dico a me, sia ben chiaro, ma a qualcuno dotato di eccessiva sensibilità...
O forse sarà che quando c'è di mezzo una 'principessa' ed il suo papà non posso fare a meno di immedesimarmi e le mie corde, anche quelle più dure e resistenti, vibrano come impazzite.
"Non piangere Principessa, nessuno può sapere dove vanno le anitre, perchè le anitre hanno le ali, volano via, sono libere di andare dove vogliono, è questa la loro fortuna."

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Io no 2013-07-10 08:18:15 Domitilla Ganci
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Domitilla Ganci Opinione inserita da Domitilla Ganci    10 Luglio, 2013
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Una sconfinata giovinezza

Il titolo di questo libro, che risale a qualche anno fa, è fatto apposta per suscitare attenzione. Dopo averlo visto è inevitabile prenderlo in mano e dare uno sguardo alle prime pagine. La storia si apre con una curiosa telefonata notturna e…a quel punto ero già alla cassa!
E’ un romanzo a più voci, in cui ogni personaggio racconta la propria versione dei fatti e ognuno consegna il testimone all’ altro, in una ideale staffetta attraverso trent’anni di storia di una ricca famiglia della borghesia imprenditoriale italiana. Si procede per salti temporali non sempre lineari, perché i protagonisti hanno fretta di riversare sul lettore i fatti e le emozioni, nella ricerca di un coinvolgimento emotivo che non tarda ad arrivare. Difficile non prendere le parti del protagonista Francesco: spirito libero, inquieto, trasgressivo, ma con un retrogusto di fragilità e dolcezza che lo fa parzialmente uscire dallo stereotipo (è bello, studia filosofia, si oppone alla famiglia, viaggia in cerca di sé, insomma non proprio originale...). Subito dopo, però, si scoprono le ragioni del fratello maggiore Flavio, su cui ricade inevitabilmente tutto il peso delle aspettative familiari (l’azienda, il matrimonio, i figli..). Non può permettersi di dire “io no”, come il giovane Francesco che vaga per il mondo in cerca di una dimensione (presumibilmente con i soldi di papà…); deve tirare la carretta e accontentarsi degli scarti: la bella Laura, abbandonata dal fratello senza spiegazioni, diviene la sua infelice e complicata compagna di vita. La prima parte del romanzo è scorrevole, leggera e non mancano dei passaggi frizzanti e degli episodi davvero esilaranti, come l’arrivo di Francesco al matrimonio di Flavio. Mentre si procede nella lettura, la storia diviene sempre più interessante e originale, grazie alla graduale rivelazione, da parte dell’autore, dei veri rapporti che legano i personaggi e allo svelamento dei percorsi emotivi che li hanno condotti al groviglio di situazioni in cui vengono a trovarsi. Nella seconda parte del libro, però, le pagine si incupiscono e il romanzo prende una inaspettata direzione drammatica, che evolve verso la catarsi finale, forse liberatoria. Personalmente, da un certo punto in poi, ho trovato poco coinvolgente il percorso di vita di Francesco, che partendo dal grido “io no!” attraversa i più scontati sentieri della ricerca di identità, incontrando l’oblio degli stupefacenti, il mito americano, l’illusione di un amore salvifico, che definirei “ultraterreno”, data la perfezione dell’amata Elisa (se l’avesse chiamata Beatrice avrei chiuso il libro!), l’approdo consolatorio alla musica, comunque perseguendo infaticabilmente la fuga da sé, che anche dopo una certa età, lo porta al totale abbandono delle responsabilità e a tradurre la sua ricerca nella consueta dimensione del viaggio (Groenlandia, Cina, India, i deserti africani in cerca di un improbabile santone). Ho trovato molto più credibile e “attuale” il personaggio del fratello Flavio, con la sua adesione alla realtà e mi è piaciuta la giovane e arrabbiata Laura delle ultime pagine, che alla fine mi è sembrata il vero alter ego dell’autore. Non conoscevo Lorenzo Licalzi e ho scoperto che ha esordito non molti anni fa; lo pensavo, quindi, dopo aver letto il libro, poco più che adolescente. La sorpresa è stata la foto di un pacioso cinquantenne, che di mestiere fa lo psicologo (forse, prima di pubblicarlo, ha tenuto il libro nel cassetto per un po’…).

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